Jev's POV
-Portala in camera sua. E assicurati di chiudere bene la porta, questa volta.- mi ordina Jacopo.
Io l'avevo chiusa la porta. Non è colpa mia se lui ha tanto insistito perché le chiavi fossero lasciate per terra dall'altra parte del corridoio, cosicché ognuno dei ragazzi potesse entrare e uscire dalla sua stanza.
Mi chino su di lei quanto basta per poterle parlare a bassa voce. Non ho idea di che cosa sia successo: quando sono arrivato, dopo aver sentito un vociare concitato in corridoio, lei era già distesa sul pavimento.
-Emma...- la chiamo in un sussurro.
Devono averle fatto male: sta qui per terra, piegata in due, con gli occhi serrati e le gambe strette al petto, scossa da spasmi.
-L'avete picchiata?- la mia voce esce più melliflua e tranquilla di quanto io dentro non sia. il fatto che nessuno risponda, né Drew né Jacopo, mi dà la conferma di cui avevo bisogno.
-Siete dei viscidi bastardi.
Cazzo. Vorrei massacrarli tutti di botte, dal primo all'ultimo. Che gusto c'è a scaricare la propria violenza su una ragazzina così innocente, su un corpo così fragile? Bisogna proprio essere dei vili di merda.
-Su. Ti porto in camera tua. - mormoro dopo qualche secondo di silenzio generale. Nessuno dei due pare aver colto la mia provocazione: forse sono ben consapevoli della stronzata che hanno commesso. Lo spero bene.
Le faccio passare un braccio sotto le ascelle e uno sotto le ginocchia e la sollevo da terra sotto lo sguardo severo di Jacopo e quello allibito di Drew.
-Quando hai finito di insultarmi, vedi di portarla in camera sua.- mi ordina di nuovo il primo.
Drew ridacchia e aggiunge:
-La parola "viscido" è passata di moda da tempo, amico.Stringendo Emma tra le mie braccia, digrigno i denti per non rispondere a quelle inutili provocazioni e mi avvio verso camera sua. Assicurarmi che stia bene e metterla a letto sono i miei scopi più importanti al momento.
-Compermesso.
Emma's POV
Sono passati due giorni, lenti e noiosi. Ieri ho dormito quasi tutto il giorno, ma era un sonno leggero interrotto in continuazione da fitte lancinanti allo stomaco. Oggi, invece, ho letto qualche altro passo della Certosa di Parma (ad una seconda lettura, se devo essere completamente sincera, si sta rivelando piuttosto tediante) e ho continuato a scorrere la playlist di Jev: tutta musica commerciale scadente. nella mia testa ho inventato diverse storielle, come mi consigliava sempre di fare mio papà quando, da piccola, non riuscivo ad addormentarmi. All'epoca, la trama era sempre la stessa: una piccola giraffa gialla e arancione stringe amicizia con un elefante azzurro, e insieme devono soccorrere una scimmietta rapita dal leone cattivo. Prima di arrivare alla scena del salvataggio mi addormentavo sempre, e la volta successiva ricominciavo da capo per completezza. Ma non la finivo mai.
Intorpidita ed annoiata, mi trascino davanti allo specchio intero che ricopre l'anta del grande armadio vuoto. Tiro fuori la lingua e faccio una boccaccia. Poi un'altra. E un'altra, finché non trovo la più buffa.
Un sorriso flebile si fa largo sul volto della ragazza nel riflesso, lievemente divertita dalla mia idiozia. Torna subito seria. Mi osserva, mi studia. Ha gli occhi gonfi, le labbra screpolate, la pelle semi trasparente la condanna ad un colore bluastro. Le sue mani, sottili e tremanti, si posano con incertezza sull'orlo della maglietta e la sfilano dalla testa. Il tessuto viene lasciato cadere ai suoi piedi, e ne avverto la chiara presenza anche sui miei. Il suo corpo pallido ed emaciato ora è riparato solo da un paio di boxer. La pelle sul suo ventre è tesa e livida, di colore rossastro con sfumature violacee; la sfiora appena con i polpastrelli freddi di una mano, e un dolore insopportabile si irradia per tutto il mio corpo. Già solo stare in posizione eretta con le spalle dritte mi provoca un male costante. Distacco lo sguardo da quella ragazza riflessa nello specchio e lo porto sull'interno dei miei avambracci: i tagli orizzontali si sono rimarginati e ora vi sono solo sottili strisce rosse che prudono.
Uno stridio acuto mi richiama alla realtà e mi volto di scatto verso l'origine del rumore: la porta di camera mia si sta aprendo. Perdo qualche attimo a realizzare che ero così distratta da non aver nemmeno sentito le chiavi girare nella serratura, e quando qualcuno entra nella camera trovandomi seminuda di fronte ad uno specchio l'unica cosa che a cui penso d'impulso è coprirmi il seno con le braccia.
Daniel.
Il suo corpo imponente è fasciato da una maglietta nera che va d'amore e d'accordo con i suoi capelli. Lo sguardo che mi rivolge è duro e severo, ma si riempie di lussuria non appena si rende conto della mia nudità. L'imbarazzo mi tinge le guance di rosso mentre tento di coprirmi alla bell'e meglio e i suoi occhi azzurrissimi percorrono con malizia tutto il mio corpo.
Nell'arco di pochi secondi, però, le sue pupille si abituano al buio ed è evidente che si accorga dell'ematoma sulla mia pancia attraverso la penombra della camera. Per la seconda volte nel giro di un minuto, il suo sguardo cambia e tramuta in un'espressione a metà tra il preoccupato e il dispiaciuto. Entra nella stanza accostandosi la porta alle spalle, in due falcate raggiunge il comò di fronte al letto e vi appoggia sopra un vassoio ricoperto di cibo. Lancia un'occhiata stranita al piatto rotto lì vicino, ma non commenta.
Nel frattempo io mi accingo a rivestirmi, ma non appena se ne rende conto la sua voce roca e stranamente dolce spezza questo silenzio carico di tensione.
-Posso vedere?
E' una richiesa talmente tanto inaspettaa che ci metto qualche secondo per rispondere un flebile "sì".
Si avvicina lentamente al mio corpo praticamente nudo, ma senza regalarmi, per fortuna, sguardi lascivi. Quando si ferma, è a pochi centimetri di distanza da me: la sua altezza mi stupisce ancora una volta mentre il suo profumo mi avvolge in una nube.
Appoggia una mano sulla mia pancia. Trasalgo per il dolore, e per la piacevole sensazione che mi dona il suo palmo caldo sul mio ventre gelido. E' un contatto intimo e nuovo, per me. Mi accarezza lentamente per qualche secondo prima di scostarsi.
-Mi dispiace, Bambi. Non avrei dovuto permetterlo.
-Non avrei dovuto origliare.
Mi rivolge un sorriso dispiaciuto, poi si china e raccoglie da terra la mia maglietta.
-Alza le braccia. Tranquilla, non guardo.- mormora la sua voce calda e avvolgente. Stanca e intorpidita dal dolore e dal freddo, rimango col petto nudo di fronte a lui e sollevo le braccia. I suoi occhi rimangono castamente puntati nei miei mentre mi infila la maglietta.
Daniel mi rivolge l'ennesimo sorriso compassionevole prima di parlare nuovamente.
-Ti sei tagliata tu i polsi?
E' una domanda retorica, perché sa benissimo che è così. Presa dal momento intimo e profondo tra me e lui, ho dimenticato di coprire le ferite in via di guarigione. Non sono nulla di eccessivo, ma a mente lucida mi vergogno profondamente del male che mi sono auto-inflitta. Nella situazione in cui mi trovo, tutti sono miei nemici e io sono la mia unica alleata: non posso permettermi di dichiarare guerra anche a me stessa. E' da stupidi. Ed è da stupidi anche dimostrare quanto sono debole e instabile ad uno dei suddetti nemici.
-Stavi contemplando nello specchio la devastazione del tuo corpo?- ora nel suo tono c'è un velo di rimprovero
-Più o meno.
Daniel emette un lieve sbuffo, poi mi afferra dolcemente per le spalle e mi fa voltare di nuovo verso lo specchio.
-Guardati.
Osservo il riflesso: c'è la stessa ragazza di prima e alle sue spalle, subito dietro, un ragazzo dai capelli corvini e gli occhi chiarissimi più alto di una quindicina di centimetri. Lui ha un'espressione dura in volto, con le labbra serrate e le sopracciglia crucciate, ma il suo sguardo sembra ammorbidirsi quando incontra quello della ragazza.
-Sei bellissima. In qualsiasi tua forma.
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Bambi
RomanceBambi per me era come un bicchiere di cristallo: così bello, eppure così fragile... E in quel momento mi parve di percepire, (non nel cuore, no, più giù, nello stomaco) il frantumarsi di quel bicchiere in mille pezzi. Lentamente, ma inesorabilmente...