Pizzo rosso, seta nera

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Manoscritto ritrovato accanto al cadavere impiccato del detenuto 214576

Scrivo questa dichiarazione in uno stato di particolare stress emotivo. Non so neanche io cosa mi sia successo esattamente quella sera di oltre un anno fa: secondo gli agenti di polizia, sono stato ritrovato in una camera da letto di un appartamento in via Trento alle ore 00.08, mezzo nudo e sporco di sangue, accanto al corpo della mia ragazza... o meglio, quello che rimaneva per l'identificazione. La scientifica ha provveduto agli accertamenti del caso, dimostrando con certezza che le ferite mortali sono state inferte con molta forza, e i graffi e i tagli sono dovuti sicuramente all'uso di un'arma affilata, un coltello da cucina, identico a quello che gli agenti di polizia mi hanno ritrovato in mano. Secondo la ricostruzione, e secondo le testimonianze degli inquilini del condominio, io e la mia compagna siamo rientrati alle 23.26 nell'appartamento. Verso le 23.43 abbiamo cominciato a discutere, non si sa bene per quale ragione. Alle 23.50, gli schiamazzi nell'appartamento sono aumentati e in particolare sembra che io stessi urlando irrazionalmente, colto da una specie di spavento innaturale, e infine, alle 23.57, si è sentito un urlo disumano, seguito da uno strano rumore, appena udibile, che nessuno è riuscito ad identificare con certezza.

Quando la polizia ha fatto irruzione, mi hanno dato appena il tempo di vestirmi, per poi sbattermi in cella in attesa dell'interrogatorio. Ero troppo scosso per poter essere subito interrogato, e ho passato l'intera notte tormentato da strane visioni ed incubi agghiaccianti. Il giorno dopo non sono riuscito a dire una parola: mi hanno descritto la scena del delitto, mi hanno descritto l'arma, mi hanno anche descritto con particolare attenzione ogni momento dell'aggressione, secondo la loro ricostruzione. Non sono riuscito a dire niente, se non qualche parola appena biascicata a bassa voce. Anche più tardi nei colloqui seguenti non sono riuscito a dire molto.

Intanto, la notizia del mostro era stata diffusa dalla stampa, e le mie foto e il mio nome per alcuni giorni campeggiarono a caratteri cubitali sulle prime pagine dei giornali e sulle aperture del telegiornale. Per più di una settimana, ricevetti solo le visite degli agenti di polizia e del mio avvocato: i primi erano sicuri di stare davanti ad un pazzo maniaco, e non mancarono le volte in cui tornai in cella ricoperto di lividi e schiaffi; il secondo invece, un magro e viscido verme assegnatomi dalla questura, era più interessato a sbrigare in fretta la faccenda, cercando di convincere le autorità di una mia presunta infermità mentale, dove invece i medici psichiatrici vedevano ancora il forte shock della sera del delitto. Quando il processo avvenne, ero ancora incapace di parlare e di poter pronunciare un discorso articolato. Riuscii solo a dichiarare che, nonostante mi sentissi sicuro della mia innocenza, avrei pagato lo stesso il mio debito con la giustizia qualunque esso fosse.

Mi condannarono inizialmente all'ergastolo, ma in seguito, visto il mio stato di salute mentale non completamente sano, ridussero la pena a trent'anni di carcere di massima sicurezza. Per quanto mi riguarda, la condanna peggiore fu quella che mi riservarono le persone a cui volevo bene: è già passato un anno da quella tragica notte, ma nessuno, né tra i miei amici né tra i miei famigliari è mai venuto a farmi visita. Forse è proprio la solitudine, il rifiuto da parte di tutte le persone che conoscevamo di aver mai avuto a che fare con noi che sicuramente fa più male, una volta rinchiusi in una cella di quattro metri per quattro.

Ma la cosa più atroce è constatare che per tutto questo tempo, ogni volta che ho cercato di ricordarmi gli eventi di quella sera, la mia mente non è mai riuscita a concentrarsi per più di un minuto. Era come se ci fosse un blocco che mi impediva di ricordarmi con certezza ciò che mi era successo: e come per uno strano scherzo del destino, ogni sera nei miei sogni ero sicuro di rivivere quelle ore, senza però mai ricordarmi nulla dopo, al risveglio. Per oltre un anno sono stato vittima di incubi e di allucinazioni terrificanti, tanto che in alcuni periodi di questa mia permanenza in carcere i miei secondini hanno dovuto far intervenire un equipe medica per sedarmi.

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