7. SPROLOQUI GALLICI E MINE VAGANTI

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Quella seconda sera, senza essermi ripresa dal colpo iniziale -perché posso dire in tutta franchezza che Aydin è entrato nella mia vita e nei miei pensieri con la stessa leggerezza di un tram milanese, giallo e rumoroso, che ti colpisce in piena faccia e dopo averti reso bidimensionale, riprende la sua corsa indisturbato- insomma, quella sera mi avviavo verso l'indirizzo indicatomi, con la stessa serenità di chi deve sostenere l'esame più importante della sua vita. E deve farlo nudo, come nel peggiore degli incubi.

Suonai il campanello trattenendo il respiro. Attraversai a passo svelto l'androne mentre già intravedevo la sua figura alta e svogliata, che mi aspettava immobile sulla soglia. Mi salutò coi soliti due baci sulle guance.

E nonostante l'umidità gelida dell'autunno milanese, provai caldo.

La casa era bella. Aveva un soggiorno accogliente e spazioso, con vetrate che davano su un piccolo giardino. Il pianoforte era di quelli a muro, addossato alla parete quasi volesse scusarsi della sua presenza. Mi fece vedere subito anche la sua stanza, bianca, completamente spoglia e quasi del tutto occupata da un enorme letto matrimoniale dal corredo nero. Sarebbe stata perfetta come alcova di un serial killer.

Cenammo con il suo coinquilino e una compagna di corso di lui, una francese magrissima e isterica, che ad oggi ancora mi suscita un sorriso, se ci penso. La ragazza quasi si fece mancare il fiato pur di presentarsi, stringermi la mano e contemporaneamente non rallentare di un battito il discorso (che sarebbe durato ancora una buona mezz'ora) sul brillante futuro che la attendeva e che lei aveva già provveduto a programmare nei minimi dettagli. Ci illustrò quindi la sua visione senza lesinare sui particolari.

Ebbi un primo momento di sconcerto, legato alla quantità davvero formidabile di parole che sgorgavano al minuto dalla bocca dell'oratrice. Superato quello, cominciai, come mi accade spesso, a immaginare l'intera situazione dall'esterno, e a coglierne il lato comico.

Mi soffermai a osservare il resto dei commensali. Il coinquilino fissava la ragazza con lo stesso sorriso libidinoso che generalmente io riservo alla cioccolata, limitando la sua interazione a qualche sporadico cenno di assenso. Il mio ospite invece era evidentemente infastidito dalle ciarle e non si risparmiava dall'elargire commenti carichi di gelido sarcasmo. Tutto inutile, poiché l'interlocutrice, lungi dal percepirne l'ostilità, accoglieva gli interventi con un sorriso radioso, per poi duplicare il ritmo battente della parlantina.

Stavo quasi cominciando a divertirmi, quando inavvertitamente il soliloquio scivolò su altro genere di argomenti e iniziammo a parlare di sesso. Ora, io non sono certo una puritana, e se a mio agio con chi ho davanti affronto questo genere di conversazione con disinvoltura. Quella sera però, bastava la presenza al mio fianco per rendermi nervosa.

-Scerto alcune done aspetano molto prima di fare l'amour. Vogliono vedere fino a che punto si spinge il loro potere, opure a volte vogliono solo essere conquistate- stuzzicava lei nell'accento che, in quel momento, mi parve il più fastidioso del mondo.

-Un privilegio che lascio ad altri- la liquidò lui con tono secco.
Entrambi si girarono verso di me e la maledetta cominciò l'assedio. Ero terrorizzata dall'idea di apparire una bigotta agli occhi del mio ospite, che sapevo avere l'esperienza di chi, a ventiquattro anni, ha già vissuto in mezzo mondo. Mi lanciai quindi in un disperato tentativo di spavalda naturalezza nel rispondere alle domande a raffica della francese. Niente da fare.
Lui era seduto a fianco a me, e la sensazione dei suoi occhi ambrati e tristi che mi bucavano le tempie, inibiva ogni mio processo neuronale più complesso di quello di un'ameba.

Fortunatamente, poco dopo, la scocciatrice annunciò di voler tornare a casa. Subito il suo cicisbeo scattò fulmineo e, riemergendo dal mutismo, si propose di accompagnarla.
Uscirono.
Rimanemmo soli.
Panico.
Era chiaro dove la serata sarebbe andata a finire, quel pensiero mi aveva assillata per tutta la cena, indipendentemente dallo sproloquio transalpino. Anzi, per tutto il tempo da quando avevo accettato l'invito.
La verità è che per quanto mi piacesse non volevo andarci a letto. Non subito, almeno. E per quanto fossi immensamente attratta da lui, i motivi che mi frenavano dall' abbandonarmi al corso degli eventi erano vari, alcuni fondati, altri no.

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