La ferita

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Daniel's POV
Dormo tutto il giorno su un divano e quando mi sveglio è sera. Constatato che il dolore atroce all'addome non è affatto scemato come speravo, mi trascino in cucina per mangiare qualcosa, nonostante non abbia per niente fame. Ne ho combinate di ogni nella mia vita, ma questa è la volta in cui mi han conciato peggio. Quando ero piccolo le ho prese di santa ragione, ma non mi sono mai trovato con un fianco squarciato dopo aver perso talmente tanto sangue da essere bianco cadaverico. La cosa buffa, però, è che non ho paura. Soffro come un cane, ma non ho paura di lasciarci le penne o qualcosa di simile. Il dolore mi aiuta a rimanere con i piedi per terra, a non perdere contatto con la realtà. Non mi fa perdere nei fumi della droga, mi rilega con aggressività alla realtà della vita: una sofferenza concreta e fisica è più reale di una psicologica. E io e il mio cervello siamo pieni di sofferenze psicologiche.
Tutti i miei coinquilini (se così vogliamo chiamarli) sono presenti all'appello, chi sdraiato in sala a bere birra, chi in cucina a sgranocchiare qualcosa, chi sul balcone a fumare. Mi avvicino a Leo, sedendomi sulla penisola che qualcuno deve aver pulito dal mio sangue in giornata.
-Va meglio?- mi domanda il ragazzo, mettendo su un sorriso falso. Non pensavo fosse educato al punto da chiedermi come sto. In ogni caso, non gli spiegherò tutti i miei mali, non gliene fotte un cazzo e non vedo perché dovrei sprecare fiato. Non rispondo alla domanda, mi limito a indicare il pane abbandonato accanto al lavandino chissà da quanto tempo.
-Agli ordini.- sbuffa passandomi il cibo.
Lo afferro e torno al piano di sopra, facendo una relativa fatica a salire le scale. Dovremmo davvero prendere in considerazione l'ipotesi del far installare un ascensore. Zoppico lungo il corridoio che porta alla mia stanza mangiucchiando la crosta del pane. Solo il sapore mi fa venire la nausea, ma mi costringo a deglutire. Tutta la forza che ho trovato sta notte per arrivare fino alla villa e sta mattina per medicarmi è tramontata e devo appoggiarmi al muro per non cadere. Alla fine opto per il fermarmi nella prima stanza libera che incontro, non riuscirò ad arrivare alla mia... ho solo bisogno di sedermi, e il parquet in corridoio non mi alletta. Apro la prima porta alla mia destra e la vista mi diventa nera all'improvviso, per tornare normale qualche secondo dopo. La testa mi gira esageratamente e so che se svengo ora, sono abbastanza fottuto. Devo almeno arrivare ad un letto. Se dormo fino a domani mattina magari mi sentirò meglio e la morsa d'acciaio sul fianco si attenuerà, il capogiro ed il malditesta si ridurranno e riuscirò a mangiare qualcosa. Ok, magari non starò così bene già domani, ma dopodomani... O il giorno dopo ancora... Chiudo gli occhi appoggiandomi allo stipite della porta. Il pane mi cade di mano, ma tanto so già che non lo mangerò. Un movimento improvviso all'interno della stanza attira la mia attenzione. Bambi! Guardo la ragazza, che sembra a dir poco terrorizzata dalla mia presenza. Penso che in un altro qualsiasi momento farebbe bene ad esserlo e io mi farei due risate, ma non ora. Ora vorrei solo un fottutissimo letto sul quale sdraiarmi, cazzo, e invece c'è lei.
-Esco subito, non fare quella faccia.- cerco di fare del sarcasmo senza successo: la mia voce esce stranamente roca e tremolante. Bambi deve essersene accorta perché solleva lo sguardo verso il mio viso, poi si sofferma sulla mia mano poggiata sullo stomaco e raggiunge infine la fetta di pane sul pavimento.
-Non stai bene.- afferma. E' la prima volta che la sento parlare, e la sua voce mi stupisce quasi. Me l'ero immaginata diversa: meno scorrevole, meno melliflua, più isterica e fastidiosa.
-Sì che sto bene. Ho solo sonno.- protesto come un bambino. Forse non sono mai cresciuto davvero. Metto sempre l'orgoglio prima di tutto, in questo caso anche prima della salute.
-Beh, sdraiati lì.- mi fa cenno con la mano verso il letto e io lo raggiungo traballando. Mi viene da sorridere pensando che se fosse stato uno dei ragazzi mi avrebbe buttato fuori a calci in culo, ma per mia fortuna non è uno dei ragazzi. Mi sdraio e respiro forte.
-Non ti mangio.- borbotto.
Si avvicina a me, ma mantenendo le dovute distanze. Mi studia come se fossi un fottuto animale feroce e valuta di potersi avvicinare ancora di qualche passo. Allunga la mano, mi sfiora il braccio e si allontana di scatto. Mi guarda terrorizzata, come a chiedere il permesso di toccarmi, e annuisco appena. Mi accarezza la guancia e chiudo gli occhi come di riflesso incondizionato, poi il palmo della sua mano preme sulla mia fronte. Mi sono sempre chiesto come fosse avere qualcuno preoccupato per me. Quand'ero piccolo avevo un'amica, Fiona: lei si preoccupava per me, ma non mi ha mai appoggiato una mano sulla fronte. Che poi, a che serve?
-Sei freddo.- sussurra. A provare la temperatura? L'ho sempre visto fare nei film, e me lo son sempre domandato.
-Ma sto sudando.
Toglie la mano dal mio viso, e lotto per non far a vedere il mio dissenso. Si allontana nuovamente.
-Vuoi che chiami qualcuno?- propone.
Faccio segno di diniego e chiudo gli occhi, ancora.

Emma's POV
Daniel sta dormendo nel "mio" letto, o perlomeno penso sia così dato che è immobile da circa un'ora. Jev mi ha lasciato in questa stanza quasi subito dopo la mia seconda precipitosa entrata in camera sua, giurandomi che nessuno sarebbe entrato, ma che se così fosse stato di gridare perché lui mi avrebbe di sicuro sentito. Ma Daniel è entrato, e io non ho gridato. Sono arretrata finendo spalle al muro e ho guardato come si appoggiava allo stipite della porta, come chiudeva gli occhi, come lasciava andare la testa all'indietro, come si teneva una mano sullo stomaco per il dolore e come aveva fatto cadere il pezzo di pane che prima aveva stretto tra le dita fino a sbriciolarlo senza rendersene conto. Non essendo proprio in forma, non avrebbe potuto farmi niente. Poi ha scherzato, gracchiando un "Esco subito, non fare quella faccia" che mi ha colpito. E' casa sua questa, io sono una arrivata qui non si sa come ed è disposto ad andare a cercare un'altra stanza, quando sta male?
Comunque, ora è sul letto e dorme, e io sono a un metro da lui appollaiata su un'orribile poltrona grigia. La verità è che non so dove altro andare: non disturberò ancora Jev, né girerò da sola per questa villa alla ricerca di un'altra camera da letto libera. Non saprei tornare, per esempio, in quella dove ho passato questa notte con Jacopo.
Guardo Daniel: ha il viso pallido, imperlato di sudore, il respiro pesante e affannato. Il suo petto fa su e giù velocemente, e il suo volto ha assunto un'espressione sofferente, ma per il resto sembra essere apposto. Mi alzo e raggiungo il bordo del letto: le mie dita sfiorano la sua guancia destra per la seconda volta, oggi. Gli spingo i capelli neri via dalla fronte e passo distrattamente l'indice sulle sue sopracciglia. Il suo respiro sembra calmarsi, così come lui, sotto le mie piccole carezze. Sembra un bambino, la pelle liscia, l'espressione crucciata ma già più serena, un piccolo bimbo di cui prendersi cura. Il mio dito scorre sul suo naso e cade sulle sue labbra rosee, disegnandone il contorno. Il suo respiro mi scalda la mano sopra la sua bocca e mi viene da sorridere. Sentendo delle voci in corridoio, mi stacco da lui e ritorno subito sulla mia poltrona, appallottolandomi su me stessa ancora una volta, e addormentandomi.

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