La campanella suonò. Era un ordinario giorno qualunque alla scuola elementare di Brooklyn, con nuvole grigie e uggiose del tempo autunnale, e i taxi che sfrecciavano a tutta velocità sulle strade asfaltate del centro.
Il suono stridulo che scoppiò nelle orecchie dei bambini annunciava il breve momento di svago per loro, magari mangiucchiando le merendine dolci che le proprie madri avevano riposto nei loro porta pranzo.
Il vocio allegro in cortile sembrava echeggiare gioia in quella fredda mattinata, tutti apparivano vivaci e sorridenti, tranne uno, Steve.
Steve Rogers.
Era il figlio unico dei coniugi Rogers, il padre aveva un lavoro come tassista a tempo pieno, e la madre come infermiera al facoltoso ospedale della città. Non erano ricchi, ma se la cavavano abbastanza bene.
Il figlioletto non era come tutti se lo sarebbero aspettato, al contrario, la signora Rogers aveva messo al mondo un gracile ragazzino dai capelli biondi, gli occhi azzurri, ed un asma congenito.
Ed era proprio quello la causa del suo aspetto magro e fragile. Steve era il più indifeso di tutto l'istituto, e ciò significava dare libero accesso ai bulli.
Nonostante la sua scarsa forza fisica, Rogers non era un tipo che scappava piangendo con la coda fra le gambe, combattendo con le unghie e con i denti per non sganciare il pranzo ai bulletti.
Purtroppo finiva sempre con una merendina alla marmellata in meno.
Ma fu proprio quel giorno che le cose cambiarono, fu quando il pugno del bullo venne bloccato invece di finire dritto sul naso di Steve, che le cose cambiarono per sempre.
Come un putiferio di lamenti e colpi, in men che non si dica il gruppetto che infastidiva il biondo corse via a gambe levate, sollevando un'umida nuvoletta di polvere.
Steve riaprì a fatica gli occhi, ancora accovacciato per terra con il porta pranzo stretto al petto; alzò il capo, con il ciuffo biondo che gli solleticava la fronte, inquadrando l'immagine del suo salvatore.
Un ragazzino di un anno più grande di lui si ergeva in piedi, con le mani sui fianchi ed uno sguardo fiero. I capelli castani, scompigliati e mossi ondeggiavano sulla sua testa calda, contornando il suo viso rotondo e paffuto, con un sorriso sbilenco e privo di due denti.
Gli porse la mano, e Steve osservó con cautela quel gesto d'aiuto. Doveva stare ben in guardia, se quel ragazzino aveva effettivamente mandato via i bulli, di sicuro voleva solamente per lui il bottino.
Non biasimatelo, il povero Steve subiva angherie dalla prima elementare, e adesso frequentava la quarta.
Ma con suo enorme stupore, il ragazzino si presentò con intenzioni più che amichevoli. Gli strinse la mano, senza aspettare che il biondo ricambiasse, e lo mise in piedi, pulendo velocemente dai suoi abiti la polvere del cortile.
Steve strizzò gli occhi, come le mani salde lungo i fianchi. Si fece rigido e poi guardò ancora il ragazzino, con le guance rosse come il fuoco dall'imbarazzo.
Il moro raccolse da terra una matita caduta dalle tasche di Steve, porgendogliela con gentilezza.
«Sono Bucky, Bucky Barnes.»
Steve alzò gli occhi, socchiudendo le labbra con stupore, ammaliato dalla naturalezza con il quale si fosse rivolto a lui.
Tutti ignoravano Steve, e i pochi che gli davano retta lo picchiavano. Lui non diceva nulla, né agli insegnate né ai genitori, ma non perché avesse paura delle minacce dei bulli, ma perché fosse troppo orgoglioso per chiedere aiuto. Si meravigliò quando un coetaneo si fece avanti per dargli una mano.
Il minore prese la matita fra le mani e la rimise in tasca: «Steve Rogers.»
Bucky fece una buffa espressione stupita, confondendo Steve: «Oh, posso chiamarti Stevie?»
Rogers aggrottò la fronte, stranito «Cosa?»
«Dai! Io ti chiamerò Stevie e tu, ehm...Bucky è già un soprannome, quindi, vediamo...» sembrava che stesse calcolando la massa atomica della materia a furia di scervellarsi per trovare un nomignolo a se stesso, quando Steve, guardandolo meglio mentre pensava in modo dolce e buffo, sbottò: «Buck.»
Gli occhi verdi di Bucky si fecero enormi, con una luce che avrebbe illuminato tutta Brooklyn. Parve quasi che difronte a lui si fosse presentata la cosa più preziosa e meravigliosa della terra.
Le guance di Steve si fecero ancora più rosse, rendendolo paonazzo in viso.
«Nessuno mi aveva mai chiamato Buck! mi piace un sacco Stevie!»
Rogers si rigirò i pollici chinando gli occhi verso i piedi «Beh, e nessuno mi aveva mai chiamato Stevie...»
«Allora, siamo amici?» domandò Bucky sorridendo in maniera sbilenca.
Steve lo guardò, il suo eroe. Lo aveva salvato dai bulli, gli aveva concesso di mangiare il proprio pranzo, e gli aveva regalato, finalmente, un compagno di giochi e avventure.
Sorrise, annuendo con sicurezza ed entusiasmo: «Si!»
Bucky lo prese con forza naturale, avvolgendo il collo del biondo con il suo braccio ed avvicinandolo al suo petto, camminando via dal vicolo in cui era stato messo con le spalle al muro.
Fu così che tutto iniziò.
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Remember me ||Stucky AU|| ✔
Fanfiction||Stucky au|| Steve Rogers è un giovane ragazzo di Brooklyn brillante ed ostinato. Ha appena finito gli studi al college, ed è in cerca di un lavoro temporaneo in attesa di mettere ben in tavola le proprie carte per il futuro. La sua preparazione sc...