32. La speranza è l'ultima a morire.

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Jacklyn.

Chiudo il rubinetto della doccia e, avvolto l'accappatoio attorno al corpo, esco da essa. Le poche goccioline rimaste percorrono continuamente il mio corpo e arrivano fino a terra, bagnando il pavimento. Fantastico. Fortuna che non ho lavato i capelli perché erano già puliti, altrimenti avrei combinato un macello!

Sciolgo la grande cipolla che avevo fatto in testa per evitare che le ciocche fossero colpite dai getti d'acqua e, una volta asciugata tutta, metto un paio di pantaloncini blu -finalmente posso lasciare le mie gambe scoperte: ieri ho fatto la ceretta!-, una maglietta bianca a maniche corte e delle scarpe sportive completamente nere.

Mi guardo allo specchio dopo aver applicato una leggera linea di matita sotto agli occhi. Sarò pronta per vedere Brian?

Certo che non lo sono.

Ieri sera stava proprio male, aveva perso del tutto la lucidità. Mi sono spaventata davvero tanto, quando l'ho visto: nemmeno l'ultima volta che eravamo a casa sua si era ridotto in quel modo!

Dovevano essere circa le dodici di sera quando Hector suonò il campanello di casa. Non avevo più chiuso occhio dopo la sua chiamata, così aprii subito la porta quando sentii le loro voci da fuori.

Erano entrambi lì, davanti a me: Brian si manteneva in piedi a stento e il riccio cercava di tenerlo in equilibrio, spingendolo delicatamente verso di lui e tenendolo per le spalle. "Mi dispiace," disse, "ma non sono riuscito a fermarlo quando ho aperto lo sportello dell'auto perché, non so con quale strana energia, è corso fin qui."

"Ehi, passerotta!" Lo bloccò poi Brian, rivolgendosi alla sottoscritta. Sia io che il suo migliore amico, girati dalla sua direzione, lo guardammo con un'espressione confusa in volto.

Passerotta? Sta così male?, pensai.

"Avevo b-bisogno di vederti..." Barcollando, poi, si avvicinò a me con gli arti in avanti, come se avesse voluto abbracciarmi.

Senza protestare mi lasciai stringere, anche perché ero stata tesa per tutta la serata. E poi, è inutile prendere in giro me stessa: ogni volta che siamo uniti mi sento al sicuro. Non me lo so spiegare, è una sensazione che si prova solo con pochi: so solo che mi fa stare...terribilmente bene.

Gli accarezzai i capelli e sussurrai: "Puzzi di alcool. Ma quanto cavolo hai bevuto?"

"Dov'è lui?" Disse invece, ignorando la domanda e facendomi scostare.

"Lui chi?"

"Hamtaro."

Sbuffai. "Aaron è a casa sua. Se n'è andato da un pezzo, Brian."

Sembrò sollevato per un momento, poi assunse un'aria nuovamente triste. "Hai...scelto lui, n-non è così?"

"Ma cosa...cosa stai blaterando?" Balbettai, presa alla sprovvista. "Ti prego, torna a casa: hai perso completamente la ragione e non sai quello che dici. Hai bisogno di riposare, va'."

"Ha ragione," intervenne Hector prima che Brian avesse potuto dire altro, dietro le sue spalle, "andiamo."

Mi allontanai da lui e gli indicai la via della sua abitazione. Ero dell'idea che, se fosse rimasto lì ancora un altro minuto, sarebbe impazzito per colpa mia e avrebbe continuato a sparare stupidaggini. "Dov'è che vado, senza di te?" Borbottò. Era troppo debole per opporre resistenza alle braccia di Hector che tiravano le sue verso la loro casa, nonostante cercasse di fermarlo con le parole ma senza successo. "Non voglio!" Urlò, facendo fermare il riccio.

Io volevo te. [#2]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora