20. TI AMO E VORREI UN PANINO

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Nel pomeriggio la accompagnai a prendere il treno.
Appena uscita dalla stazione, trovai una chiamata di Aydin. Richiamai.

-Buonasera.

-Ciao.

-Ceniamo insieme?

-Volentieri.

-Cucini tu però - rimbeccò con tono un po' più strafottente del solito: era di buonumore.

-Perché no, faccio un po' di spesa e vengo da te. -risposi laconica.

-Ti piace proprio casa mia, eh?

Pensai al mio tristissimo appartamento, con le pareti della cucina verde depressione, le altre desolanti finiture anni settanta, e al bagno in cui mentre facevi pipi potevi tranquillamente anche fare la doccia e caricare un paio di lavatrici.

-Moltissimo- Proclamai.

-Per che ora?- Chiese ridacchiando.

-Facciamo alle 8?

-Ok, a dopo.

Quella sera arrivai in ritardo. Nonostante questo mi concessi qualche minuto ad ascoltare le note che uscivano dalla sua finestra, prima di suonare il campanello. La musica si interruppe e lui spuntò alla porta. Come sempre attese immobile sulla soglia, come sempre mi salutò con due baci e come sempre in quei due secondi vissi un po' di più. Mi recai veloce al bancone della cucina, ero affamata.

Mentre trafficavo con zucchine e taleggio lui mi prese la mano e mi disse sottovoce:

-Aspetta.

Mi condusse al pianoforte, mi sedetti, si sedette al mio fianco. Riprese da dove aveva interrotto.

L'avevo già sentito suonare molte volte, sia in registrazioni che dal vivo. Eppure quella sera fu diverso. Quella sera, suonava per me. Non doveva spiegarmi nulla, mostrarmi nulla, solo rendermi parte di un suo sentire. La melodia era dolcissima, dalle risonanze orientali, di una bellezza struggente.

Per la prima volta sentii che mia maratona era sospesa.

Il quel momento aspettava, fermo davanti a me, totalmente vulnerabile, mi offriva di farsi raggiungere.

L'emozione mi serrava la gola e velava gli occhi. Rimasi immobile, limitando anche l'aria che spostavo col respiro, finché lui non accarezzò la nota finale. Attendemmo che anche l'ultima vibrazione fosse sfumata.
Solo allora alzò gli occhi, io, in tutta risposta diedi sfogo alla commossa tensione che mi animava lanciandomi su di lui e avvinghiandolo in un abbraccio con cui speravo di comunicargli per osmosi il mio sentimento.

Poi un bacio, carico di mille significati. Ci alzammo, e la cena venne rimandata.
Dopo l'amore eravamo distesi, uno di fronte all'altro, immersi nel mare adimensionale del suo letto dal corredo immancabilmente nero, gli occhi che si sfioravano.

Nessun architetto potrà mai concepire uno spazio tanto sublime quanto quello compreso fra lo sguardo di due amanti. Lì dentro ci sono solo loro, e tutto l'universo.

In quel momento presi la mia decisione, e poco importava come sarebbe andata a finire.

-Hei- Dissi

-Mmm?

-Mi sa che mi sono innamorata.

-...

Non rispose, e non mi aspettavo niente di diverso. Per me era già sufficiente che ascoltasse. E lo fece, con tutta l'intensità concepibile. Gliene fui grata.

-Hei- Ripresi poco dopo.

-Mmm?

-Sto morendo di fame.

Scoppiammo a ridere.

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