Nel mio mondo

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-Come una piccola puttanella, non trovi, Bambi?- il suo tono canzonatorio mi arriva ovattato, come se non fossi realmente qui.

E forse è vero che non sono qui. Sono in un altro mondo, un posto bello, raggomitolata al buio sopra i vestiti ammucchiati, in quel grande armadio in camera mia. Un filo di luce entra dall'anta socchiusa, non sono riuscita completamente ad accostarla dall'interno.

Da fuori, ovattate come la voce di Daniel, mi arrivano le risate delle mie amiche che mi cercano mentre giochiamo a nascondino, ancora piccole, e le grida dei miei genitori contro di me, o contro loro stessi, non riesco a capire. Si mischiano tutte, le loro voci, ma nella mia testa, di voce, è chiara e limpida solo la mia.

Va tutto bene, Emma, va tutto bene.

Fuori dal mio mondo, invece, fuori dalla mia testa, è diverso: la mia mente pensa in un modo ma il mio corpo reagisce in un altro.

E il mio corpo, ora, vuole il suo.

-Vuoi che ti spieghi cosa ti sta succedendo, Bambi?- Daniel ha un bel timbro di voce. Daniel ha gli occhi come il cielo d'estate. Daniel è molto bello, e a volte sembra così sensibile... Ma ora Daniel non può sapere cosa sto provando dentro di me. Daniel non può sapere dove sono, ma sa dov'è il mio corpo. E sa cosa gli sta succedendo.

-Spiegamelo.- lo assecondo.

-Senti il cuore pompare nelle orecchie, hai il respiro affannato, i capezzoli turgidi, il seno più duro del solito...- con la mano destra mi blocca entrambi i polsi, con le dita della sinistra mi accarezza le labbra, il mento il collo. Dio, come mi sta riducendo. Picchietta sul cuore, -Battito accelerato- mi spiega, la voce più roca del solito, le pupille dilatate a tal punto da inglobare tutto l'azzurro. Le dita continuano il loro viaggio, sfiorano il mio capezzolo sinistro, duro oltre ogni limite, scendono giù, giù. Daniel si solleva sulle ginocchia e la sua mano ha spazio per farsi largo nei miei boxer. Sfiora appena il clitoride, ma quel tanto che basta per farmi inarcare la schiena e mugolare dal piacere. -Eccoti qui.- ansima. -Senti tutti i muscoli contrarsi, non è vero?

Provo la stessa sensazione di scomodità che ho provato oggi con Jev, mentre inserisce due dita dentro di me.

-Così calda.- geme, a un millimetro dalle mie labbra -Così bagnata.- toglie la mano dai boxer e se la porta alla bocca, la saliva sulla sua lingua scintilla alla luce sbilenca della Luna mentre si lecca i polpastrelli -Così dolce.

Sono una marionetta nelle sue mani, letteralmente. In questo momento potrebbe fare qualsiasi cosa e non avrei la forza di oppormi. É come se avesse spalancato l'anta dell'armadio e di nuovo la luce forte del corridoio mi stesse colpendo in pieno volto, dopo tutto quel buio, acceccandomi.

In poco le sue mani non sono più su di me ma suoi suoi jeans prima, e dentro i suoi jeans dopo.

-Cazzo.- sbuffa di piacere mentre si tocca.

Mi muovo in automatico: le mie dita si bloccano intorno al suo polso destro e fermano i suoi movimenti, poi entrano senza esitazione nei suoi jeans e afferrano la sua erezione. È bollente, e grande, e più dura del previsto. Sembra di marmo mentre seguo l'istinto e muovo la mano lungo l'asta. La pelle che la ricopre si muove inaspettatamente insieme a me, ma cerco di non apparire sorpresa: non voglio che sappia che è la mia prima volta. È già abbastanza umiliante così.

È come se fosse lì a ravanare tra i miei vestiti, nell'armadio, cercando qualcosa che non c'è. Esamina tutti i miei maglioni con fare critico, e io spero che non trovi la scatola dei ricordi nascosta dietro le giacche, sul fondo.

Daniel sembra gradire, ignorando quanto io ora mi senta violata, e appoggia la testa sulla mia spalla. È un gesto di confidenza, quasi intimo, che mi mette a disagio, come un apprezzamento più o meno sincero a quel golfino marrone che speravo non trovasse.

L'unico modo perché smetta di frugare nel mio armadio è che trovi quello che cerchi, per cui accelero i movimenti della mano e lo stringo un po' di più, sperando di non fargli male. Mugola in segno d'approvazione e continuo con lui a tirare fuori e buttare per terra tutte le cose dal mio nascondiglio per aiutarlo a trovare ciò che cerca.

Soffocando un gemito di imitazione per aver, finalmente, riesumato quell'oggetto, il suo corpo trema mentre l'orgasmo lo invade e io sento qualcosa di caldo e appiccicoso schizzarmi sulla mano, sul polso, fino a dove arriva.

-Sei riuscita a far venire il cliente senza nemmeno baciarlo, complimenti.- il tono pieno di lussuria di prima viene sostituto con uno velenoso.

Ritraggo la mano dai suoi boxer e lui fa lo stesso, alzandosi da me.

Nella mia mente, é come se, finlamente, si accingesse vittorioso ad uscire dalla mia stanza. Mi sento leggera per la mancanza di peso mentre lo osservo riabbottonarsi i jeans e stringersi la cintura. Si sistema la maglietta e prende il portafoglio dal comodino.

Che vuole fare?

-Suppongo di doverti anche ringraziare per l'ottimo orgasmo- sputa, lanciandomi addosso un pezzo di carta che plana sul mio braccio.

Soldi.

Una banconota da cinquanta euro. Poi un'altra da venti. Una da dieci.

-Ti bastano o ne vuoi di più?

Fisso i soldi nella penombra e provo soltanto odio, tanto odio, e nausea. Potrei vomitare da un momento all'altro.

Questo gesto mi strappa via violentemente dalla tranquillità del mio mondo: ora sono veramente qui.
E qui sono umiliata come mai prima d'ora.

-Io... Perché?- esce solo questo dalle mie labbra, un suono soffocato e sconcertato che però non muove nulla dentro di lui.

Nemmeno compassione.

-Adesso puoi accomodarti. Grazie.- mi congeda.

Cosa cazzo è appena successo?

Mi alzo, allibita, le ginocchia mi cedono non appena raggiungo la porta e cado, un nodo alla gola. Senza fiato mi rimetto in piedi il più velocemente possibile ed esco dalla stanza: la luce del corridoio mi colpisce in pieno viso e vomito. O perlomeno vorrei farlo, ma il mio stomaco è vuoto e riesco solo a sputare dell'acqua acida.

Vorrei urlare, gridare, prendere a pugni prima lui e poi me stessa per essermi lasciata stare in una situazione del genere, ma non ne ho la forza. Non ho nemmeno più lacrime, e mi appallottolo fuori dalla sua porta sul pavimento di moquette troppo pulito per le mie aspettative.

Gli occhi mi diventano pesanti e il mio corpo si lascia andare, nello stesso modo la mia mente torna nell'armadio e chiude completamente l'anta. Il buio mi investe e mi addormento sia nel corpo, che nell'animo. Sul pavimento, e sui vestiti.

Sogno di essere tornata a casa, dal mio migliore amico. Com'è cresciuto... Come mi é mancato. Lui però  ride, e ride, gli racconto di una villa enorme e di cinque ragazzi che abusano di me e di un bambino, e ride ancora. D'altronde è stato solo un incubo... Poi, di notte, torna mio padre dal lavoro. É arrabbiato, ha litigato con il suo capo al lavoro, ha bisogno di sfogarsi, ha bisogno di me. Quindi mi strappa i vestiti di dosso, e così trova qualcosa per cui ridere. E ride, ride di me. Anche mia mamma ride di me, mi ripete che sono la sua delusione, e che le ho rovinato la vita. Che ride per non piangere. Che sono così patetica che la faccio ridere. Patetica. Patetica, patetica, patetica. Gli occhi azzurri di Daniel entrano nel mio campo visivo: "Non sono patetico?" "Mi disgusti" "Come una piccola puttanella". Ride anche lui adesso, ridono tutti.

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