Profumo di mamma

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Sono passati tre giorni da quando sono ospite a casa del signor Aubin e Betty, mi sembra di approfittarmi della loro gentilezza, ma non ho un posto dove andare, sono completamente sola in una città sconosciuta.
Penso a lui, ad Adrien, costantemente, il suo viso mi appare di continuo dinanzi agli occhi quasi come se fosse un sogno, ogni volta allungo le mie mani verso la sua immagine, cerco di afferrarla saldamente, poi mi sfugge, svanisce, come polvere portata via dal vento.
Dove sarai in questo momento? Starai bene?
«Yolanda» una voce mi risveglia dai pensieri in cui sono sommersa.
«Oh, dimmi Betty» rispondo senza guardarla in faccia, rimanendo seduta sullo sgabello in legno situato accanto al balcone.
Adrien amava sedersi accanto alla finestra, ogni volta che veniva al Mercier si sedeva al solito posto, come se fosse un rituale.
«I tuoi amici sono alla porta» dice Betty scuotendomi le spalle in modo insistente.
A quell'annuncio scatto immediatamente sull'attenti, correndo verso la porta d'entrata della piccola casetta del signor Aubin.
«Yolanda!» Sarah mi si butta al collo. «Stai bene?»
«Permesso?» dice la nonna con voce squillante avanzando verso la porta.
Viktor ha il solito sguardo imbronciato che gli dipinge il viso, porta una moltitudine di bagagli, alcuni dei quali appartengono a Sarah.
Il mio sguardo si sposta da Sarah a Viktor, poi una donna. Una donna che non ho mai visto prima è rimasta in silenzio tutto il tempo, scrutandomi dal fondo.
Profondi occhi color nocciola dipingono il suo volto gentile, e, i suoi capelli ricci, scuri e setosi le contornano il viso leggermente abbronzato.
Mi faccio largo tra Sarah, Viktor e la nonna, ritrovandomi davanti a lei, incapace di parlare. Sembra di essere davanti a uno specchio, mi sembra di vedere me stessa più in là negli anni. Resto immobile senza spiccicare una parola, pensando che forse, se avessi fatto dei gesti a caso, di riflesso li avrebbe fatti anche lei.
Muovo leggermente la mano, ma non succede nulla, perché questo non è uno specchio.
La donna afferra improvvisamente la mano che sto muovendo, tenendomela ferma. La sua presa è stretta ma allo stesso tempo dolce e salda.
«Yolanda» pronuncia il mio nome a fievole voce.
«Mamma...?» 
All'udire quelle parole, ella abbassa la testa verso il basso e inizia a piangere, mantenendo la mia mano salda nella sua.
«Chiamarmi mamma... dopo tutto questo?» dice asciugandosi le lacrime con la mano libera.
«Andiamo via, lasciamole sole!» sussurra la nonna, portandosi tutto il gruppo dei ficcanaso dietro di sé, un po' contrariato da questa scelta.
Siamo rimaste sulla soglia della porta, sole ed entrambe in silenzio.
Che cosa dovrei dire adesso? Mi sento curiosa di conoscere il passato, ma, allo stesso tempo, tutto mi fa paura.
Una moltitudine di domande inizia a pervadermi la testa, un vortice di parole echeggia nella mia mente.
«Sei diventata grande» dice finalmente guardandomi in faccia, ponendo una mano sul mio viso.
Le sue mani soffici, accompagnate al suo sguardo gentile, mi fanno fremere il cuore, non posso far altro che scoppiare a piangere come una bambina.
Lei mi tira a sé, poi mi stringe forte.
Riesco a sentire il suo particolare profumo, quello che non ho mai sentito, che mi è mancato. Il profumo di una mamma.

*

Dopo esserci entrambe calmate, raggiungiamo gli altri che ci aspettano nel mini salottino del signor Audin.
Questa casa sembra davvero la casa dei puffi, è talmente piccola, ma per due persone credo che vada bene.
Ci sistemiamo su dei divani color nocciola, mentre Betty ci porta le bevande su di un vassoio, sistemandolo sul tavolino di cristallo proprio al centro, tra i divani.
«Signorina Consuelo, perché non racconta a Yolanda la sua storia?» inizia la nonna sorseggiando un the caldo in tazzina.
«Da dove potrei iniziare? Non c'è molto da dire in realtà...» tentenna, guardando verso la mia direzione.
Annuisco fissandola intensamente negli occhi, facendogli capire che va tutto bene, che non importa, che voglio solo ascoltare ciò che ha da dire.
«Il mio ragazzo era francese, l'avevo conosciuto in vacanza» inizia. «Tra noi due ci fu fin da subito una travolgente passione, ma per lui quello rimase. Infatti, quando gli raccontai di aspettare un figlio, sparì dalla circolazione, non riuscii più a contattarlo».
«Quanti anni avevi all'epoca?» chiedo incuriosita.
«Quindici».
«Cavolo, quindi adesso hai 33 anni giusto? Sei giovanissima!»
«Sì... a quindici anni ero soltanto una bambina, i miei genitori mi sbatterono fuori di casa, e, ancora oggi non vogliono vedermi».
«Scusa se mi intrometto» dice Viktor mettendosi una mano dietro al collo. «Ma non avete usato nessuna protezione?»
«Viktor!» urla Sarah, che, seduta accanto a lui, gli sferra un calcio sullo stinco. «Sono domande da fare?!»
«Ma sei impazzita? Mi hai fatto male!»
«Non fare caso a loro, continua pure» intervengo io un po' imbarazzata.
«Il tuo amico ha ragione, sono stata una stupida, lui era più esperto, aveva dieci anni più di me. Come avrai ben capito, ho preferito portarti in un posto in cui sarei stata sicura che ti avrebbero trattata bene, visto che non potevo sopravvivere nemmeno io, come  avrei potuto fare? Ho passato dei momenti difficili, ho supplicato mia zia di accogliermi a casa sua e...» la voce gli trema di nuovo.
«Basta così» gli dico prendendole le mani. «Non importa. Se per te è un dolore raccontare tutto questo, puoi farlo più avanti con calma. Ti capisco.»
«Davvero, non c'è tanto altro da raccontare...»
«Mi va bene così. All'inizio ero un po' arrabbiata e spaventata. Ma adesso va tutto bene, ti ho ritrovata».
«Non vorrei interrompervi nuovamente» dice Viktor. «Ma che si fa con Dominique? Adrien? O chi diavolo è?»
Giusto, per un attimo ero così felice che quasi mi sono dimenticata della situzione in cui mi trovo. Adesso che ho ritrovato mia madre, è il momento di ritrovare anche te.
«Viktor, non è arrivato il momento di sputare il rospo?» chiedo.
Viktor deglutisce nervosamente con gli occhi sbarrati. «In che senso?»
«Lo sai bene» rispondo.
«D'accordo. La verità è che...»        
                  
          


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