Four

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Tutto intorno a Steve era sordo, come se ogni inserviente, medico e paziente nel corridoio fosse fuori dalla sua bolla. Nemmeno il suo respiro irregolare veniva percepito dalle sue orecchie, mentre camminava a passo veloce, quasi correndo, via da quello che aveva appena visto.
Bucky era lì.
Bucky era malato.
Bucky lo amava ancora.
D'impulso spalancò una porta di servizio che si trovava vicino alla sua traiettoria, si chiuse lì dentro al buio, e si rannicchiò per terra, fra gli scaffali carichi di siringhe sigillate, camici e piccoli bisturi sterilizzati.
Aveva ripreso a sentire, e la prima cosa che gli scoppiò nelle orecchie fu il battito del suo cuore, che gli scombussolò persino lo stomaco.
Come avrebbe potuto affrontare quella situazione?
Era ridicolo che fosse scappato via come un codardo, Dio, in fondo era comunque il suo paziente, e una regola importantissima è non farsi mai suggestionare dalle proprie emozioni.
Aveva affrontato la malattia e la morte della madre, aveva combattuto come un perfetto soldato privo di paura, ma era stato messo al tappeto da un fantasma.
Perché Bucky era proprio quello, un'anima priva di tempo, spazio e ricordi. Una vita consumata dal dolore.
E adesso Steve Rogers, il capitano, stava lottando con se stesso per trattenere le lacrime.
La porta si aprì, e Steve si irrigidì di colpo.
«Devi essere davvero disperato per chiedere il mio aiuto.»
Il rumore dei passi dell'uomo si avvicinavano sempre di più, e quella voce sarcastica aveva letteralmente scaricato un altro omone biondo fuori dalla stanza.
L'uomo, dalla pelle candida e i capelli neri, lunghi fino alle spalle, aveva un camice bianco, come quello della dottoressa Romanoff.
Affiancò Steve, ancora per terra, rimasto in silenzio per l'istintiva reazione di non farsi scoprire. Prese dei pacchi di siringhe per insulina, e poi, con non curanza, chinò svogliatamente lo sguardo verso il biondo.
«Hai cambiato il tuo primo catetere? Voi matricole siete così impressionabili.» sorrise con malizia, rovistando ancora sulla mensola in cerca di qualcosa di più utile.
Steve si rimise in piedi, tirando su di naso e tendono la testa bassa: «No, mi dispiace, torno subito a lavoro...»
L'uomo lo seguì con lo sguardo, alzando un sopracciglio in maniera provocatoria:
«Coraggio, confessa i tuoi peccati all'onnipotente Loki.»
Steve sospirò, mantenendo la distanza dal medico, seppur guardandolo negli occhi.
«È successa una cosa strana...»
«Se non per questo devi confessarla propio al sottoscritto.»
«Avevo un amico, una volta, un amico davvero speciale...mi ha dato tanto, io gli ho dato tanto, ma poi è scomparso dalla mia vita. E adesso è un mio paziente, proprio nella stanza cento sette, con una rara forma di alzheimer precoce e dei ricordi troppo vecchi.»
Loki fu colto di sorpresa quando sentì quel numero, quasi fece trapelare il suo stato d'animo, compromettendo il suo sarcasmo.
«Oh, James.» disse.
«L-lo consce?» domandò Steve balbettando.
«Certamente, il mio caro amico James Barnes, lo ho in cura da quando è stato ricoverato qui, aveva circa diciotto anni, ed io ero appena stato assunto. Lo conobbi quando finì in terapia intensiva, i primi due anni, per colpa di un infarto. È incredibile quanto tempo ci impiegò per rimettersi in piedi, ma alla fine tornò più forte di prima. Certo, sempre un po' smemorato, non c'è da obbiettare su questo, ma sembrava felice nel suo mondo fantastico.»
A Steve si accapponò la pelle, metabolizzando il fatto che Bucky era quasi morto, mentre lui conduceva una vita normale.
Deglutì, stringendo i pugni.
«Credevo che fosse partito, che si fosse costruito una nuova vita. Adesso è mio paziente, ed io non so come gestire questa situazione.»
Il medico dagli strani capelli lunghi in stile punk lo guardò con più attenzione, come se stesse cercando di ricordarsi di lui.
«James ha sempre parlato di un ragazzo biondo dagli occhi azzurri. Anche quando lo stadio della sua malattia è peggiorato, e dalla sua memoria ha eliminato tutto, la sua famiglia, le sue storie, qualsiasi cosa, per tutti questi anni non ha fatto altro che ripetere di essere fidanzato con un biondino asmatico.»
Roger sgranò gli occhi, bagnandosi le labbra secche.
«Quel ragazzo sei sempre stato tu, non è così?»
La sua voce vacillò, come se non avesse il controllo sulle sue corde vocali: «S-si...»
Loki si avvicinò a lui, con in mano un mucchio di scatole. Lo fissò negli occhi, diventando serio tutto di colpo.
«Sono molto affezionato a James, ed è strano, perché è l'unico essere umano che tollero, quindi, fai di tutto per restituirgli la felicità. Ridargli la sua vita, per quanto tu possa provarci.»
Steve serrò le labbra ed annuì sicuro da bravo soldato: «Si, ci proverò.»
Il medico riaprì la porta, dandogli le spalle con una camminata disinvolta: «Io mi riterrei fortunato, James non ha il catetere.»
Steve rimase di nuovo solo. Non riuscì ad interpretare esattamente il discorso che aveva appena avuto con quell'inquietante medico, ma di certo aveva capito che doveva andare avanti, e non fermarsi davanti al primo ostacolo.
Perché aveva reagito in quel modo? Beh, perché lo amava ancora.
Cristo, ogni sua cellula lo amava ancora, esattamente come quando lo aveva conosciuto a scuola. Tutto era cambiato di Bucky, ma non il suo respiro. Quello era rimasto invariato, sempre con lo straordinario potere di poter fare ribollire il sangue di Steve.
Si diresse con decisione di nuovo nella camera numero cento sette, con il cuore a mille.
Entrò nella stanza, e riviste quell'uomo che pareva diverso. Giocava con i pollici, tenendo lo sguardo fisso sulle sue mani, incantato. Stavolta fu più vivace, prestando immediatamente attenzione alla presenza di Rogers.
Il biondo si avvicinò al letto e riprese la cartella fra le mani.
«Io sono il dottor Steven Rogers, mi prenderò cura di te da oggi in avanti.» disse, quasi certo che Bucky avrebbe reagito. Steve rimase in silenzio ed aspettò serio una risposta, che non arrivò.
«Ci siamo già conosciuti, quando eravamo bambini. Sono...» il biondo si allarmò, irritato e demoralizzato, iniziò a gesticolare. Si calmò, riflettendo sul fatto che quello davanti a lui non era il Bucky con cui aveva parlato l'ultima volta.
«Sono Stevie, Buck.»
Ll moro si mise dritto, sorridendo come aveva fatto la prima volta. Steve ricambiò quella reazione, come un completo idiota lo imitò:
«Non devo più usare l'inalatore, Buck, i dottori hanno guarito il mio asma.»
Bucky lo guardò dall'alto in basso, mentre Steve si sedeva sul materasso difronte a lui, ridendo con una fossetta fra le guance:
«Ti ricordavo più piccolo.»
«E io ti ricordavo meno barbuto.» entrambi sorrisero ingenuamente.
«Dobbiamo studiare per il compito di domani Stevie, io non ricordo molto bene le risposte, devi aiutarmi...» Bucky scosse il capo con una lieve preoccupazione, ma Steve gli prese il viso fra le mani, dolcemente, sussurrando con voce ferma e sicura:
«Sta tranquillo, ti aiuterò io, sarò con te fino alla fine.»
Bucky si insediò nei suoi occhi, socchiudendo le labbra ed avvicinandosi al suo viso. Poggiò delicatamente le mani sui fianchi di Steve, e lo baciò, chiudendo gli occhi.
Il biondo strinse più forte il suo viso, respirando pesantemente con il naso, in preda ad una malinconia talmente grande da poterlo inghiottire. Ricordò quel bacio come il primo, in quella spiaggia buia durante la sera invernale e gelida, a Brooklyn. I piedi ammollo nell'acqua, il naso arrossato e le loro labbra unite dopo una dichiarazione improbabile. La lingua di Steve sapeva di alcol, mentre quella di Bucky aveva il gusto di libertà.

Remember me ||Stucky AU|| ✔Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora