Probabilmente, Viktor conosce queste strade come le sue tasche. Deve aver vissuto qui per un lungo periodo. Ha sempre quell'aria misteriosa, un po' sulle sue. Lui è quel tipo di persona che non lascia mai trasparire i suoi veri sentimenti e pensieri. Poco a poco ho imparato a conoscerlo.
«Un momento!» esclamo fermando la corsa.
«Cosa c'è ora?»
«Questa strada me la ricordo!» dico osservandomi intorno freneticamente
«Ovvio, siamo quasi arrivati!»
Continuiamo a correre ancora per un altro isolato, finché, una enorme cancellata in ferro molto familiare non ci appare davanti.
«Non è cambiato nulla da allora» dice Viktor.
«Come facciamo a non farci scoprire?» chiedo.
«Questa proprietà è enorme, ci troveranno a fatica».
«Yolanda?» una voce all'interno della cancellata.
«Tanja!» urlo avvicinandomi alla cancellata.
«Abbassa la voce!» mi rimprovera Viktor.
«Ascolta Tanja, ci faresti entrare? Ho dimenticato la mia roba dentro» chiedo.
«Un momento, chi ci dice che questa Tanja non andrà a riferire tutto?» chiede Viktor scetticamente.
«State tranquilli» ci risponde. «Non farei mai nulla che possa far soffrire il signorino».
«Signorino?» dice Viktor. «Lo dicevo io che è un damerino!»
«Shh, fate piano» dice Tanja mentre ci apre la cancellata.
Ci incamminiamo lungo la strada infinita che porta alla residenza principale. La prima volta che sono stata qui, questo posto mi rilassava, adesso, non so perché, ma sento una certa angoscia. Mi sembra di essere in uno di quei grandi castelli infestati dagli spiriti, oppure maledetti.Giunti alla residenza, silenziosamente entriamo nella villa, accompagnati da Tanja che ci fa strada.
Gli occhi di Viktor si muovono continuamente da destra a sinistra, senza sosta, come a voler catturare ogni minimo dettaglio, come se volesse ricordare attraverso gli oggetti il suo passato, il suo sguardo sembra nostalgico e triste.
«Adrien è qua dentro» sussurra Tanja indicando la porta dinanzi a noi.
«Io aspetto fuori» dice Viktor.
«Perché?» chiedo.
«Non ci tengo proprio a vedere scene pietose».
«Come sei tragico, d'accordo, aspetta qui. Faccio in fretta».
Apro lentamente la porta, senza fare il benché minimo rumore.
Riesco pian piano a scorgere il capo di Adrien, è di spalle, seduto davanti alla sua scrivania, intento a scrivere qualcosa sul suo computer portatile.
Mi richiudo la porta dietro di me, e inizio ad avanzare in punta di piedi verso di lui.
A un passo da lui, delicatamente poggio le mie mani sui suoi occhi, coverandoli e cercando di sorprenderlo, poi resto in silenzio.
«Yolanda?» chiede con tono sorpreso.
Il mio cuore sussulta per un istante, incredula di come abbia fatto a riconoscermi dal semplice tocco delle mani.
Si libera dalla mia copertura, alzandosi immediatamente dalla sedia e voltandosi verso di me. «Sei davvero tu!» dice sgranando gli occhi che leggermente iniziano a inumidirsi, parendo così ancor di più due zaffiri lucenti.
«Shh...» gli dico mettendomi un dito davanti alla bocca e abbassando la voce. «Sono qui».
Noto con dispiacere che il suo viso è ricoperto di lividi, ma, nonostante ciò, è bello come il sole, come sempre.
Mi afferra per le braccia e mi tira verso di sé. «Che bello... credevo di non rivederti mai più».
«Non avrei mai potuto lasciarti qui...» dico sussurrando.
«Perché sei tornata? Non hai paura di me?» chiede continuando a stringermi forte.
«Perché dovrei aver paura di te, che mi studi con occhi sinceri e commossi ogni volta che mi guardi?»
«Allora te n'eri accorta...»
«Fin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati, seppur fossi una totale sconosciuta, continuavi a studiarmi, ti imbambolavi e ti imbarazzavi. Ti sei anche rovesciato addosso la tazzina del caffè, tu, così perfettino come sei, o come eri».
«Yolanda, io...» inizia lentamente ad avvicinare il suo viso al mio.
«Ehi muovetevi! Dobbiamo uscire di qui!» la voce di Viktor oltre la porta.
«Anche lui è qui?»
«Lunga storia» rispondo. «Raccattiamo le nostre cose velocemente e andiamocene».
«Ho riordinato io la tua roba, il giorno stesso in cui sei fuggita. Tieni.» dice consegnandomi di nuovo il cellulare. «Scusa ancora».
«Ne parliamo dopo» dico. «Ora sbrighiamoci».
Lentamente apriamo la porta, trascinandoci dietro i miei e i suoi bagagli. Viktor è appoggiato al muro ad aspettarci, e, alla nostra vista insieme fa una smorfia di disgusto.
«Dammi i bagagli, tu sei una pappamolle» dice Viktor levandomi i bagagli dalle mani.
«Presto, andiamo!» ci intima Tanja, iniziando a farci strada.
Il corridoio sembra non finire mai, il tempo sembra scorrere lentamente, ho il cuore in gola. Devo assolutamente andarmene da qui.
Arrivati davanti alla cancellata, inizio a rilassarmi. «Per fortuna non ci hanno scoperti».
Ma, proprio in quel momento, un auto si ferma proprio lì davanti, il finestrino posteriore dell'auto si abbassa e una figura familiare ci lascia impietriti.
«Voi!» la sorella di Adrien. «Che state facendo! Adrien, non ti è bastata la lezione? Vuoi che papà ti spezzi tutte le ossa la prossima volta?»
Adrien la guarda disgustato. «Io non sono come voi. Lasciatemi vivere in pace!»
«Ah si? Adesso chiamo papà, ti conviene scappare finché sei in tempo. Non farti più vedere! Lo dico per te!» dice iniziando a comporre il numero di telefono.
«Lo dici per me? A nessuno di voi è mai importato di me e di cosa volessi fare. Danielle, stai sbagliando. Un giorno capirai cosa intendo, ma sarà troppo tardi. Andiamo Yolanda» mi prende la mano.
«Che significa?» chiedo, riprendendomi la valigia dalle mani di Viktor.
«Significa che noi due dobbiamo scappare. Viktor, tu torna da solo».
«Cosa?!» urla.
«Ah, Viktor, credo di conoscerti» dice Danielle uscendo dall'auto, con un sorrisino perfido in volto.
Non ho potuto continuare a sentire la loro conversazione, perché Adrien ha cominciato a correre a tutta birra, trascinandomi con sé.
La sua stretta è solida, le sue spalle vigorose, e io invece sono così minuta. Mi sento come una foglia, che, cadendo da un albero, finisce dritta dentro un fiume in piena: Adrien.
Lui, con la sua forza, mi trascina via con sé, e io, a causa della forte corrente, non posso tornare indietro, posso solo aspettare di essere trascinata via con lui, per poi sfociare insieme nell'oceano.
Finalmente Adrien si ferma, scorgo il cartello "Aeroporto di Bol". «Dove stiamo andando?» chiedo incuriosita.
«A casa nostra, a Parigi».
Un momento, a casa nostra? Che cosa significa? In questo momento sono parecchio confusa e stanca, troppe emozioni tutte insieme, cose del genere non sono mai accadute a una ragazza comune come me, abituata soltanto a lavorare e dormire. Da quando ti ho conosciuto, tutto il mio mondo dipinto di bianco e nero a causa delle varie disgrazie che ho dovuto affrontare, ha preso colore, primo tra tutti c'è il blu, il colore dei tuoi occhi che riescono a imprigionarmi tutte le volte.
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RomantikYolanda è una ragazza di origine spagnola, ma adesso vive a Parigi per una serie di sfortunati eventi, Dominique è il cliente abituale del suo bar, che, una mattina propone alla ragazza di frequentarlo. Non avendo mai avuto esperienze amorose prima...