La vita non aspetta

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NADIM'S POV
C'é chi dice che l'Amore sia qualcosa di indefinibile e misterioso che a un tratto il nostro corpo percepisce, una sottospecie di attrazione magnetica. Io non credo in tutte queste sciocchezze da ragazzine. L'amore é un'altra cosa.
La definizione dell'Amore, quello vero, la leggevo negli occhi del mio migliore amico. Non nei momenti in cui stava con Ashley, ma in quelli in cui lei era assente, quando lui si corrodeva per la sua mancanza. Solo allora capivo il significato delle parole "ti amo". "Ti amo" vuol dire "ho bisogno di te per essere felice" e Ashley era la personificazione della felicità di Michael.
E a tutti quegli adulti impettiti che vanno a dire qua e là che i ragazzi non sanno cosa sia l' amore, rispondo che forse loro non ricordano piú com'era il loro cuore da giovani. Se fosse una persona, l'amore sarebbe un bambino, non un adulto. Sarebbe un bambino puro, fresco e felice. A me Ashley piaceva, mi piaceva molto, non lo nego. Mi era piaciuta fin dall'inizio. Era bella, allegra, intelligente... non mi lasciava indifferente. Mi sarebbe piaciuto essere il suo ragazzo, ma lei apparteneva a Michael e in nessun modo avrei cercato di separarla da lui. Lei é il suo angelo e io voglio troppo bene a Michael per potergli fare del male.

Michael era uscito di casa pieno di rabbia dopo il racconto di Jen. Sentiva che Ashley era in pericolo e che lui non l'aveva protetta.
Jen mi stava simpatica. Era bella come la sorella, ma piú impacciata e decisamente meno vivace, il che la rendeva meno interessante. Tuttavia non era cattiva, glielo si leggeva in faccia.
Dalla finestra guardai Michael allontanarsi. Gli arresti domiciliari mi impedivano di inseguirlo e consolarlo. Lo seguii con lo sguardo e lo vidi sfogare la sua rabbia con tutto ciò che ostacolava il suo passaggio: una bottiglia di vetro finì sgretolata sotto la potenza dei suoi calci, con la mano cercava di distruggere dei frutti caduti da un albero... cadde anche lui in ginocchio poco piú in là, sfinito. Puntò i pugni sul marciapiede e abbassò il capo, le spalle scosse dai fremiti.
Laciai che si sfogasse da solo, aveva bisogno di affrontare i suoi demoni. Poi lo vidi imboccare la strada di casa sua, con la rabbia che gli metteva le ali ai piedi. Dopo una buona mezz'ora tornò indietro e non appena passò sotto la mia finestra lo chiamai:
"Michael..."
"Nad ho fallito, ho fallito".
I suoi grandi occhi neri vagavano da una parte all'altra in cerca di un appoggio, in cerca di un miracolo.
"Ma cosa stai dicendo? Tu non potevi sape..."
"SI CHE POTEVO! Ha cercato di farmi intendere che c'era qualcosa che non andava e io l'ho solo umiliata"
Scoprii il suo viso rigato da lacrime crudeli che gli solcavano le gote.
"Non la lasceremo in quel posto Mike. La riporteremo a casa, questo è sicuro"
Respirava affannosamente, sembrava che fosse costretto a sopportare un carico troppo pesante sul cuore.
"Cosa devo fare Nad?"
"Devi andare lí, incontrarla e aspettare il momento giusto per portarla via"
"Si accorgeranno della sua assenza"
Scrollai le spalle: "Se ne accorgeranno forse, ma é l'unica soluzione"
"Ho paura che possano farle del male"
Era sconsolato. La rabbia aveva lasciato il posto a una tristezza infinita.
In quel momento mi raggiunsero alla finestra Samir e Jen. Lei era incredibilmente timorosa e imbarazzata e non riusciva a sostenere lo sguardo furente di Michael.
"Tu.... dovrebbe esserci lei al tuo posto" disse Michael, con disprezzo.
Jen teneva gli occhi bassi.
"Se le succede qualcosa per colpa tua farai meglio a sparire per sempre dalla mia vita".
Jen riuscì a guardarlo con fierezza, nonostante le lacrime le stessero prepotentemente chiedendo di essere liberate.
In quello sguardo Michael ritrovò quello di Ashley e il coraggio gli inondò le vene.
"Stanotte andrò lì. Mi serve un travestimento" disse e rientrò in casa.

Forza, mio coraggioso amico.
***
NARRATORE

Samir aveva procurato una barba finta per Michael e quest'ultimo aveva indossato dei vestiti inusuali per lui. A coprirlo c'era una giacca lunga, dal colletto alto e un cappello che nascondeva la sua inconfondibile capigliatura. Aveva molta paura. Quello che stava per fare era rischioso e ancora una volta avrebbe dato un dolore a sua madre e avrebbe alimentato l'ira di suo padre non tornando a casa fino all'indomani. Si sentiva in colpa sotto tutti i punti di vista.
Aspettarono insieme la notte. Jen aveva passato tutto quel tempo in un angolo, lontana da Michael. Scriveva fitto fitto su un piccolo diario, sembrava molto concentrata.

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