capitolo 40

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Uscii il più velocemente possibile e accesi la pila del telefono. Avevo la mano che tremava. Con il fiato corto, sia per l'ansia che per la corsa più veloce della mia vita, mi fermai davanti alla stradina che portava a quella voliera diroccata. Non mi sentivo pronto. Avevo una brutta sensazione. A passo lento e incerto mi diressi verso quella casetta. Iniziai facendo il giro della struttura decadente, ma non trovai nulla. Entrai e ancora niente, salii e non c'era nessuno, forse avevo sbagliato posto. Cercai di passare per la finestra per arrivare al tetto, e come la volta precedente ci andai a sbattere contro. Ero sul terrazzo e non c'era nessuno. Mi sporsi per guardare sul tetto, e vidi una mano, non avevo coraggio di sporgermi di più. Con le mani che tremavano feci forza sulle braccia e salii sul tetto senza guardare.

-Rose?- la chiamai.

Nessuno mi rispose.

-Rose?- dissi a voce più alta.

Ancora niente.

Le toccai la mano, era gelida, le stavo dando le spalle, non avevo coraggio di guardarla, non ero pronto, avevo paura. Avevo il petto che bruciava e le lacrime che iniziavano a bagnarmi le guance.

-Rose, ti prego, dimmi che è solo un brutto scherzo- le dissi mentre mi giravo con gli occhi chiusi.

Aprii gli occhi, i miei incubi si erano materializzati davanti a me.

-no amore mio- le urlai con tutta la disperazione che c'era dentro di me -perchè ti sei fatta questo? Perché mi hai fatto questo? Perché ci hai fatto questo?-.

Mi trascinai verso di lei e la abbracciai, era di ghiaccio. Le toccai le guance e le diedi un bacio.

-amore mio perché?- le sussurri con l'ultimo filo di voce che mi restava.

La strinsi a me, consapevole del fatto che non avrei più potuto abbracciarla, sapendo che non avrei più sentito il suo profumo, che non avrei più sentito quel brivido sulla pelle quando mi toccava con le sue dolci manine. Non l'avrei più sentito le sue labbra a contatto con le mie, le sue morbi labbra che tanto avevo desiderato. Ero distrutto, non riuscivo a muovermi, ero inchiodato a lei e a quel tetto. Cercai di immaginarmi i suoi ultimi momenti su quel tetto, che l'aveva vista crescere, tra quelle mura dove aveva giocato da piccola, dove aveva sognato ad occhi aperti, dove aveva riso e pianto, dove era morta.

Sentii le sirene arrivare verso di me. La baciai, sapevo che sarebbe stata l'ultima volta che avrei potuto farlo.

-siamo qui- cercai di urlare tra i singhiozzi appena qualcuno scese dall'ambulanza.

Mi aiutarono a farla scendere dal tetto, poi scesi anche io e li raggiunsi in ambulanza, salii con loro.

-ti amo- le sussurrai, pur sapendo che non avrebbe mai potuto sentirmi, prendendole la mano e dandole un bacio su di essa.

Dopo dieci minuti di snervante attesa fuori dalla porta dell'ospedale vicino a casa sua sentii un urlo disperato che mi fece gelare il sangue nelle vene, poi udii anche il suono sordo di un corpo privo di sensi che cade a terra. Persi ogni speranza, poi un medico porgendomi un pacchetto di fazzoletti diede anche a me la notizia certa della sua morte, si era avvelenata con del mercurio.

Non voleva più soffrire e ha deciso di porre fine alle sue sofferenze, ma facendo così soffrire noi.

Le gambe sembravano non voler più sostenere il peso del mio corpo, quindi mi lanciai su una sedia. La mia testa stava realizzando la situazione, ma il mio cure non voleva accettare tutto quello che era successo. Iniziai a vedere tutto sfuocato, le lacrime mi stavano riempiendo gli occhi, mi raggomitolai sulla sedia dalla disperazione. Non mi permisero di vederla quel giorno.

Tornai a casa di Rose con i suoi genitori dopo ore interminabili passate a piangere, mentre i suoi genitori stavano firmando carte.

Durante il pomeriggio vennero a trovarci delle amiche di Rose, loro sapevano così tanto di me e io non mi ricordo nemmeno il loro nome. Con la loro visita ricevetti tanti abbracci e tante frasi del tipo:

-Rose ti amava veramente-.

-mi dispiace per voi, eravate così innamorati-.

-si vedeva che eravate innamorati, Rose era piena di vostre foto-.

Anche se cercavano di aiutarmi mi stavano solamente abbattendo.

Verso le sei di sera ci raggiunsero anche Sarah e Robin. Lei era distrutta, la prima cosa che mi disse fu:

-è colpa mia, io lo so, è colpa mia, io non volevo questo-.

Cercai di rincuorarla, ma avevamo entrambi bisogno di conforto e non sapevamo come aiutarci. In quel momento avevamo entrambi un bisogno estremo di Rose, lei sapeva sempre come reagire in queste situazioni. Mi manca così tanto.

Verso le dieci il via vai di persone si fermò e finalmente potemmo tranquillizzarci, per quello che potevamo stare tranquilli.

Nessuno di noi parlò.

Nessuno di noi andò a letto.

Restammo seduti a fissare il tavolo di legno.

Nessuno di noi alzò lo sguardo.

Nessuno di noi smise di piangere anche un solo secondo.

Restammo fermi, per tutta la notte, a piangere insieme.

Perché stai piangendo? (IN REVISIONE)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora