Piano di fuga (più furbo)

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Emma's POV

Quando mi sveglio, la mia guancia è incollata a qualcosa di caldo e liscio che si muove su e giù ritmicamente. Qualcosa di vivo. Alzo la testa di scatto, spaventata, ma mi servono solo pochi secondi per riconoscere Jev che dorme placido, un lieve cipiglio sul viso.
Il cuore inizia a pompare più velocemente nella mia cassa toracica per lo strano risveglio mentre scendo dal suo letto.

I tagli sui polsi mi bruciano tremendamente, ricordandomi ciò che è accaduto stanotte, ma almeno ho qualcosa su cui concentrare le mie emozioni.

Cerco di ragionare a mente lucida mentre penso al da farsi; e ora? Torno in camera mia? Decido prima di controllare come ho lasciato il bagno l'ultima volta che ci sono stata. Non ricordo di aver pulito, né di essere uscita dalla piccola stanza. Probabilmente mi sono addormentata lì, sul pavimento, e poi mi sono trascinata in dormiveglia nel letto. Oppure mi ci ha portato Jev.
Il solo pensiero mi fa arrossire.

I miei piedi nudi (devo aver perso le calze durante la notte) battono sul pavimento freddo sino a raggiungere il bagno: il disastro che ho lasciato stanotte è ancora lì. Spero che Jev non se ne sia accorto.

Lentamente, svolgo la cartigenica impregnata di rosso dai miei polsi: i tagli più profondi sono ancora aperti e tre in particolare rigettano sangue. Tampono con dell'altra carta e guardo l'ora: sono le quattro mezza.
La luce proveniente dalla finestra mi fa capire che siamo a più di metà pomeriggio. Ho dormito quasi tredici ore... Chissà a che ora è arrivato Jev. Chissà dov'era.
Probabilmente si è incazzato per il fatto che fossi nel suo letto. E qui ho lasciato un casino. Probabilmente mi picchierà anche lui se, da sveglio, vedrà che sono ancora in mezzo alle palle e noterà il bagno sporco.

La tachicardia prende il sopravvento mentre afferro altra cartigenica passandola sul sangue per terra, sul bordo del lavandino e nella vasca. Ma più pulisco più questo si sparge, più dai miei polsi ne gocciola fuori altro.

Ho il respiro affannato mentre penso a una scusa, una qualsiasi per la quale dovrebbe almeno aver pietà di me... Sono stata cosi stupida ad addormentarmi nella suo stanza, non avrei dovuto, solo che ero così stanca e...

-Shhh, ehi. Calmati.- qualcuno si inginocchia dietro di me, circondandomi il corpo con le braccia.

-Calmati.- ripete, la voce resa rauca dal sonno.

Non appena si accorgerà del disastro qui in bagno, darà di matto. E non posso sopportare altri schiaffi, né altre urla.

-Ti prego.- ansimo, ho la voce rotta dal pianto. -Ti prego non farmi male.

-C-cosa?- balbetta confuso.

-Non farmi male.- ripeto piano.

Il ricordo di ieri sera è troppo vivido nella mia mente.

In risposta, Jev mi solleva tra le sue braccia come se fossi una bambina. Non sta urlando né niente, per cui appoggio la testa sul suo petto respirando il suo profumo, che in qualche modo mi calma.
Jev non mi ha mai fatto male, è l'unica persona di cui posso tirarmi qui dentro.

Mi accorgo che stiamo uscendo prima dal bagno, dopo dalla camera da letto, poi che stiamo scendendo le scale secondarie, quelle che lasciano direttamente davanti al bagno di servizio al pianterreno.

Entriamo e lui mi appoggia sul water chiuso, prima di prendere a frugare nei medicamenti.

-Allunga le braccia.- mi ordina mentre bagna della stoffa con il disinfettante.

Eseguo in silenzio, e inizia a tambonarmi con cura i tagli che bruciano come fuoco.
Mi mancava questa sensazione.

-Non avresti dovuto farlo.- mormora con malcelata disapprovazione.

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