30. TERMINAL

358 49 122
                                    

Il giorno era arrivato.

Mi svegliai con un vago senso di nausea, quasi la sera prima avessi alzato troppo il gomito. La realtà era che ero ubriaca da tre mesi ormai, ma il malessere era piuttosto legato all’astinenza che già mi attanagliava le budella nonostante il responsabile fosse ancora vicino a me. Ancora per poco.

Al terminal parlammo poco, frasi minute, insignificanti, hai preso il passaporto, mi tieni la bottiglietta, ricorda il cappotto. Tenevo la mascella serrata e la bocca contratta in un’ espressione di plastica, per non far scappare il mostro spaventoso che mi divorava la gola.  Non avevo il controllo sugli occhi però, e questo Aydin lo vedeva.

Al gate mi salutò come se dovessimo vederci il giorno dopo. Era l’unica cosa da fare, non avrei retto di più. Mi diede un bacio a stampo, di quelli su cui di solito rimbalzavo. Stavolta però fu lui a indietreggiare. Io non mi spostai di un millimetro, irrigidita com’ero dallo sforzo di contenere il dolore. Mantenne il viso vicino al mio, a creare per l’ultima volta un stanza che fosse solo nostra.

-Ehi- Sussurrò.

Al suo richiamo alzai gli occhi a cercare i suoi, per fare scorta di quelle iridi ambrate e cariche di  tristezza, quel giorno forse non solo per la loro forma.

-Dimmi una frase senza senso.
Inspirai profondamente.

-Il pianista blu soffia sul mondo- Risposi.

Non era senza senso. Ne aveva, infinitamente. Tutti i significati degli ultimi tre mesi erano concentrati in quelle sei parole. Ma del resto, io non ero mai stata brava in quel gioco.

-Non male- Disse.

E poi, mi uccise.
Ma non metaforicamente eh? Mi uccise proprio. Mi torse il collo e, in un attimo, ero morta. Una mossa di ammirevole precisione e pulizia, non sentii assolutamente nulla. Anche il dolore spirituale, che mi aveva afflitto degli ultimi giorni, svanì nell’istante del trapasso.

Chiaramente eravamo circondati da viaggiatori al terminal, quindi subito si scatenò il panico, però, sì insomma, ero morta, quindi non riuscivo a vedere bene.

Ora sono in obitorio e sto aspettando che i mie genitori vengano a prendermi. Mi auguro che si sbrighino perché questo posto è orribile. Non capisco perché, con la scusa che uno è deceduto, ne approfittino per rifilargli questi cunicoli gelidi, degni della più esecrabile topaia.

Vorrei tanto essere sepolta in qualche sito grandioso, come i Fori Imperiali ad esempio, accanto alla colonna traiana, a vegliare su quei resti sublimi. Oppure sull’Acropoli di Atene magari, alla base del Partenone, a ricevere gli omaggi dei pellegrini al Tempio. Invece probabilmente mi toccherà la noia eterna in un anonimo cimitero di provincia.
Che seccatura.

Immagino che Aydin sia stato arrestato. Spero non sia condannato alla galera, lì non potrebbe esercitarsi al pianoforte e sarebbe proprio un peccato.

Non credo ci fosse qualche motivazione particolare dietro il suo gesto, ma suppongo che quel giorno avesse un leggero mal di testa.

TerminalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora