17 bis. MOVIMENTO E COLORE

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Una sera, dopo una giornata piuttosto impegnativa trascorsa in università, passai a casa sua per un saluto veloce. Mi aprì il suo coinquilino, che mi fece strada fino al soggiorno. Lì mi lasciò e prima di chiudersi in camera scoccò un' occhiata perplessa al panorama che si presentava, Trovai Aydin accasciato sul divano, sommerso da una montagna di vecchie cassette audio-video, di quelle che adesso verrebbero considerate poco più che modernariato. Stava armeggiando con dei dispositivi connessi al portatile sul quale scorrevano immagini mute.

-Che fai?- gli chiesi incuriosita mentre cercavo un posticino dove sedermi in mezzo a quel ciarpame.

-Sto riordinando il girato di un amico. E' un regista con cui ho lavorato. Mi ha chiesto di catalogare le sue riprese e passarle in digitale. Paga bene ma è un lavoro lungo, devo mandare tutti i nastri a pc per poterli trasferire. Comunque questo materiale è incredibile, questa notte non ho dormito. Guarda.

Girò lo schermo a mio favore. Nel frattempo ero riuscita a incastrarmi perfettamente fra il suo sterno e lo schienale. Mi abbracciò per spostare il computer sotto la mia spalla e permettermi di vedere. Io in quella posizione avrei apprezzato anche una televendita. Invece mi mostrò una scena dal fascino indiscutibile.

Si vedeva solo una distesa desertica, dal quale emergevano parzialmente due statue che richiamavano la fattura greca antica. Accanto a loro una vecchia incartapecorita e immobile. Se non ci fosse stato il vento a muovere i lunghi e candidi capelli di lei la si sarebbe potuto scambiare per una foto. L' inquadratura era ben concepita, composta di colori primari e poco altro. Il giallo dorato della sabbia che si rifletteva sulle sculture arcaiche, il blu infinito del cielo terso e il rosso del drappo che vestiva la donna erano gli ingredienti dell'immagine.

Sono nata in estate; l'amore per i colori, nella sfumature più vivida e pura che la stagione possa offrire, è parte dell'imprinting che mi porto dentro da tutta la vita. Forse è questo il motivo per cui rimasi ipnotizzata dalla potenza di quella scena.

-Guarda, sono tre statue. - Constatò Aydin indicando il soggetto.

-Dove sono state fatte queste riprese?- chiesi.

- Credo sia del materiale per una documentario sulla Siria, girato prima della guerra civile.

- E' bellissimo. - dissi.

Rimanemmo per ore accoccolati a guardare i nastri. Mi sentivo vagamente in colpa, mi sembrava di frugare di nascosto fra la vita di uno sconosciuto, eppure non riuscivo a smettere. Scene di paesaggi maestosi si alternavano a scene più intime. A intervalli costanti compariva una ragazza, forse la compagna del regista, che salutava la telecamera e veniva immortalata nelle più svariate occupazioni. Spesso l'inquadratura stringeva sulle mani di lei, sul sorriso, sulla sua nuca inconsapevole. C'era qualcosa di incommensurabilmente tenero in quei movimenti, un trasporto raccontato dalla selezione dello sguardo, o al contrario, da ciò che lo sguardo escludeva. Provai una sorta di invidia per quella donna, tutti dovremmo avere la possibilità di essere presentati al mondo attraverso il racconto di chi ci ama.

Distolsi lo sguardo dallo schermo e misi a fuoco l'inquadratura che avrei voluto riprendere per sempre. Mi chiesi se avrei mai avuto la possibilità di condividere col resto della mia vita questa parentesi assurda e meravigliosa di cui mi sentivo attrice e regista. Chissà.

Poco dopo, ci addormentammo entrambi.

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