Untitled

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«Allora, parlami un po' di te mentre andiamo».
Mi chiedo dove stiamo andando, ma sarebbe scortese chiederglielo, dovrei semplicemente godermi la giornata e non pensare a niente, in fin dei conti non ho nemmeno aspettative.
«Ehi, mi stai ascoltando?»
«Oh, si, scusami, beh... credevo che sapessi già tutto di me, vieni sempre a vedermi al bar...»
«Oh no, non vengo per te, vengo perché adoro quel bar, adoro il sapore del caffè che preparate, penso sia il migliore di tutta Parigi!»
«Addirittura? Eh eh...» faccio una risatina nervosa cercando di nascondere l'imbarazzo, poi mi ammutolisco incapace di continuare un discorso con un ragazzo.
La pioggia che ticchetta sui vetri parla al nostro posto per tutto il resto del tragitto in auto.
«Eccoci qua, siamo arrivati!» mi dice con un sorriso luminoso mentre mi intima ad uscire, poi, apre la porta dell'auto e viene a darmi una mano riparandomi sotto l'ombrello, come un vero cavaliere.
«Grazie, ma dove siamo?» gli domando mentre afferro il suo braccio.
«Questo è il posto che preferisco al mondo».
«Un... garage?»
Inizio a squadrare la saracinesca che mi si para davanti con gli occhi fuori dalle orbite, e mi domando se un luogo del genere sia l'ideale per un appuntamento.
«Non avrai in mente qualcosa di strano, vero?» gli domando allentando la presa sotto il suo braccio e allontanandomi da lui senza nemmeno rendermene conto.
«Ma va, non farei mai nulla del genere! E poi almeno così siamo riparati dalla pioggia!» mi sorride lui.
«Ok...»
Dominique apre la grande saracinesca e mi invita a entrare.
Ciò che vedo all'interno mi fa immediatamente sobbalzare. «Che casino!»
Sembra tutto arredato a mo' di mini casa, anche se in giro c'è solo disordine. C'è una poltrona reclinabile rossa che cattura in particolar modo la mia attenzione, è situata davanti a un mini televisore con l'antenna, e, a giudicare da ciò che vedo, sembra abbastanza vecchio. C'è anche una scrivania tempestata di fogli svolazzanti, alcuni dei quali sono finiti a terra. Un vecchio materasso impolverato e con le molle penzolanti è appoggiato accanto a una parete. Dall'altro lato, invece, erge una grande montagna di casse di legno accatastate tutte in un angolo. 
Ma, la cosa che più mi salta all'occhio, è l'enorme scritta proprio sulla parete centrale: Untitled.
Sembra fatta con una bomboletta spray, è grande, e ricopre tutta la parete.
«Che posto è questo?» domando, continuando a squadrare ogni piccolo dettaglio della stanza.
«Il mio posto» mi risponde in modo freddo, con gli occhi concentrati a fissare un punto indefinito della parte centrale. «Era qui che mi rifugiavo sempre quando ero piccolo, era il garage di papà, ma poi gli rubarono la macchina e divenne inutilizzato».
Annuisco, completamente catturata dal suo modo di raccontare le cose, e, allo stesso tempo, ansiosa di saperne di più.
«La verità, è che il mio più grande sogno una volta, era diventare scrittore» continua con il tono della voce che diventa sempre più serio.
«Eh eh, lasciamo perdere, ti sto annoiando! Forse è meglio se ce ne andiamo da qui!» mi dice lui rivolgendomi un sorriso di circostanza.
«No, continua! Sono curiosa di sapere di più sul tuo conto».
«Beh...» mi dice avanzando verso la parete centrale. «La vedi questa scritta?»
Annuisco.
«Untitled, vuol dire "senza titolo", da piccolo volevo creare una storia bellissima, che tutti quanti avrebbero potuto ricordare nel tempo, ma non avevo idea di quale titolo mettere. Allo stesso tempo, mio padre non appoggiava la mia idea di diventare scrittore».
«Perché?» gli chiedo, la mia voce echeggia e rimbomba attraverso tutto il garage.
«Mio padre voleva che diventassi assolutamente uno studente di economia, così che, da adulto, avrei potuto prendere le redini dell'azienda di famiglia. "Maisons du Monde", è il nome del nostro mobilificio di famiglia».
Annuisco ancora, incapace di riuscire a parlare.
«Come avrai intuito, l'idea non mi andava affatto giù, così, iniziai a pensare "cosa ne sarà della mia vita?", oppure, "sarò mai felice?" E così, "untitled" divenne anche il nome che affibbiai alla mia vita. Senza un titolo. Senza un senso».
«Non dire così!» esclamo senza pensare stringendo i pugni. «Sei ancora giovane! C'è ancora tempo per dare un titolo alla tua vita!»
Mi sembra di parlare come mia nonna, ma la sta storia mi ha davvero commossa. Anche io ho dovuto rinunciare a tutto per il bene della famiglia.
«Tu devi ritenerti fortunato, hai ancora la famiglia unita, studi, e sei una persona fantastica!»
«Lo pensi sul serio... ?» mi chiede abbassando lo sguardo, poi, mi avvicino a lui e gli prendo entrambe le mani.
«Ti aiuterò io a dare un titolo alla tua vita!» gli dico stringendogli forte le mani.
«...»
Dominique sembra senza parole, fissa il pavimento con gli occhi vuoti. La sua espressione diventa poco a poco sempre più corrucciata, i muscoli del viso sembrano in tensione, gli occhi sempre più gonfi e lucidi.
E infine il pianto liberatorio.      
Si libera dalla presa delle mie mani per poi portarsele in viso, cercando di non farsi vedere da me in quello stato. Gentilmente mi avvicino a lui, e lo stringo dolcemente mettendogli le mani intorno alla vita.


*

Ormai è pomeriggio inoltrato, non piove più. Il grigiore di questa mattina, si è trasformato in un bellissimo cielo laccato di rosso, giallo e arancio.
«Scusami, per colpa mia abbiamo passato tutto il pomeriggio in quel postaccio!» mi dice lui mentre ci avviamo all'auto.
«Tranquillo, ho capito più cose di te in questo modo».
«E cosa hai capito?»
«Che sei un bravo ragazzo in fondo».
«Perché? Cosa pensavi?»
«Eh eh, niente, lascia stare!»
Capacità di sviare i discorsi in modo logico e sensato: zero. Sono una vera frana.
«Ti porto a cena fuori, d'accordo?» mi chiede lui, mettendo in moto l'auto.
«Va bene».
Non riesco a trovare nulla di cui parlare, mi chiedo se sono la sola a sentirsi impacciata.
«Ehi! C'è qualcuno in mezzo alla strada che blocca il passaggio!» urla Dominique, facendomi tornare con i piedi per terra. «Ehi tu! Levati di mezzo!»
«Che succede?»
«Non vedi? C'è un tizio a braccia spalancate in mezzo alla strada!»
Beep Beep!
«Non suonare in modo così insistente il clacson! Se è lì ci sarà un motivo, aspetta, vado a vedere io!»
«Ma no, scusami, non volevo...»
Non gli lascio terminare la frase ed esco dall'auto. C'è un tizio proprio al centro strada, i fanali dell'auto lo illuminano in viso, tuttavia, non riesco a vederlo in faccia. Mi avvicino a lui.
«Ehi, ma tu sei...»          
                               

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