7. Farmi male.

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BRIAN'S POV

"Scusa, hai da accendere?" Una tipa che sembra avere molto meno della mia età, con fare disperato, si avvicina a me ed aspetta impazientemente una risposta.

Non sembra messa bene: gli abiti sono indossati disordinatamente ed i capelli ricci e bruni, legati in una cipolla alta e fatta malissimo, pare chiedano pietà.

La squadro da capo a piedi e non posso fare a meno di trattenere una smorfia disgustata. Quanto potrà avere? Dieci? Undici anni? Dio, ma scherziamo, fumare a questa età?

"Sì." Rispondo infine, senza neanche guardarla in faccia. Cerco il mio accendino portafortuna in tasca e, una volta trovato, le faccio cenno di mettermi la sigaretta davanti.

Lei, chiudendo le mani attorno ad essa, sembra contenta e, una volta che si presenta la fiammella, sorride. I denti, almeno, sono dritti e bianchi e non nascondo che ha un sorriso davvero bello.

"Grazie. Kate." Allunga la mano e gliela stringo, un po' titubante, poi la tolgo. "Brian." Borbotto.

Riduce gli occhi in due fessure, come per osservarmi meglio. Mi guardo attorno, imbarazzato, ma non lo do a vedere e sbuffo. "Ti ho già visto da qualche parte, e quel nome non mi è nuovo." Porta una mano al mento e mi sembra un'investigatrice.

"Uhm, va bene." Cerco di restare calmo e la sorpasso, ma lei mi blocca.

"Foster. Sei Brian Foster, non è così?" Si rianima.

"Esatto. Come fai a sapere il mio nome?" Mi volto dalla sua direzione con aria confusa.

"Cosa ci fa un newyorchese a Washington?" Continua a domandare, scuotendo la testa e ridacchiando.

Okay. O è una psicopatica, o ha tirato a indovinare, o mi conosce davvero. La cosa che so è che io non l'ho mai vista in vita mia.

"Non ti ricordi di me? Sei cresciuto dall'ultima volta." Osserva, e mi trattengo da prenderla per il collo e dirmi chi è, come fa a sapere chi sono ed andarmene, lasciandola lì.

"No. Avanti, non fare misteri e dimmi come fai a conoscermi." Le ordino, seccato.

"Va bene, va bene." Alza le mani in cielo, poi riprende a parlare. "Kate Mitchell. Ti dice qualcosa?" Quando pronuncia il suo cognome spalanco gli occhi e faccio per andarmene.

Non voglio avere niente a che fare con la sorella di Billy Mitchell.

"Ehi! Non sei contento di vedermi?" La sento prendermi in giro, così le urlo: "Sta' zitta e continua a fumare per poi morire intossicata una volta adulta!" E m'incammino, a passo veloce, verso casa.

Davvero si è ridotta in questo stato? Non la vedevo da ormai due o tre anni e solo ora riesco a ricordare che quel volto non mi è nuovo. Ma, dopotutto, non c'è da sorprendersi: il fratello è un drogato il quale ha scoperto di essere gay da qualche un anno e che mi ha rovinato l'esistenza, quindi, deduco che lei stia prendendo le sue orme.

Se comincia a fumare a dieci anni, rischia davvero di non farcela per la maggiore età. Ma, dopotutto, chi sono io per fare il papà? Non sono stato neanche un buon fidanzato e non lo sarò mai più.

Questa è la loro città natale, o almeno, così sapevo. Spero che siano qui solo per una vacanza, o sono fottuto.

Washington è davvero una bellissima città. Mi è piaciuta fin dal primo giorno in cui ci ho messo piede: non solo perché è meravigliosa, ma qui non ho modo di rivivere i vecchi ricordi, le vecchie abitudini: quando penso alla capitale degli Stati Uniti, mi vengono in mente solo tre parole: una nuova vita.

Io volevo te. [#2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora