-Lo sai vero, che no ho ancora visto casa tua?- Mi disse un giorno al telefono.
Evidentemente spinto dalla curiosità, Aydin aveva abbandonato le allusioni, neanche troppo velate, ed era passato a un approccio più diretto, a lui decisamente più consono.
-Ah sì?- dissimulai riluttante.
-Già, più tardi passo a trovarti- dichiarò.
Forse voleva semplicemente sincerarsi che non dimorassi sotto un ponte.-Ok, ti aspetto per cena- cedetti definitivamente, sospirando.
-A dopo-. Riattaccò.
Sconsolata, osservai dal letto su cui ero spiaggiata il caos che regnava sovrano.
Non era pudore il mio, quanto piuttosto il fatto che la stanza rifletteva alla perfezione il mio disordine mentale imperante, in cui mi trovavo completamente a mio agio ma ecco, diciamo che al primo impatto avrebbe potuto destabilizzare chi ne fosse stato investito. In altre parole camera mia somigliava più a un reliquario in cui un gorilla impazzito si era dato alla pazza gioia.Rassegata mi apprestai a evitare che il mio grande e forte gigante scappasse urlando a gambe levate una volta visto il mio ecosistema entropico. Quando il risultato mi sembrò accettabile, ovvero parecchio tempo dopo, mi dedicai alla cena, operazione a me più congeniale.
Lui arrivò come al solito con qualche minuto d'anticipo. Il tempismo ideale per causare un'irrimediabile incollaggio ermetico del risotto alla pentola diversamente antiaderente, se mi fossi distratta. Lo abbandonai quindi per la vastità limitata del mio appartamento mentre tentavo di scongiurare la sciagura culinaria.
Nella vita ci vogliono delle priorità.
Evidentemente non incontrò grosse difficoltà nell' orientarsi, dato che lo sentii sghignazzare poco dopo dalla mia camera. Ero incerta sul cosa potesse aver suscitato la sua ilarità, del resto gli spunti non mancavano.
Avevo sempre avuto la tendenza a trasformare i miei spazi in un diario di vita, e la mia stanza milanese non era un' eccezione. Le pareti erano variamente tappezzate di biglietti di viaggi, alcune strisce di fumetti, vecchie tavole redatte per esami passati, volantini di mostre, citazioni di libri, cartoline, schizzi di progetto, appunti di nozioni da ricordare e una sezione mediamente imbarazzante di foto. Immaginai che su quella si fosse concentrata l'attenzione del mio ospite mentre impiattavo la cena.
-A tavolaaaaaaaaa!- Berciai con la grazia di una massaia montana dell'anteguerra.
Mi raggiunse che ancora rideva sotto i baffi.Divorò la sua razione in pochi secondi. Da quando lo conoscevo, non l'avevo mai visto mangiare gustando la pietanza con calma. Non si trattava di semplice appetito, sembrava piuttosto ossessionato dal consumare ciò che aveva nel piatto il prima possibile, attratto da una qualche ipotetica scoperta finale di fatto inesistente.
Dopo cena riprese l'esplorazione. E con mia sorpresa scoprii che mi piaceva guardarlo aggirarsi fra la mia quotidianità: nonostante ci frequentassimo da settimane era ancora difficile per me collocarlo in una dimensione di vita reale.
Visto la semplicità monacale della sua stanza, trovai comprensibile che lo colpisse la sovrabbondanza luculliana della mia. Avevo però qualche difficoltà nel distinguere se ne fosse affascinato o inorridito.
Ad ogni modo, mi chiese notizia di ciascun disegno, foto, biglietto, plastico, fumetto, appunto disseminato in giro. Fu una lunga intervista.
Passò poi a scandagliare la mia modesta libreria Billy esausta e sovraccarica di manuali per l'università, monografie di architetti e un pugno di altri volumi da cui non potevo separarmi.
Incuriosito estrasse un testo di Sofocle, Antigone.-E questo?- Chiese.
-L' ho recitato al liceo-. Facevo parte di una compagnia amatoriale di studenti, spiegai.
Un lampo gli accese gli occhi.
Aprì il libro a caso e sfogliò le pagine finché non trovò ciò che cercava. Si lanciò dunque in una commossa esibizione leggendo con tono impostato un monologo della protagonista.Quel gigante che interpretava la dolente eroina tragica con così goffa convinzione era quanto di più buffo ci fosse sulla faccia della terra. Mi sedetti sul letto per godermi appieno lo spettacolo e anche perché avevo qualche difficoltà a contenere i singhiozzi di ilarità. Nel frattempo il mio intrattenitore era passato dal monologo al dialogo, intervallando a una testosteronica interpretazione di Creonte i flebili interventi di Ismene. Uno spettacolo. Mentre cercavo di riprendere fiato dal ridere, mentalmente chiesi perdono a Sofocle che probabilmente in quel momento più che rivoltandosi nella tomba si stava esibendo in un balletto russo con doppio salto carpiato.
Lo show proseguì in maniera esilarante ancora per qualche minuto, finché non si avvicinò troppo, tanto da non lasciarmi scelta e porre fine con un bacio alla peggiore messa in scena degli ultimi diciotto secoli. In fin dei conti stavo esclusivamente tutelando la dignità del teatro.
Quella notte, per la prima volta dormimmo stretti nel mio lettino a una piazza risicata. Mancava di almeno quindici centimetri per contenere le gambe del mio gigante, che quindi penzolavano fuori come due vedette.
Il mio naso era incastonato nell'incavo della sua spalla, il suo respiro sui miei capelli. Più di una volta dovetti aggrapparmi a lui per non finire a terra. In definitiva riposai molto poco e credo anche lui, ma non aveva nessuna importanza. Sentivo il suo corpo caldo sulla pelle nuda, in un benessere primigenio che non trova eguali in nessuna esperienza umana.
Le notti migliori sono quelle che ti conducono esausto al mattino.
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Terminal
RomansaUn pezzo di vita, pensieri e sensazioni senza filtri. Una storia d'amore, un pianista eccentrico. Una Milano affascinante e rivelatrice.