29 - Il Predatore

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Quando tremi, quando tremi fino ad accorgerti che non lo fai per il freddo, ma cerchi di tenerti tutto dentro.
Quando le lacrime non scendono più, stai troppo male per piangere, vuoi solo un abbraccio.
Vorresti solo che a qualcuno importasse un po' di te, che qualche persona dedicasse il suo tempo a stare con te, piuttosto che pensare a ciò che ha da fare.
Quando non basta più niente per farti felice, sai che stai male, che a nessuno interessa però.
Sei consapevole di aver avuto dei genitori, di averli ancora magari, ma loro non sanno cosa stai provando, non sanno niente.
Pensano solo a loro stessi, alla loro felicità, forse alla loro nuova famiglia.
Quando senti questo vuoto dentro, e sai che nessuno lo potrà colmare del tutto, perché hai sofferto troppo, hai troppe cicatrici.
Siamo troppo soli per la nostra età, dobbiamo apprendere lezioni che in un mondo normale, per dei ragazzi, dovrebbero essere vietate.
Credo di potermi auto definire 'un fallimento straordinario', qualcosa di negativo, qualcosa che non si compirà mai.
Poi le illusioni.
Sono le cose peggiori, quelle sensazioni che le persone fanno provare, credendo di contare qualcosa nella loro vita, quando in realtà per loro vali meno di zero.
Vorrei poter essere amata, e poter amare qualcuno.
Ma non ho paura del giudizio di queste persone, sono solo ipocriti che credono di saper vivere.
'Ma se potessi volare, camminare in aria,
con un salto coprirei la distanza che ci separa
E se potessi disegnare il futuro userei un colore,
la speranza, quella di farsi una vita migliore.
Se tu avessi il potere di guardare nelle persone
mi guarderesti dentro, vedresti che non ho un cuore.'
Non ce l'ho più, si è frantumato dall'ultima delusione, preceduta da tante altre, sempre dalle persone a me care.
Nessuno voleva più il mio bene, nessuno oramai mi cercava o voleva che io sorridessi, a nessuno importava più dove andassi, cosa mi potesse accadere.
Questa non era tristezza, non era nemmeno depressione, si chiama 'ho bisogno che qualcuno mi stia vicino'.
Lasciarsi alle spalle qualcuno, a volte, è più difficile che odiarlo.
È facile dire di odiare una persona, provare quel sentimento per cui potresti fare qualunque cosa per non vedere o sentir parlare più di qualcuno.
Il difficile sta nell'essere indifferenti a qualcosa o a qualcuno, ad imparare a lasciar perdere, a dimenticare.

Così mi sentivo in quel momento, sapevo che molte persone mi avevano dimenticata, lasciata alle spalle, forse non ero neanche più un ricordo.
Alcune invece avevano rinunciato a cercarmi, avevano perso la speranza.
Altre volevano che rientrassi nella loro vita, ma sapevano che mi avrebbero solo fatto del male, così, rinunciando alla loro felicità, credevano di aiutarmi a costruire la mia.
Si susseguivano le persone con cui ero cresciuta, che non sentivo da mesi, che non mi avevano più rintracciata.
Ero da sola.
Sola con i miei problemi, le persone che mi avevano rapita, che volevano solo avere qualcosa in cambio, di me a loro non interessava nulla.
Ero solo una pedina, la pedina di un gioco che ormai credevano di vincere.
Ero solo nata dalle persone sbagliate, nel luogo sbagliato, ero sbagliata.
Non aveva senso continuare quella vita in cui mi usavano per contrastare le persone che dicevano di volermi bene, avrei migliorato le loro vite togliendomi di mezzo.

Questa volta la stanza era molto accogliente, evidentemente volevano qualcosa di più da me.
Cercai qualcosa per farla finalmente finita, avrei fatto la cosa migliore per tutti.
Se dovevo continuare ad essere un oggetto, qualcosa con cui riscattare degli elementi di cui non ero a conoscenza, preferivo aiutare quelle persone che dicevano di amarmi, quei due ragazzi da cui amore ero nata, che avevano sfidato i principi della natura stessa, andando contro tutto e tutti.
In effetti anche io avrei voluto un amore come il loro, uno che mi consumasse, che riempisse tutto quel vuoto che era presente in me, ma ormai tutti si erano scordati di me, e io di loro.
Nulla di pericoloso era presente in quella stanza, non sarei riuscita a compiere ciò che era nel mio intento, avrei aspettato e riflettuto su quello che a breve sarebbe accaduto nella mia vita.
Mi sedetti sul pavimento, avvolsi le ginocchia con le mie braccia e attesi il fatidico momento, quello in cui avrei tradito la mia famiglia.
Stetti ore a riflettere sul da farsi, ma non mi venne in mente nulla di utile che potesse cambiare le mie circostanze, così mi addormentai, distrutta fisicamente e mentalmente da tutto quel susseguirsi di emozioni e avvenimenti, uno più spiacevole dell'altro.
Quando mi svegliai, la stanza non era più la stessa, mi avevano spostata senza che io me ne accorgessi, probabilmente mi avevano somministrato qualche sostanza strana, di cui a malapena conoscevano il nome.
Mi guardai intorno, vi era qualcosa di familiare in quel luogo, non riuscivo a comprendere cosa mi sembrasse di aver già visto, ma i miei pensieri furono interrotti da alcune voci.
Parlavano di un certo scambio, alcune informazioni in cambio della mia persona, insomma, uno scambio molto equo.
Mi alzai e mi avvicinai di più alla porta per ascoltare, ma la conversazione evidentemente era finita qualche minuto prima, le voci non si sentivano più ormai.
Tornai a sedermi, annoiata, quando sentii solamente qualche parola.
"Stanno arrivando per lo scambio."
La voce era impassibile, quasi senza alcuna voglia di eseguire l'ennesimo lavoro sporco, sembrava.
Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, avevo paura sì, ma cosa più importante, era che avevo il timore di danneggiare la mia famiglia.
Non so perché avessi così tanta cura della mia famiglia, così tante preoccupazioni nei confronti di chi non mi aveva più cercata, per chi mi aveva lasciata a me stessa, per chi magari mi credeva morta.
Mi alzai di colpo, presa dalla troppa ansia del momento, attendendo ciò che tra pochi minuti sarebbe accaduto.
Infatti dopo circa cinque minuti si sentivano decisamente più voci, mi sporsi sulla piccola finestrella che si affacciava sul corridoio buio di quella specie di prigione, ma non scorsi nulla, come se quelle voci fossero state solo nella mia testa.
Credetti di essere pazza, ma delle urla mi confermarono il contrario.
Gli uomini a guardia della mia stanza si precipitarono e accorsero velocemente sulla scena, mentre io, sempre più curiosa ed impaurita, cercavo di capire cosa stesse accadendo.
Tutto a un tratto una sagoma si presentò alla mia porta, aprendola.
Un individuo col cappuccio era davanti a me, lo riconobbi subito.
Aro, nei suoi soliti abiti da anziano dei Volturi, era venuto a prendermi, arrivando con un enorme sorriso in volto, insolito per uno come lui.
"Ciao piccola Ren." Disse, calmo, colui che consideravo il mio secondo padre, che era venuto a salvarmi.
Lo abbracciai, felice di vederlo, ringraziandolo con un sussurro in cui sfogavo tutta la paura rinchiusa in quelle ore interminabili, in cui lui subito fece di tutto per riportarmi sana e salva a casa.
Sentimmo delle urla di dolore, così ci staccammo dall'abbraccio e corremmo ad aiutare gli altri che, nel frattempo, tenevano occupati i miei rapitori.
Aro subito fece a pezzi alcuni di loro, ma io non sapevo come potermi rendere utile in quel momento, così rimasi a guardare, finché uno di loro non arrivò a sfidarmi.
Erano tutti occupati a combattere, nessuno poteva darmi una mano in quel momento, così presi coraggio e tentai di fare qualcosa, avevo imparato qualche mossa durante le lezioni a Volterra, nulla di così eccezionale.
Quando iniziai, vedevo già l'impossibilità di vittoria in quello scontro, ma cercai di impegnarmi.
Pian piano, le mie mosse diventavano più rapide, aumentavano l'agilità e la forza, la sicurezza e le possibilità di vittoria.
Qualche volta mi colse alla sprovvista, ma non impreparata.
Lo buttai rapidamente per terra, facendolo urlare, dolorante, non avevo controllato la mia immensa forza ed ora lui si ritrovava con delle ossa rotte sul freddo pavimento di quella specie di carcere.
Aro mi guardò stupito, con estrema ammirazione ed orgoglio, girando poi lo sguardo verso il suo avversario, consapevole che probabilmente non avevo bisogno di protezione.
Presi coraggio e lo finii, rimanendo colpita dal mio lato crudele, non avevo esitato affatto, stavo diventando un mostro.
Passai alla prossima vittima, che finii in meno tempo, iniziando a berne anche il sangue, rendendomi conto solo dopo di quello che stavo diventando, facendo prevalere il lato vampiro su quello umano.
Mi coprii la bocca, non sapevo cosa mi fosse preso.
Ne arrivò un altro, cercavano di sfidarmi, sapendo che non ne sarebbero usciti vivi.
Con lui non combattei neanche, andai dritta al punto, gli succhiai tutto il sangue che aveva in corpo.
Aro mi guardò stupito, venne da me e mi fermò, ma dell'uomo ormai non vi era più traccia se non del corpo senza vita e completamente senza sangue.
Ormai erano tutti morti, caddi sulle ginocchia e cominciai a piangere, ero stata la più crudele fra tutti, avevo torturato quell'uomo al posto di dargli una morte veloce e indolore.
Le mie urla straziate riecheggiavano nel corridoio, le ultime gocce di sangue ricadevano dalla mia bocca, scendendo sul collo senza tregua.
Aro si inginocchiò a fianco a me, cercando di consolarmi, mi abbracciò e mi accarezzò dolcemente la schiena per calmarmi.
"Sono un mostro." Sussurrai al suo orecchio, mentre le lacrime scendevano incessantemente sul mio volto disperato e deluso della persona che ero diventata.
"Siamo tutti dei mostri qui." Rispose lui, cercando di tranquillizzarmi, guardandomi negli occhi.
Girai il volto verso i miei compagni, le persone che avevano rischiato la vita per venirmi a salvare, ed anche sui loro volti erano presenti evidenti macchie di sangue.
Mi calmai, pronunciando una sola frase.
"Non voglio essere così, non voglio farlo mai più."
Lui comprese, invitandomi ad alzarmi, circondandomi con il suo braccio per consolarmi.
Avevo ucciso tre persone quel giorno, avevo scoperto di essere forte, agile, astuta, un predatore, Il Predatore.

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