1977. Encino, California.
"Apri subito questa porta, ragazzino, o la butto giù a calci"
In una graziosa villetta di Encino, tuonava così una voce spaventosamente irata.
Michael strinse forte i pugni e cercò di calmare la rabbia che gli si era annidiata nelle vene e le faceva pulsare a un ritmo impazzito.
Non aveva nessuna intenzione di aprire, quella porta era tutto ciò che lo separava da suo padre.
Ringhiando, quest'ultimo tirò un calcio talmente forte da far scricchiolare i cardini arruginiti. Il ragazzo sussultò, ma doveva resistere. Poggiò la testa al muro e chiuse gli occhi, facendo dei bei respiri.
Un altro calcio.
La porta avrebbe senz'altro ceduto alla sua furia, niente lo avrebbe salvato. Finalmente una dolce voce femminile sembrò consolarlo.
"Joseph! Oh signore...MICHAEL OBBEDISCI A TUO PADRE! Da bravo tesoro, su, apri la porta".
Non poteva resistere a sua madre. Sospirò. Si staccò lentamente dal muro e con la mano che gli tremava ruotò la chiave nella serratura. Mentre lo faceva si ripeteva di essere coraggioso, di uscire da quella camera e di affrontare "la belva". Si sentiva come un giovane guerriero alle prime armi.
Non fece nemmeno in tempo a guardarlo negli occhi che suo padre gli si era avventato contro, tenendolo per la collottola e sbattendolo contro il muro.
"Joe! Joe ti prego..." supplicava mamma Katherine.
Joseph le rivolse uno sguardo sprezzante: "Stanne fuori tu".
Poi guardò tutti gli altri suoi figli, che assistevano alla scena spiando dalla porta della sala. Bastò quello sguardo a farli filare via in cucina, uno dietro l'altro.
Michael era paralizzato, non aveva mosso un muscolo. Quando Joseph si voltò nuovamente verso di lui, girando la testa riccioluta lentamente, sentì lo stomaco stringersi in una morsa e giurò che sarebbe stato capace di vomitare in quello stesso istante dal terrore.
"Che cosa diavolo pensavi di fare? Mh?" gli disse, in un sussurro.
"Io...io..."
Joseph lo spinse ancora più forte contro la parete.
"Vuoi buttare all'aria anni di successi e duro lavoro per caso?"
Parlava con una calma diabolica. Michael cercò di liberarsi dalla sua stretta con uno strattone.
"Se...smetti di cantare...io ti scaricherò come una patata bollente. Sono stato chiaro?"
Detto questo lo scaraventò a terra.
Quel gesto così violento fu l'ultima goccia. Michael mise da parte tutto il timore e il rispetto dovuto a un padre. Si sollevò dal pavimento, con calma si sistemò la maglietta e si pulì i pantaloni con la mano. Poi lo guardò dritto in quelle fiamme che aveva al posto degli occhi.
"Ho 19 anni Joseph, ora decido io della mia vita. Non rinnoverò il contratto con la casa discografica, che tu lo voglia o no".
Marcò quelle ultime parole con disprezzo. Un violento schiaffo lo fece quasi ricadere a terra. Sentiva la guancia andare a fuoco e gli occhi inumiditi, eppure non smise di combattere. Quel dolore non era nulla in confronto allo sfruttamento che aveva subito per 19 lunghi anni a causa di quell'uomo.
Joseph lo fissava come si guarda un topo in procinto di avvicinarsi a una trappola per ratti, come un penoso esserino destinato alla rovina.
"Ma guardati. Debole, ecco cosa sei. Mi chiedo come tu possa essere mio figlio".
Poi, alzando la voce in modo che tutta la famiglia lo sentisse: "Questa femminuccia é davvero un Jackson?".
Quelle parole ferirono l'animo di Michael nel profondo.
E quell' uomo così senza cuore come poteva essere suo padre? Con uno scatto uscì dalla porta della cameretta e a grandi passi si diresse verso il portone di ingresso, seguito da Joseph, che continuava a schernirlo:
"Guardate come fugge questa signorina".
Non lo ascoltava più.
"Sono così felice di non aver preso nulla da te. Mi fai schifo, grandissimo pezzo di merda" gli disse.
A Joseph sembrò mancare il fiato.
"Piccolo...lurido...."
Batté il pugno contro il tavolo in un modo così violento che Katherine si portò una mano alla bocca.
"Esci da questa casa" sibilò Joseph.
Michael non si scompose, del resto era proprio quello che voleva fare.
"No...Joseph, ti prego. Michael tesoro, torna qui!" Katherine piangeva, anche lei terrorizzata.
Il ragazzo percepiva lo stupore dei fratelli e delle sorelle, che avevano sentito tutto. Aprì la porta e se ne andó, salutando la mamma con uno sguardo ferito.
Camminava a passo spedito, non vedeva l'ora di allontanarsi il più possibile da quella casa. Via da quella vita, via da tutto quello schifo. Gli spezzava il cuore sentire la voce di sua madre dal portone che lo implorava di tornare indietro.
Non sarebbe tornato. Non aveva intenzione di tornare per molto tempo, sapeva perfettamente dove stava andando. La sua destinazione era l'unico luogo che lo faceva sentire felice.
Aveva giá percorso un lungo pezzo di strada, quando sentì dei passi che lo inseguivano di corsa.
"MICHAEL!"
"Michael fermo!"
Si voltò. Erano suo fratello Marlon e la sua sorellina Janet. Sapeva che lo avrebbero seguito, c'era un forte legame fra loro.
"Tornate a casa, voglio stare solo".
Marlon e Michael erano cresciuti insieme, solo un anno di differenza li separava.
"Dove pensi di andare? La mamma ti fará tornare a casa stanotte". Marlon lo aveva bloccato per un braccio, ma il fratello si liberò subito dalla sua presa.
"No, starò bene, non preoccupatevi per me"
"Michael...tornerai?". La vocina di Janet gli fece venire voglia di piangere e di tornare a casa con lei.
"Si piccola mia, certo che tornerò"
"Dove vai?" ripeté Marlon, deciso a non lasciarlo andare.
"Vado dai miei amici, ma non ti svelerò il nostro nascondiglio. Andate via adesso, rincuorate la mamma, ditele che sono felice così".
Marlon sospirò e lo abbracciò forte. Anche se aveva solo un anno più di lui, sentiva di doverlo proteggere.
"Abbi cura di te fratellino mio"
"Lo farò"
Janet piangeva. "E tu piccolina, non piangere più" le diede un bacio frettoloso sulla punta del naso.
"Ti vogliamo bene Mike, non scordarlo mai"
"Io ve ne voglio di più"
Michael li vide andare via, mano nella mano.
Doveva continuare per la sua strada.
Tutto dentro di lui si era fatto incredibilmente silenzioso, sembrava non avere più pensieri. Camminò per altri dieci minuti, perso a contemplare il cielo, che mai come quel giorno gli era sembrato così bello.
Stava per svoltare l'angolo, quando una figurina esile gli andò addosso, sbattendo la testa contro il suo petto.
"Oh!"
Era una ragazza. Una ragazza mulatta, dagli occhi scuri e dai folti capelli neri, tutti scarmigliati a causa della corsa. Il profumo dei suoi capelli lo inebriò, sembrava provenire da un paese lontano. Guardandola negli occhi si accorse di quanto la ragazza fosse impaurita.
"Non dire a nessuno di avermi visto" sussurrò, tutta affannata.
"Ti prego..." aggiunse, implorandolo con quei magnifici occhi. Michael annuí e lei scomparve cosí come era apparsa, in un baleno. Poco dopo di lei, Michael vide arrivare un uomo alto e cupo, che camminava a passi svelti, concitato. Sembrava incredibilmente nervoso e a Michael sembrò di riconoscere gli occhi furiosi di suo padre in quelli dello sconosciuto.
Quando vide Michael, l'uomo si rivolse a lui scortesemente: "Hai visto una ragazza passare di qui?"
Lui esitò un istante. Chi era quella ragazza? Aveva forse fatto qualcosa di male? Lo escluse: quegli occhi non potevano appartenere se non a una ragazza buona.
"Si, l'ho vista" disse, "é andata di lá" e indicò la strada opposta a quella in cui l' aveva vista sparire.
L'uomo lo ringraziò bruscamente con un cenno del capo e andò nella direzione che lui gli aveva indicato.
"Un gioco da ragazzi" pensò Michael, scrollando le spalle.
Si guardò intorno, sperando di rivedere quella ragazza, che lo aveva tanto colpito. Sperava che non le fosse successo nulla di male.
Ciò che gli era appena accaduto rimase al centro delle sue riflessioni finché non scorse in lontananza il luogo verso il quale era diretto.
Appena vide un grosso caseggiato in una piccola via desolata, gli si dipinse sul volto un sincero sorriso. Gli venne voglia di correre per arrivare più veloce e così fece. Bussò alla porta con tutta la gioia che aveva, quasi rideva.
All'interno della casa, sentì due voci maschili.
"Ma chi é?"
"É lui, vedrai"
Appena la porta si aprì, Michael si buttò al collo di due ragazzi.
"NADIM! SAMIR! Sono io, razza di idioti, chi diavolo stavate aspettando se non me?"
I due ragazzi lo abbracciarono con talmente tanta foga da sollevarlo da terra.
"Michael!! Brutto imbecille, mi sei mancato fratello". Nadim non aveva smesso di stringerlo forte e Samir gli scompigliava i capelli.
"Ancora questi capelli ridicoli?" gli disse, ridendo.
"Sam, mi sei mancato tanto anche tu!"
Finalmente lo lasciarono respirare.
"Ragazzi, ho bisogno di andare nella nostra terrazza...e trascorrere una nottata delle nostre, come ai vecchi tempi"
Nadim lo guardò con intesa e mettendogli un braccio attorno al collo salirono le scale che li portavano in una terrazza gigantesca, da cui si godeva un panorama stupendo, quello del cielo.
La terrazza era il luogo segreto dei tre amici. Lo avevano scoperto a 16 anni, quando per puro caso si erano imbattuti in quella abitazione abbandonata. Nadim e Samir passavano lì la gran parte del tempo, mentre Michael nell'ultimo periodo si era fatto desiderare. Troppo lavoro, sempre troppo lavoro.
Nadim e Samir erano fratelli, erano emigrati in California dall'Arabia. Erano la seconda famiglia di Michael, coloro con i quali aveva trascorso e condiviso tutti i momenti più importanti della sua vita. I due avevano personalitá molto diverse, ma si completavano perfettamente. Nadim era l'anima delle feste, adorava bere e divertirsi. Una battuta e una risata non mancavano mai quando si godeva della sua compagnia.
Samir era il cosiddetto sognatore. Adorava guardare il cielo e le stelle e sapeva raccontare storie in una maniera ipnotizzante.
"Fratello, ora vedrai la terrazza, abbiamo fatto qualche cambiamento" gli disse Nadim.
Michael respirò a pieni polmoni l'aria che lo inondò una volta salite le scale. La terrazza era più bella di come la ricordava. I fratelli avevano aggiunto dei divani letto, vecchiotti e scuciti, ma comodissimi. C'erano numerosi scatoloni pieni di vodka e rum sparsi un po'ovunque. C'era addirittura un piccolo telescopio. Ma l'ornamento migliore era un caldo sole dorato che sembrava regalargli le ultime carezze.
"É... meraviglioso. Dio, era quello di cui avevo bisogno"
Samir si accorse delle cinque dita stampate sulla guancia dell'amico.
"Raccontaci tutto"
***
"E così gli ho detto che mi faceva schifo e che mi vergognavo di essere suo figlio. Poi sono venuto qui"
I fratelli erano davvero meravigliati.
"Accidenti...hai messo il vecchio al suo posto. In fondo non sei una totale mezzasega" gli disse Nadim, dandogli una gomitata.
"Ora sei con noi Mike"
"Sai di cosa hai bisogno fratello?". Nadim aveva assunto un' aria complice.
"Di una sbronza come si deve".Si, era quello di cui aveva bisogno. Doveva dimenticare. Dimenticare suo padre, il lavoro, il dolore... e due incredibili occhi scuri.
*Angolo autrice*
Pensavate di esservi liberati di me?
E invece rieccomi qui con una nuova storia! Sono felice di essere tornata su wattpad, non potevo resistere nemmeno un altro minuto senza scrivere! Spero che questa storia vi possa piacere, per ora sono un po' dubbiosa.
Vi amo tanto❤-Terry
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Make A Wish.
FanfictionCerti incontri ti cambiano la vita. Michael Jackson, un giovanissimo cantante di successo in cerca della felicitá, si troverá costretto ad intrecciare la sua vita con quella di Ashley, una misteriosa ragazza mulatta che scappa da un destino che le é...