Un'idea di Meredith un po' confusa

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E allora, solo per un attimo, mi ritrovo di nuovo a pensare che sia una messinscena, che lui stia cercando di proteggermi, che mi allontani dagli altri per mettermi al sicuro, perché io mi fido di lui. Nella mia perversa profondità, trova rifugio la mia fiducia in lui: una fiducia totalmente, completamente, vanificata.
Mi trascina fino al piano superiore, incespico dietro di lui ma pare non farci caso.
Cosa cazzo mi è saltato in mente? Sapevo di non potercela fare. Speravo di sì, ma sapevo di no e ho messo le emozioni prima della razionalità. Era impossibile che qualcuno non mi vedesse, sono stata sconsiderata. Come ho potuto non prendere in considerazione Elijah?
Daniel mi sbatte dentro la prima stanza adiacente alla rampa di scale, interrompendo il mio auto-biasimo e mozzandomi il respiro dal dolore per colpa delll'anta aperta di un armadio contro cui sbatto. Non appena riprendo coscienza di me stessa scatto di lato per allontanarmi da lui il più possibile
-Ma dove credi di andare- mezzo domanda e mezzo afferma, chiudendosi la porta alle spalle. Resto spalmata contro la parete opposta della camera addochiando la porta che deve dare al bagno adiacente. Se mi ci chiudessi dentro a chiave...
-Credi di essere migliore di me? Credi di essere più furba, no?
-Io... No, non lo credo... Volevo solo...- cerco di trovare una scusa convincente. -Prendere un po' d'aria... Non stavo bene e...
-Credi che sia stupido?- i suoi occhi azzurri sono illuminati da sincera curiosità mentre si ciondola sui piedi, ricordandomi il suo stato di ubriachezza. Forse questo può venire in mio aiuto.
-Lo credi??- urla scattando verso di me. Va bene, la sua scarsa pazienza non gioca a mio favore.
-No, io non lo credo.
Arriverà qualcuno ad aiutarmi. Arriverà Jev. Io non posso gestirlo da sola.
-Io non sono stupido.
-Lo so.
Lo guardo sedersi sul bordo del letto, o meglio, caderci sopra, e reggersi la testa tra le mani.
-Non sono stupido.- ripete piano.
Ho paura di lui, ma al contempo vorrei potergli assicurare che no, non è stupido, e vederlo felice. Vorrei vederlo felice, per una volta.
-Sai chi era l'ex del tuo caro amico Jev?- chiede  all'improvviso. Cosa c'entra? Alzo appena lo sguardo per incrociare i suoi occhi così azzurri e trasparenti, colpiti di traverso da un raggio lunare. Per rispondergli, scuoto appena la testa.
-Si chiamava Meredith. Era una troia.- spiega, -Dico davvero, faceva la puttana. Se l'era portata dietro da uno strip club dove si prostituiva, pensava che l'amore l'avrebbe "salvata" e cazzate varie.- nella penombra vedo il suo petto vibrare, sta ridendo sommessamente. -Lui... beh, non essere gelosa, sono passati due anni, ma penso che lui l'amasse proprio, perché lei si faceva fottere da tutti in questa casa e lui c'ha messo mesi per trovare il coraggio di sbatterla fuori.- conclude.
-Capisci?
No, non capisco. Cosa intende? Cosa c'entra l'ex ragazza ex prostituta di Jev con il mio tentativo di fuga?
-Non capisci. Certo, come puoi capire?- frigna, alzandosi dal letto e venendo verso di me. Non di nuovo, per favore...
-Del resto sei solo una bambina ingenua, no? Come al solito. Come quello che vuoi far credere a Jev mentre si innamora di te, come quello che vuoi far credere a me.- ringhia sbattendomi contro il muro, di nuovo. Non sa fare altro che trascinarmi in giro e sbattermi a destra e manca? Sono divisa tra dolore, paura e rabbia. E confusione: Jev... Mentre Jev si innamora di me? In che senso? Jev non è innamorato di me, Jev è gentile nei miei confronti perché è parte della sua personalità e perché può ottenere sessualmente da me. Questi vari sentimenti mischiati mi portano a fissare in silenzio un punto indistinto dall'altra parte della stanza.
-Riprendiamo a non parlare? Come i primi giorni? Ancora?- il suo resiro caldo mi colpisce in viso, ma non puzza di alcol, bensì un misto di menta e fumo. Non è ubriaco, è strafatto. Non che mi stupica.
-Non...non capisco.- mormoro.
-Non capisci. Ok. Allora te lo spiego.- fa un respiro profondo, come a calmarsi, mentre la sua mano si appoggia sul mio fianco, forse per sostenerlo dato il poco equilibrio, e io  sussulto dal dolore. Jacopo mi avrà di sicuro lasciato i lividi.

Daniel's POV
È così ovvio, sto cercando di spiegarle che Jev si innamora delle puttane, e quindi di lei. E non importa che non sia proprio Jev la persona di cui sto parlando, perché ai tempi anche lui l'ha amata. Un po' come ora. È ovvio ma non riesco a spiegarmi. È così ovvio. Fiona mi capirebbe. Fiona mi capiva sempre, fin da quando ero piccolo. Mentre mi perdo nei ricordi di Fiona, nei riflessi ramati dei suoi capelli arancioni, nella sua sottile voce materna, nella dolcezza delle mele che mi regalava, Bambi mi coglie alla sprovvista tirandomi una ginocchiata nelle palle. Mi chino dal dolore sopraffatto e mi colpisce lo stomaco, sulla ferita, strappandomi un gemito. Stronza, questo è un colpo veramente basso. Tenta di approfittare del mio secondo di spaesamento scappando, ma la prendo per il braccio sbattendola contro il muro. Come ha potuto tradirmi? Le stavo raccontando di Meredith, e stavo pensando a Fiona dopo così tanto tempo... Ne ha approfittato. Prima che possa controllare le mie azioni, la mia mano sinistra da mancino la colpisce sulla guancia con una forza tale che sento le dita formicolare. La vedo strizzare gli occhi, sia per controllare il dolore, sia per far scivolare veloci altre lacrime sulle sue gote arrossate. Se l'è meritato. Quando all'Istituto i tutori mi schiaffeggiavano, non me lo meritavo. Lei se l'è meritato. Ma adesso sta piangendo, per colpa mia, lì immobile, il suo respiro affannato nonostante non si sia mossa. Tento di toccarle la guancia arrossata con la punta delle dita, ma lei scatta allontanando la mia mano.
-Ti odio.- mormora
-Cosa?- Facendo finta di non aver sentito, le afferro il mento con forza per costringerla a guardarmi negli occhi. Lei geme dal dolore per la presa troppo stretta, ma me ne frego. Voglio vedere se ha il coraggio di ripetere ciò che ha detto, ora. Tanto lo so che mi odia, è una battaglia persa la mia. Tutti mi odiano, non ci posso fare niente, ma fa comunque male alla bocca dello stomaco sentirselo dire da lei. Mi odia. Ha provato a scappare dalla villa, ha provato a scappare da me, si è messa di nuovo tra me e Jev, e ha il coraggio pure di dirmi che mi odia.
-Ripetilo, Bambi.- sussurro. E se penso che lei non ne abbia il coraggio, sbaglio di grosso perché fa di ben peggio: mi sputa in faccia. E io, un po' per l'erba, un po' perché sono semplicemente io, prima che possa rendermene conto ho perso la lucidità: la mia mano è chiusa a pugno e sta correndo verso il suo bel visino. Nell'alone di incoscienza che mi avvolge, mentre il mio pugno si avvicina a lei, lei grida terrorizzata e io guardo fisso il mio obiettivo, penso che sia bella. Bellissima.
-Papà!- Elijah. Elijah. Elijah. Torno in me un nanosecondo prima dell'impatto e devio il colpo al muro accanto a lei, facendola trasalire. Sento la pelle sulle nocche strapparsi ma non ci faccio caso, ho troppa paura di quello che avrei potuto fare.
-Papà!
Resto immobile, il petto che fa su e giù velocemente, osservando l'intonaco crepato accanto al mio pugno, ancora incollato al muro. Se lì ci fosse stata la sua testa, probabilmente sarebbe morta. O in coma. Sarebbero bastati dieci centimetri più a destra... Sarebbe bastato che non arrivasse Elijah. Le stavo per fare tanto, tanto, male. Per impulsività. E invece di pensare a che cazzo stavo facendo, pensavo a quanto fosse bella.
-Papà, ti devo dire una cosa.- parla ancora. È più vicino adesso, la sua voce è appena dietro di me, ma non ho il coraggio di girarmi, di guardarlo in faccia. Sono pericoloso. Io faccio male alle persone.
-Elijah, il tuo papà non sta bene ora. Vai in camera tua, dopo verrà lui.- mormora Bambi.
-Me lo prometti che dopo viene?
-Certo. Te lo prometto. Ora però corri a letto che è tardi.- risponde lei. Non ha ancora aperto gli occhi da quando li ha chiusi per paura, quando ho sferzato il pugno, e vedo il suo corpo tremare per l'adrenalina a pochi centimetri di distanza dal mio. Sento Elijah muoversi alle mie spalle e chiudo gli occhi anch'io. Sono stufo di tutto questo. Sono stufo di aver paura di me stesso.
-Ma perché non parla? Che cos'ha?- insiste il bambino. Percepisco Bambi fare un respiro profondo tremolante prima di rispondere.
-È solo stanco. E un po' triste. Ora fila a letto.
Finalmente lo sento zampettare via. Poi, faccio l'ultima cosa che dovrei: piango.
Sono solo stanco, mi ripeto, e un po' triste.

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