capitolo 33

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Risvegliarsi nella casa di sempre, senza sapere che quando mi sarei svegliato l'avrei vista e che avrei passato del tempo con lei, sembrava sbagliato, dannatamente sbagliato. Era lunedì mattina e io sarei dovuto tornare a lavoro e alla mia vita di sempre. Andai in bici fino al mio posto di lavoro e scrissi il messaggio del buon giorno a Rose. Mi rispose alcune ore dopo, ma io ero troppo impegnato a servire bevande alle persone. Il bar iniziava ad affollarsi sempre più, e servire tutti in modo perfetto era diventato ormai impossibile, soprattutto con quel caldo, e con alcuni bambini che bevevano ancora cioccolata calda, il caldo sembrava aumentare. Verso l'ora di pranzo le persone iniziavano a diminuire, e dalle bevande mattutine e croissant, si passa ai pani, dalle persone distinte che bevono il caffè, e dalle ragazze alle prese con borse piene di vestiti che prendono un the freddo o un acqua, si passa alle persone in pausa pranzo, alle prese con un pasto veloce. Comprai anche io un tramezzino, e lo mangiai velocemente, dato lo scarso tempo libero dietro al bancone. Sceglievo sempre lo stesso, tacchino, salsa tonnata e carote, fin da quando ero piccolo. La scena poi iniziò a diventare sempre più depressa, il bar iniziava a svuotarsi e io mi ritrovavo senza aver niente da fare, se non stare appoggiato al bancone a fissare il vuoto e la mia mente iniziava ad affollarsi di pensieri, è tutto ciò a cui riuscivo a pensare era Rose, lei era costantemente nei miei pensieri, e non sapevo come liberarmene per trovare un po' di pace finalmente.
-mi manchi- sussurrai guardando a terra e sbuffando tristemente.
Mi sentivo perso, senza di lei al mio fianco il mondo mi pareva vuoto. Una figura d'uomo si piazzò davanti a me e interruppe il flusso dei miei pensieri. Avrà avuto una cinquantina d'anni, aveva i capelli bianchi e radi e degli occhi azzurri penetranti.
-vorrei un caffè macchiato- mi chiese sorridendomi gentilmente.
-subito- gli dissi asciugandomi una lacrima che mi stava rigando la guancia.
-grazie- mi rispose sedendosi in un tavolino davanti al bancone. 
-da quando lavori a questo bar ti ho sempre visto con un sorriso stampato in faccia, cosa ti succede oggi?- mi chiese lasciandomi perplesso.  
Il cliente mi stava rivolgendo un sorriso così amichevole che mi sembrava giusto rispondergli, così dopo avergli portato il caffè mi misi pietro il bancone e poggiai i gomiti su di esso
-ehm, è un brutto periodo, cose che capitano- gli risposi tenendomi vago.
-certo, l'amore fa brutti effetti- mi disse facendomi l'occhiolino -si l'ho capito- e mi sorrise.
Io mi zittii subito e sentii lo stomaco andare in subbuglio, riuscivo a sentire gli occhi gonfiarsi per le troppe lacrime che si stavano accumulando. 
-ho fatto la domanda sbagliata, vero?- mi chiese.
-no, stia tranquillo, lei non poteva sapere- gli risposi cercando di sorridere. Fu un tentativo vano, perchè l'unica cosa che mi uscì era una smorfia ricordante un sorriso, e l'uomo vedendo la mia faccia si fece una risatina sotto i baffi. 
-hai ragione, e mi sa che io devo andare, è stato un piacere parlare con te- mi disse avvicinandosi al bancone portandomi la tazzina. 
-anche per me è stato un piacere- gli risposi mettendo a lavare la tazza. 
-tieni il resto e buona giornata- mi disse posando una banconota da cinque euro vicino alla cassa. 
-ma ne è sicuro?- gli chiesi sorpreso per tutta quella gentilezza. 
-certo, ciao- mi disse uscendo, accompagnato dal tintinnio del campanello appoggiato alla porta. 
Finii il turno in tranquillità e alle quattro ero già sulla mia bici pronto ad andare a casa. Tornai a casa ripensando a quell'uno che io non avevo mai visto, lui mi conosceva, mi aveva visto tutti i giorni da quando lavoravo in quel locale, e io non avevo mai fatto caso alla sua presenza. Forse certe persone ci colpiscono più di altre, o forse vediamo solo quello che vogliamo vedere. 
Arrivato a casa, dopo aver portato la bici in garage, mi diressi subito verso il bagno per fare una doccia. Dopo essermi rivestito, con i capelli ancora umidi, mi stesi sul letto e presi il telefono e scrissi a Rose. Mi era mancata così tanto, per tutto il giorno non ci eravamo mai scritti, e io avevo bisogno di lei. Ci scrivemmo per tutto il pomeriggio, mentre io giravo per casa spostandomi dal letto, al divano, alle sedie della cucina. Per la prima volta in tutta la giornata sentivo di poter sorridere veramente e di non dovermi sforzare per sembrare felice. Anche scriverle semplicemente rendeva ogni secondo migliore, e ogni attimo degno di essere vissuto. Avevo bisogno di lei. Aspettavo con ansia di poterla rivedere, anche solo per un giorno, nonostante ci fossimo visti un giorno fa, ma lei mi mancava già. Avevo bisogno delle sue labbra, premute contro le mie, di un suo abbraccio, che nonostante non fossero stretti esprimevano tutto il suo amore, avevo bisogno di sentire la sua voce, di sentirla pronunciare il mio nome, che nella sua bocca aveva un suono così bello e melodioso, e ogni volta che diceva il mio nome mi mozzava il fiato. Quella sera dopo cena presi ancora il telefono e abbandonai i miei genitori davanti ad un film, per stendermi sul letto e continuare l'avvincente conversazione che avevo interrotto prima con Rose, e verso le undici la salutai, dato che era stanchissima, e finalmente ricominciava a dormire. Appoggiai il telefono sul comodino e lo collegai al caricabatterie. Fissai il soffitto e sorrisi, era così bello pensare che una persona speciale come lei era mia. 

Perché stai piangendo? (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora