Dakota

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Pv Emily

Finalmente sono riuscita a prendermi un giorno libero! Devo parlare con mia madre!

Arrivai al cancello di casa in una corsa durata tutta la notte. Quando ero partita il sole di mezzo giorno era ancora alta in cielo, il mio pelo bianco come lo zucchero filato risplendeva sotto la luce del sole e anche sotto quella della luna. Sono una lupa alta forse un metro e sessanta fino alla schiena. Per tutta la durata del tragitto non facevo altro che pensare a ció che avrei dovuto dire ad Amaya.

Il bosco si apriva e lasciava posto a una strada in asfalto, che schifo, ho semmpre odiato le invenzioni degli umani. Senza saperlo uccidono il mondo circostante, la fauna, la flora, tutto. Vivono in un mondo tutto fiori, senza conoscere le conseguenze dei propri atti.

L'asfalto cominciava giá a bruciarmi i cuscinetti trovatosi sulle mie zampe, avrei voluto ululare dal dolore. I miei occhi viola chiari cominciavano a chiedere pietá per non far uscire le lacrime.

Riuscì a intravedere il cancello alto metri e metri con delle figure mitologiche segnate all interno dell' acciaio nero. La raffigurazione dello stemma del clan Lican posta in mezzo al cancello. Un loto blu scuro come la notte, si aprì in due e mi lasciò passare.

Attraversai il giardino di corsa e senza fermarmi mi trasformai, non prima di aver scalato quei scalini alti come il monte Everest.

Arrivata su, tornai umana e il nostro maggiordomo, Fred, spalancò la porta, chinò la testa, ricoperta di capelli bianchi.

Un completo blu scuro e lo stemma posto sul cuore ricopriva tutto il suo corpo muscoloso, pur vedendo rughe su ogni parte del viso.
Non ho mai saputo quanti anni potesse avere ma 70 di sicuro.

-Ben tornata signorina! Vostra madre vi attende nell'atrio- alzò il capo e capì che più invecchiava e meno si rimpiccioliva, mi superava almeno di quindici centimetri.

Con un sorriso mi mostrò una delle cameriere, con un vestito anch'esso blu, un grembiule bianco e i capelli legati in un chinon che mi teneva un vestito.

Andai nella mia vecchia camera a farmi una doccia calda, usciva sudore da ogni minima parte del mio corpo, mi facevo vomitare da sola. Mi sarò fatta si e no cinque docce.

Quando uscì dal bagno presi in mano il vestito, molto bello devo dire. Mi copriva anche i piedi, di un colore beige e qualche pezzo in pizzo nero, senza maniche e con un corpetto al centro del quale c'è un loto. Un paio di tacchi neri abbellivano il tutto.

Non ho mai amato i vestiti da femmina, preferivo cento volte indossare capi maschili, ma per una conversazione del genere avrei dovuto mettere da parte questo mio "disgusto" e indossarlo.

Mi incamminai verso l'atrio, le mura ricoperte di dipinti dei nostri antenati arrivavano fino a Lintris. La porta si aprì in un varco e un profumo naturale mi inondò le narici, era il profuma di Amaya.

La cercai con lo sguardo ovunque, tutto quel verde mi imbrogliava la vista, poi però vidi un abito color pesca e una folta capigliatura ondulata, una chioma bionda.

Senza disturbarla nel curare i suoi fiori, le gardenie, di tutti i colori tra cui il dominante cosa poteva essere se non il blu.

A sottovoce, quasi sussurrando la richiamai con un "Ciao".
Si girò di scatto, sorrise e mi venne incontro, abbracciandomi come se non mi vedesse da un eternità.

Mixed Blood (#Wattys2019)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora