«Non vuole più vedermi.» disse Steve a Peter, l'unico rimasto con lui, seduto nella sedia accanto alla sua nella sala d'aspetto dalla moquette rosso scuro. Non assettavano più che un loro caro uscisse dalla sala operatoria, stavano lì, in silenzio e soli, senza un posto preciso in cui andare in quelle circostanze. Avrebbero dovuto andarsene e lasciare Bucky da solo? Avrebbero dovuto restare e tentare ancora? Per cosa? Per continuare a viaggiare su quelle montagne russe? La vita di James era fatta così, con momenti buoni e ricchi di speranza e momenti bui.
«Non devi mollare così in fretta, ha solo bisogno di tempo.» mormorò Peter, lo incoraggiandolo a denti stretti.
«Sono quasi stanco di tutta questa storia, non hai idea di quanto possa essere grande la delusione di essere dimenticato in un solo secondo dopo settimane di duro lavoro. Tutto sparisce nel nulla e non torna più, e perché continuo a provarci?»
«Perché tu lo ami Steve. Lo ami come io amo Wade, come mia padre amava mia madre, come quella dottoressa dai capelli rossi ama il tizio biondo e strano!»
Steve sorrise a quell'ultimo paragone, chinando il capo timidamente. Il ragazzo si mise in piedi difronte a lui e si avventurò nel lungo e tenebroso corridoio ospedaliero.
«Dove credi di andare?» gli chiese il biondo seguendolo ma restando comunque due passi indietro.
«A trovare Bucky, è l'orario delle visite, no?»
Steve gli strinse il polso ma con una mossa veloce e poco violenta Peter si liberò, guardando il tirocinante in maniera confusa.
«Tu non vai da lui.» gli ordinò severo. Peter sorrise divertito e scollò la testa: «Tranquillo. Cosa potrà farmi? Lanciarmi un sinistro?»
Steve sbuffò per quella battuta poco appropriata, alzando gli occhi al cielo e lasciando il tempo necessario al ragazzo di sgattaiolare via. Alzò una mano e cercò di mantenere un tono educato per non essere ripreso da qualche inserviente dell'ospedale; «Per fortuna ho indovinato il braccio giusto! Ho tirato ad indovinare!»
Le Vans rosse sporche di Peter emettevano un fastidioso rumore contro il pavimento troppo lucido e perfetto; a passo veloce come se stesse correndo, iniziò ad orientarsi, o almeno ci provò, fra la moltitudine di stanze tutte dannatamente uguali. Il reparto era quello giusto, lo stesso da cui era venuto Steve, ma come avrebbe fatto a trovare Bucky? Andare alla cieca non lo avrebbe aiutato affatto, perciò l'unica soluzione pareva quella di chiedere indicazioni. In fondo al corridoio una ragazza dai capelli biondi stava sistemando qualcosa in un carrello operatorio, un'infermiera giovane che di sicuro sarebbe stata comprensiva e lo avrebbe aiutato. Peter si avvicinò a lei sistemando i capelli, anche se il suo aspetto trasandato era quasi irrecuperabile. Raddrizzò la schiena e si mise difronte alla ragazza:
«Mi scusi...» la sua voce si fece tremolante quando capì che la scontrosità dell'infermiera non l'avrebbe aiutato. Scrutò di fretta il cartellino appuntato al suo camice sperando di non sbagliare la pronuncia del suo nome: «Raven...avrei bisogno di indicazioni.»
Lei continuò a sistemare i pacchetti sterilizzati di aghi e bisturi ascoltandolo di rado e annuendo.
«Sto cercando il signor Buck...voglio dire, Barnes.» la sua memoria era quasi peggiore di quella del malato.
Raven fece silenzio per alcuni secondi e poi indicò con l'indice il corridoio; «Terzultima porta in fondo al corridoio, gira a destra dopo il ripostiglio degli inservienti.»
Peter deglutì ripassando velocemente quelle indicazioni, sorridendo anche se la donna non lo guardò nemmeno per un secondo: «La ringrazio.»
E mormorando fra se e se ciò che gli aveva spiegato la ragazza dai capelli biondi, Peter fece attenzione al difficile percorso e pregò di non aver sbagliato stanza quando bussò alla terzultima porta. L'aprì timorosamente non ricevendo alcuna risposta, decidendo di tentare, ormai trovare Bucky era diventata una missione prioritaria. Trattenne il fiato e lo vide. Forse sarebbe stato meglio aver sbagliato camera, ed un'idea molto più sensata sarebbe stata quella di non andarlo a trovare. Non aveva mai visto nessuno ridotto in quelle condizioni, e vedere una persona priva di un arto non era qualcosa che poteva capitare tutti i giorni. Lo aveva visto mentre perdeva sangue con la ferita aperta quasi fosse un film dell'orrore, ma in qualche modo l'aveva superato perché gli era bastato solamente distogliere lo sguardo e concentrarsi sul coraggio piuttosto che sull'emorragia, ma quella era una scena ben diversa alla quale non poteva cercare distrazioni. Si avvicinò lentamente, con le mani basse. Mantenne la distanza fra il braccio mancante abbastanza da permettergli di non sentire l'odore nauseabondo del disinfettate. Scrutò per curiosità la provenienza di quei piccoli tubicini attaccati alla ferita e cercò di non dare di stomaco. Troppo distratto da quella specie di medicazione disgustosa Peter non si accorse che Bucky lo stava fissando da quando era entrato. Parker notò l'espressione confusa del moro verso di lui e scrollò il capo goffamente.
«Scusami, non volevo sembrare maleducato...»
«Chi sei?» era una domanda che di sicuro faceva a chiunque, e che non avrebbe dovuto smuovere Peter che sapeva bene della sua malattia, ma purtroppo il ragazzo ci rimase male. Fin troppo.
Corrugò le sopracciglia impietosito e socchiuse le labbra, e disse: «Sono io, sono Peter.»
Bucky aggrottò la fronte e lo squadrò di nuovo da capo a piedi. Il ragazzo si riempì i polmoni di aria e coraggio, iniziando a stabilizzare la sua voce:
«Tu sei Bucky, Bucky Barnes. Sei malato di alzheimer precoce, ed hai avuto un incidente. Me lo hai detto tu il tuo nome, quando mi hai incontrato a Brooklyn. Io sono Peter, sono scappato da casa di mia zia perché voglio stare con il mio ragazzo e tu e Steve mi avete portato alla stazione per tornare a casa e...»
«Okay, ti prego sta zitto.» disse Bucky, portandosi l'unica mano rimasta alle tempie, chiudendo gli occhi, persuaso da un forte mal di testa per l'anestesia ancora ben in circolo nel suo corpo.
«Chi è Steve?» chiese al ragazzo. L'unica cosa che gli importò di quelle parole fu proprio quel nome, dannatamente familiare.
«Steve è il tuo medico, credo, ma soprattutto il tuo ragazzo.»
«Il mio ragazzo?» fece eco, arricciando il naso sorpreso.
«Già, quel ragazzone palestrato con i capelli biondi e gli occhi azzurri.»
Una voce nel cervello di Bucky stava cercando disperatamente di dirli qualcosa, qualcosa che lui non riusciva a capire, ed era la cosa più terrificante del mondo, non sapere controllare la propria memoria. Rimase il silenzio sotto gli occhi attenti di Peter per un breve instante che parve infinito, con la fronte aggrottata lottando con se stesso per riuscire a capire cosa volesse fare. Schioccò le dita ed allungò il braccio verso la sedia in fondo alla stanza.
«Passami quella borsa, lì.» gli disse Bucky. Il ragazzo scattò frettolosamente verso la direzione indicatagli, portando a Bucky quella che in realtà era una sacca sporca e polverosa, la stessa che aveva portato con se nel viaggio a Brooklyn e che era rimasta ancora intatta. Non la poggió su di se, la lasciò tenere aperta dal ragazzo difronte per avere la possibilità di rovistare frettolosamente al suo interno.
Magliette, matite, stoffe, oggetti senza alcun valore, ma quell'impulso nella sua mente gli stava urlando di continuare a cercare.
Non era finita lì.
Un foglio di carta gli sfiorò le dita, come se lo avesse chiamato. Lo prese fra le mani e lo tirò fuori dalla sacca, che venne poggiata in terra dal ragazzo. Era piegato su se stesse, e i tentativi di mostrare il contenuto del foglio aprendolo con una mano sola furono vani. Bucky si agitò, respirando a fatica, fino a quando Peter gli levò il foglietto dalle mani e lo spiegò sotto i suoi occhi.
Improvvisamente la sua espressione si addolcì, le labbra si fecero morbide e trasformarono la sofferenza in qualcosa di piacevole. Il ritratto di quel ragazzo sulla carta bianca gli appannò la vista per colpa delle lacrime, che straordinariamente riuscì a trattenere. Prese il disegno fra le dita e lo avvicinò di più a se, sotto gli occhi intimoriti di Peter.
«Steve...» lo sussurrò debolmente ma il ragazzo riuscì a capire. «Peter dove siamo? Devi tornare a casa, tua zia sarà in pensiero, devi prendere la metro, i-io...» qualcosa scattò nel suo cervello, forse non sarebbe durato molto, forse era solamente frutto dello shock, ma tornò indietro, tornò a ricordare.
Peter iniziò a ridere, annuendo emozionato: «Sta tranquillo Bucky, la zia starà bene, a casa ci torno quando cazzo mi pare! Adesso sta calmo.»
«Dov'è Steve? Noi dobbiamo tornare dal viaggio a Brooklyn, dov'è?» domandò impietosito.
«Oh! Okay, corro a chiamarlo, è qui, tu non ti muovere.» gesticolò frettolosamente e si diresse verso la porta.
«Perchè non è venuto da me?» continuò a domandare con tono affranto e triste.
«Sta buono e non ti muovere, sto andando a prenderlo. E non dimenticate niente razza di pazzoide!»
«Peter aspetta...» non ebbe il tempo di terminare la frase che il veloce ragazzino corse già in corridoio a chiamare Rogers.
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Remember me ||Stucky AU|| ✔
Fanfiction||Stucky au|| Steve Rogers è un giovane ragazzo di Brooklyn brillante ed ostinato. Ha appena finito gli studi al college, ed è in cerca di un lavoro temporaneo in attesa di mettere ben in tavola le proprie carte per il futuro. La sua preparazione sc...