Capitolo speciale - Adrien: il giorno in cui ti ho incontrata

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Adrien POV'S [Questo capitolo è narrato dal punto di vista di Adrien, inoltre, tutti sappiamo che Adrien è sempre stato un cliente abituale del bar di Yolanda, ma, come si sono conosciuti? Questo capitolo speciale parla proprio di questo, un tuffo nel passato attraverso i ricordi di Adrien].


«"Il giovane ragazzo era ormai perso, non sapeva più cosa fare. Sapeva di dover cambiare, di volersi allontanare da quella famiglia, ma non sapeva come"».


Credo che questa parte del racconto vada bene, ma, come potrei continuare? E io invece, come posso continuare? Ormai sono mesi che vivo di nascosto in questo garage, non voglio assolutamente essere immischiato nei problemi di famiglia. Papà mi ha detto di averlo deluso come figlio, ma, che male c'è a possedere delle ambizioni personali? Quando ero bambino mi rifugiavo spesso qui, ed eccomi qui a vent'anni, rifacendo le stesse cose. 
Non c'è nemmeno una finestrella per poter respirare un po' d'aria pura e illuminare la stanza, uscirò a fare due passi.
Esco di soppiatto dal garage guardandomi in giro con aria furtiva, i capelli sugli occhi e la valigetta tra le mani contenente il mio fedele portatile. Sto continuando quel racconto che ho cominciato quando avevo 8 anni, quindi me lo porto dietro continuamente.
Cammino tra le strade di Parigi con un peso sul cuore e tra le mani, per quanto ancora dovrò fare il fuggitivo?
Un gradevole profumo di caffè riempie l'aria e le mie narici.
«"Mercier Bar"» leggo da lontano, aguzzando la vista. «Una bella colazione mi aiuterà a mettere in moto il cervello».
Un auto familiare mi passa proprio di fianco, alla guida c'è mio padre.
Da qualche mattina ha iniziato a perlustrare la zona alla mia ricerca, credo che stasera sarò costretto a tornare a casa, vivere in un garage non è proprio il massimo, in più, ho quasi terminato i risparmi.
Cammino a passo felpato, nascondendomi dietro tutti gli "ostacoli" presenti sul percorso: auto, alberi, cespugli e perfino persone che mi guardano stranite.
Arrivo davanti al bar e subito mi nascondo dietro un cartellone pubblicitario situato a sinistra, davanti all'ingresso.
Improvvisamente, sento voce dietro di me che mi fa sobbalzare.
«Scusa giovanotto, non entri?» una signora anziana mi si para davanti sorridendomi allegramente.
Annuisco in modo un po' impacciato, poi seguo il suo consiglio ed entro nel bar guardandomi di continuo le spalle, accertandomi di non essere seguito da nessuno. 
Raramente vado in posti pubblici, di solito sono abituato ad avere cameriere che lavorano ventiquattr'ore al giorno per la nostra famiglia, ma devo dire che questo posto sembra davvero ben tenuto.
I Pavimenti in legno ed i muri in pietra ornano il locale rendendolo un po' in stile rustico, in più, ci sono delle grandi finestre, l'aria circola e la luce filtra, è un posto perfetto, proprio quello che mi ci vuole.
Prendo posto a sedere a un tavolino in legno vestito da una tovaglia bianca, proprio accanto alla finestra.
«Yolanda, vai a prendere l'ordinazione del nostro cliente!» urla la donnina anziana che mi ha trascinato qua dentro.
Accanto alla finestra c'è un porta giornali, ne prenderò uno per alleviare l'attesa e leggerò le notizie del mattino.


"Racket: Ancora una volta molte famiglie innocenti sono state costrette a chiudere la loro attività, tuttavia, la polizia non ha ancora scovato il covo di questa famigerata banda di mentecatti. Dopo la rovina di una famiglia che gestiva un famoso hotel in Croazia, questa volta si tratta di..." 


«Scusa se interrompo la tua lettura, cosa prendi?» una voce dolce e femminile mi distrae dalla lettura dell'articolo facendomi sobbalzare.
Sarà meglio mettere via il giornale prima che si accorga di qualcosa.
«Scusa» rispondo timidamente. «Un caffè andrà benissimo».
«Arriva subito!» mi risponde la giovane ragazza sorridendo.
La guardo camminare dietro al bancone, diretta verso la macchinetta del caffè.
I suoi capelli sono particolarissimi, ricci e neri, non credo sia di origine francese.
Ciò che mi colpisce di più, è il sorriso con cui prepara la macchina del caffè, dev'essere un lavoro per molti stancante e di basso livello, eppure, mi sembra così felice di quello che fa. Anche io ho quell'espressione quando scrivo?
Arriva avanzando verso di me, con il vassoio tra le mani.
«Ecco a te!» dice sorridendo, appoggiando il vassoio sul tavolo.
Prendo la tazzina senza staccarle gli occhi di dosso, e, ovviamente, la tazza mi scivola dalle mani, lasciando che il caffè sporchi la mia camicia bianca.
«Mi dispiace!» dico guardandomi la camicia. «Sono un vero disastro!»
La ragazza inizia a ridere di gusto. «Mi sembri un po' tra le nuvole, me ne sono accorta quando sei entrato!»
«In effetti, ho molti pensieri per la testa ultimamente» rispondo timidamente.
«L'importante è continuare a percorrere la strada giusta, senza lasciare che questi pensieri ci abbattano, non è così?»
Giusto, devo continuare a scrivere, non diventerò un mafioso come mio padre. Il mio obiettivo è sempre stato questo. Questa sera tornerò a casa e cercherò di spiegargli cosa voglio.
«Grazie» rispondo. «Ti dispiace portarmi un altro caffè?»

L'aroma di questo caffè è qualcosa di spettacolare. «Lavori qui da molto?» chiedo alla ragazza.
«Un paio d'anni, per necessità familiari».
«Capisco...» rispondo abbassando lo sguardo.
«Tu invece? Lavori?»
E adesso che gli racconto? Non posso mica dirgli che sto fuggendo dalla mia famiglia mafiosa! La spaventerei a morte!
«No, studio» rispondo tentennante con la prima cosa che mi passa per la mente, mostrandogli la valigetta. «Studio economia».
«Dev'essere una materia pesante!»
«Effettivamente, è un fardello molto grande da sopportare...»
«Da come parli non sembri molto entusiasta, fai una cosa, quando ti senti così e hai giorni tristi, passa da queste parti, facciamo due chiacchiere!»
Annuisco timidamente, accennando un lieve sorriso. 
«Comunque, io mi chiamo Yolanda!» dice tendendo il braccio verso di me, aspettandosi una stretta di mano da parte mia.
Non posso dirti chi sono, mi dispiace Yolanda.
«Dominique» afferro la sua mano.
Per la prima volta, dopo anni, riesco a sentire il calore di una mano amica, una mano che non mi impone obblighi o doveri, ma vuole ascoltarmi.  


«"Il giovane ragazzo era ormai perso, non sapeva più cosa fare. Sapeva di dover cambiare, di volersi allontanare da quella famiglia, ma non sapeva come, finché non incontrò lei. Una ragazza dal sorriso gentile, che, entusiasticamente gli preparava il caffè tutte le mattine e si sedeva con lui per ascoltarlo. Il ragazzo decise che quel posto sarebbe diventato il suo piccolo angolo di felicità, un luogo in cui potersi dimenticare la realtà, ed essere qualcun altro. Con il passare del tempo però, il ragazzo rimase aggrovigliato nelle sue stesse bugie. Lei cominciava a piacergli sempre di più, ma non poteva raccontarle la verità, aveva paura che quella mano che gli era stata offerta con tanto calore, non ci sarebbe più stata se avesse confessato tutto. Aveva paura di essere se stesso"».  


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