8. IL FIORE E LA FIERA

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Il giorno dopo a lezione ero rallentata e distratta.
Mi sentivo come in sospensione, immersa in un fluido denso opaco che appannava la vista e affaticava i movimenti.

Disegnavo furiosamente sul mio quaderno. Quel taccuino sgualcito, dalla copertina di cartone rigido, conteneva tutti i colori e le forme della mia vita: appunti universitari, schizzi di volti, disegni di progetti, abbozzi di storie, il titolo di una canzone, il numero della pizza a domicilio. . . tutto ciò che incrociava il mio cammino e per qualche motivo doveva essere espresso o ricordato, tutto insieme, sublime e insignificante. Del resto, il confine fra i due mi è sempre sembrato talmente labile, da considerare qualsiasi tipo di ordine e gerarchia piuttosto inutile e riduttivo.

Erica, amica storica e compagna di corso, che la vita mi aveva affiancato nel passaggio dalla provincia alla grande città, conoscendomi profondamente e intuendo le circostanze, mi concedeva il silenzio. Si limitò a trascorrere la sua giornata accostata alla mia, disseminandola di piccoli regali che, facendosi largo nel pessimismo cosmico che mi mordeva le gambe, mi permettevano di recuperare fiducia nel genere umano.

Non sono mai stata fortunata in amore, ma questa mancanza è stata sempre bilanciata dalla presenza di amici variamente meravigliosi; molto diversi fra loro ma accomunati dalla volontà, per me a volte inspiegabile, di far parte della mia vita. Non finirò mai di essere immensamente grata per tutto ciò e di bearmi di questo lusso non richiesto, ma goduto.

A pranzo vuotai il sacco.
Lei più che ascoltare le mie parole scandagliava il mio viso. Erica, piccola e bella come il fiore di cui porta il nome, che non teme le rive aride e scoscese e soccorre le lande più desolate e grigie col suo colore, senza pretese e con gentile risolutezza.
L'interrogativo che pose con maggior frequenza era "perché". Quella mia vulnerabilità era inedita anche per lei e cercava il modo migliore per aiutarmi a ricucire le fila della vicenda.

-E' stato scortese- sintetizzò con la pacatezza che la distingueva -Mandalo a quel paese. Perché ci stai così male?

Ottima domanda.
Fra mille punti di sospensione, tentai di dare una forma grammaticale alle sensazioni che mi passavano davanti agli occhi.

-E' un po' come una montagna russa, ci sono picchi altissimi, da cui vedo tutto, grazie a lui.
Il problema era stata la gravità a cui poi mi aveva abbandonata. La discesa era stata terrificante.

-Sai, non c'è niente di scontato. Quelle convenzioni banali ma rassicuranti... lui se ne frega completamente. E questo mi fa impazzire... Nel bene e nel male.

Non riuscii a decodificare in maniera più chiara il bailamme che avevo in testa.

Mi bombardava le tempie l'immagine di una sontuosa fiera selvatica, affascinante tanto quanto pericolosa. E nonostante il rischio reale di finire sbranata, il desiderio di avvicinarsi e toccarla era stato irresistibile fin dal primo istante.

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