10. AL DIAVOLO I PRINCIPI IO VOGLIO UN CAFFÈ

286 63 69
                                    

I primi cinquecento occhietti... evviva! Grazie a tutti! L'unica cosa è che vedo i numeri salire ma non so associarli a dei visi. Ad oggi, il capitolo precedente a questo è stato letto da venti persone... chi siete? Palesatevi, mi piacerebbe conoscervi :)

Lui era di nuovo li, a ricalcare il copione della sera precedete. Mi osservava appoggiato alla porta, riempiendola quasi completamente.

Coprii nel minor tempo possibile i pochi passi dell'ingresso. Stare sotto quello sguardo era difficile. Di nuovo si ripiegò su di me per darmi due baci sulle guance. Stava diventando un rito piacevole.

Pur essendo molto tardi il suo coinquilino non era in casa. Eravamo soli. Nonostante questo, l'atmosfera era nettamente più distesa del giorno precedente. Probabilmente dipendeva dalle numerose me stessa, che quella sera avevano deciso di darmi tregua.

Preparò il bollitore in silenzio mentre mi guardavo intorno. Giusto per chiarire la mia posizione, ignorai il divano e mi accomodai al tavolo. Lui si sedette di fronte a me reggendo le tazze fumanti.

-Quindi, tu non fai sesso- Esordì in tono asciutto. Che razza di domanda era da fare a una persona adulta, pensai.

-Certo che lo faccio- Risposi corrugando la fronte.

'Non con te'. Questo lo censurai.

-Non occasionale- Dissi in tono meno convinto.

Bugia. Nel periodo successivo alla mia ultima rottura, avevo fatto anche questo tentativo. Qualsiasi cosa pur di inseguire un po' di sollievo al dolore, allora talmente intenso e costante da essere diventato fisico.

Era stata un'esperienza disastrosa, un' invasione autorizzata che aveva rischiato di sovrapporsi ad alcuni dei ricordi più preziosi e intimi che custodivo.

Avevo deciso di non farlo mai più.

Quindi avevo mentito solo a metà. In fondo.

-Perché?- Chiese lui. Gli spiegai in via ipotetica ciò che avevo assodato in modo empirico. La ragione per cui non ammettevo tutta la verità non era chiara neanche a me.

Non fece commenti sulle mie motivazioni, ma passò a chiedermi delle mie storie passate. Lui domandò col plurale, io gli risposi in singolare.

Gli raccontai che l'amore per me aveva avuto la stessa devozione dell'amicizia, che mi ci ero trovata dentro come in una giornata d'estate che esplode a poco a poco, dopo il sorprendente prologo dell'alba. Gli raccontai di come avevo amato un ragazzo perché l'avevo visto farsi uomo pur restando fedele alla sua delicatezza e sensibilità quasi femminile. Gli raccontai di un lungo periodo di felicità così totalizzante che non credevo avrebbe potuto riguardare me, e che non aveva mai smesso per un attimo di stupirmi.

Lui mi osservava serio. Sentivo i suoi occhi addosso ma se alzavo lo sguardo lui abbassava il suo sulle mani grandi, in cui navigava la tazza ormai vuota. Non ero abituata a parlare a lungo di me, specialmente in termini così intimi, ma volle sapere tutto e quella volta non mi sottrassi.

Poi fu il suo turno.

Mi raccontò di molti volti, di molti paesi. Accennò a una ragazza, la prima. Subito le parole si fecero disordinate e le pause più lunghe, finché piombò il silenzio. Ebbe un moto di stizza, si alzò, si mise al piano e mi spiegò con la musica.
Risentii gli accordi del dubbio iniziale, le pause dell'incertezza che toglie il respiro. Poi un attacco: la decisione e il salto nel vuoto. Melodia che prendeva quota, arpeggi sempre più rapidi, come se temesse di non avere mai abbastanza, sempre più veloci sempre più alti, un bacio, una risata, una promessa, fino ad arrivare a una vetta che non permetteva avanzamenti ulteriori. Allora, con un po' di titubanza, note più misurate camminavano sul crinale, con attenzione e dolcezza sempre maggiore.

Lì si fermò, coi ricordi e la musica. Con un profondo sospiro lasciò che le braccia gli ricadessero lungo i fianchi, rimase un istante in silenzio a fissare la tastiera e un accordo che forse rimpiangeva di non aver suonato.

-È una persona con cui ho condiviso molto- Aggiunse soltanto.

Si congedò dal piano e si sistemò sul divano. Lo seguii.

Proseguì il racconto con meno difficoltà. Non parlava più il ragazzo ma l'uomo, e l'esperienza gli aveva insegnato a superare le esitazioni e la timidezza.

Appresi di altre sue vicende. A tratti narrava con rapimento e dolcezza, a tratti, laddove forse c'era stata una ferita, vedevo cicatrici sgraziate, mal rimarginate, disinfettate col disprezzo e l'acredine.

Più di una volta calpestò sotto i miei occhi qualcosa che, forse, un tempo per lui era stato sacro.

Non mi piacque. Se la gestione del dolore all' inizio è poco più di un riflesso incondizionato, col tempo diventa una questione di scelte. Le nostre erano molto diverse. Non espressi il mio pensiero e continuai ad ascoltare a lungo.

Eravamo disposti in modo speculare, ciascuno con la schiena appoggiata a un bracciolo, le gambe rannicchiate al centro, le mie appoggiate alle sue. Tuttora non so come sia possibile, ma fu in quella posizione che, senza rendercene conto, ci assopimmo entrambi.

Ci scosse la mia sveglia il mattino dopo (ovvero poche ore più tardi). Ci guardammo intontiti, spaesati, prendendo atto dei reciproci volti. Lui decise che era ora di riavviare il motore e con uno slancio sorprendente si mise in piedi.

Non registrai niente di tutto ciò.

Con la grazia che mi contraddistingue, specialmente di prima mattina, cacciai un grugnito prima di risprofondare il viso in mezzo ai cuscini. Fu la sensazione del tessuto ruvido che mi si imprimeva sulla guancia a ricordarmi che, primo, non ero nel mio letto, secondo, non ero da sola.

Occhio sbarrato e colpo di reni. Lampi e vertigini.

Mi affacciai dalla testiera del divano e lo vidi mentre, in silenzio, preparava il caffè. Lo raggiunsi. Mi porse la tazzina e ci versò dentro una dose generosa di vitalità mattutina.

Al diavolo i principi che ti salvano da draghi sputafuoco, ciò che ho sempre voluto dalla vita, è un uomo che al risveglio (momento di per se drammatico) venga in soccorso con un caffè appena fatto. Espressi la mia gratitudine con un sospiro.

Lo sorbimmo amaro, in piedi, appoggiati al bancone della cucina, lo sguardo perso nel vuoto, la faccia stropicciata, in silenzio come una coppia di lunga data.

Che meraviglia.

TerminalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora