31 - La Partenza

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Quello che non avevo previsto era la remota possibilità che la mia famiglia biologica venisse a cercarmi, e così fu, purtroppo.
Infatti, quando Aro uscì dall'aeroporto sotto mia precisa richiesta, una mano, timidamente, picchiettò sulla mia spalla.
Quando mi girai per vedere chi fosse, gli occhi gialli di quel ragazzo si incantarono a guardarmi.
"Hai bisogno di qualcosa?" Chiesi, indifferente, cercando di levarmelo dai piedi.
"Ciao Renesmee, sono tuo padre, Edward." Rispose trattenendo l'emozione. Non la smetteva di fissarmi e la sua bocca rimaneva spalancata.
Non avevo pensato a chi potessero essere i miei genitori, a come potessero essere, sapevo solo che erano del clan dei Cullen e che mi avevano abbandonata, la memoria ancora non mi era tornata e non li seppi riconoscere.
Non seppi cosa rispondere, avevo troppe cose da dirgli, da confessargli, ma da un lato avrei voluto solo abbracciarlo e dirgli quando mi fosse mancato in quegli anni, quella nostalgia che, nonostante i miei ricordi fossero stati strappati via, persisteva.
Cercai di ricordare qualche momento felice, ma non ce n'erano.
L'odio si fece spazio nella mia testa.
"Avreste dovuto lottare di più per me." Fu l'unica cosa che dissi, per poi girarmi e continuare sulla mia strada, sulla strada verso la mia nuova vita.
Come se non bastasse, mi afferrò un braccio.
"Ti prego, abbiamo lottato per diciassette lunghissimi anni, nella speranza di ritrovarti, figlia mia." Continuò sul punto di piangere, addolorato, dispiaciuto e implorante.
"Ti prego bambina mia." Disse alzando lo sguardo, puntando quei suoi occhi gelidi su di me.
Riuscivo però a percepire il dolore che provava in quel momento, con quello sguardo freddo ma allo stesso tempo pieno di emozioni travolgenti.
Ero sul punto di piangere, avrei voluto buttarmi tra le sue braccia e sentirmi finalmente amata, avere una famiglia dopo tutti quegli anni di solitudine.
Continuai a guardarlo, dalla mia bocca non uscivano suoni, cercavo di parlare ma nessuna parola aveva abbastanza significato per quel momento.
In quell'istante un'altra figura si avvicinò alla scena, mia madre.
Lui si girò verso di lei, potevo percepire l'amore incondizionato che provavano l'uno per l'altra, e che sentivano per me.
"Vita mia."
Mia madre pronunciò esattamente questo, con voce rotta, queste due semplici parole che mi travolsero completamente, uno tsunami che faceva affogare tutti i miei tentativi di opposizione.
Un pianto liberatorio si fece spazio sul mio viso, e lentamente qualche flashback comparve davanti ai miei occhi.
Qualche ricordo della mia infanzia, della gioia e della felicità che solo la mia famiglia mi faceva provare, mi sentivo a casa.
Edward circondò con un braccio il corpo di Bella, e un sorriso apparve sui loro volti, lui leggeva la mente ed evidentemente aveva percepito qualcosa in quel momento, anche se il mio pensiero a lui era quasi del tutto oscurato e nascosto.
Edward mi prese la mano, quel semplice contatto mi fece sussultare, il mio pianto si fece ancora più evidente.
Presi coraggio e iniziai a parlare.
"So che voi ora vorreste che io tornassi a casa con voi, ne sono consapevole. Ma io sto partendo, sto per iniziare una nuova vita senza sofferenze e ricordi tristi del mio passato burrascoso, sto per essere felice.
Vorrei prendermi questo periodo di pausa per riflettere, mi sono successe davvero molte cose in questo periodo, non tutte positive, per questo ho bisogno di stare un po' in pace, da sola." Dissi, senza guardarli in faccia, abbassando appunto lo sguardo.
"Puoi superare tutte le tue disgrazie con la tua famiglia, sai che è la cosa migliore, tutti lo facciamo, ci supportiamo a vicenda, sempre." Continuò Edward, mio padre, il quale sguardo si era improvvisamente spento, sapeva che avrei rifiutato, in quel momento.
"Non ora, ma tornerò, promesso." Sentenziai, guardandoli negli occhi stavolta, decisa.
"Noi ti aspetteremo per sempre, sei tutto per noi, ma cosa più importante, la tua felicità è tutto per noi." Parlò Bella, infondendomi sicurezza e amore.
"Ricordati però, che anche se non sei accanto a noi, anche se per ora non vuoi avere rapporti con la tua famiglia, noi ora che ti abbiamo ritrovata faremo di tutto per farti stare bene, non permetterò a nessuno di farti del male, anche se sarai lontana." Affermò Edward in modo deciso, era ovvio che quella non fosse una domanda, aveva preso una decisione affinché non mi potesse accadere nulla di grave, mai.
Non riuscii a trattenermi, li abbracciai, li strinsi forte e mi sentii finalmente appagata, completa.
Come potevo pensare che quei due mi avessero abbandonato di loro spontanea volontà? Loro mi amavano, e anche Aro mi amava.
Erano le mie due famiglie, rivali, ma pur sempre delle persone molto importanti per me.
Mi serviva del tempo per pensare, per capire quale fosse la decisione migliore, e così feci.
Davanti a loro non potevo rimanere dura, senza emozioni e arrabbiata, non era nel mio stile, ma soprattutto in quei dieci minuti di discorso mi avevano dimostrato più amore che tutte le altre persone in tutta la mia vita.
Erano la mia vita.
Lentamente anche un'altra figura si avvicinò con cautela alla scena, colui che i Volturi chiamavano Jacob Black, o semplicemente, il lupo.
Quando i suoi occhi si concentrarono sui miei, solo Dio conosce l'emozione che mi ha travolta completamente, una scarica elettrica che mi attraversò la spina dorsale, uno strano calore che persisteva nello stomaco e contemporaneamente nel basso ventre...
Non si poteva negare l'enorme effetto che quel ragazzo aveva su di me, come riusciva a controllarmi.
Solo la sua figura imponente mi faceva abbassare lo sguardo, proprio non riuscivo a mantenerlo, ma subito lo rialzavo, avevo bisogno di far incrociare i nostri sguardi anche solo per pochi secondi, per sentire quell'emozione così strana e nuova per me, quell'intensità che in vita mia non avevo mai provato.
I suoi occhi così scuri mi guardarono insistentemente e profondamente per un po', era come se mi spogliasse di tutto in quel momento, del mio essere, del mio carattere, era tutto svanito.
Dopo qualche minuto, in cui i miei genitori si allontanarono per permetterci di parlare tranquillamente e senza intromissioni, iniziò a parlare.
"Quindi hai deciso di partire." Disse, ma dal tono con cui aveva pronunciato quella frase non riuscivo a capire se fosse una domanda o un'affermazione, comunque, continuai.
"Esatto." Risposi. "Vorrei mettere a posto un po' le idee." Confessai.
Sapevo che mi stesse fissando, ma io non avevo il coraggio di guardarlo mentre parlavo; così, senza esitare, mi prese il mento delicatamente e lo tirò su, cercando di permettere al suo sguardo di perforarmi ancora l'anima.
I nostri visi erano pericolosamente vicini, la sua mano ancora sul mio viso, che stava raggiungendo la guancia per accarezzarla, sapeva circa l'effetto che aveva su di me.
Il mio sguardo improvvisamente non riuscì più a spostarsi da lui, come una calamita, attraeva il polo opposto, lui, la mia parte mancante.
"Rimani con me, piccola." Contestò, implorante.
Non nego che in quel momento avrei tanto voluto rimanere con lui per il resto della vita, ma non fu così che andò la storia.
"Ti prometto che tornerò, ma è il massimo che posso fare ora." Risposi, sul punto di
piangere per la stupidata che stavo dicendo, avrei voluto solo qualcuno che mi amasse davvero, sapevo che fosse amore, quello lo era, ne ero certa.
Ma allo stesso tempo non si può amare qualcuno se prima non si ama se stessi, e io non mi amavo, io mi odiavo.
Odiavo quello che la vita aveva permesso che accadesse, l'essere cresciuta da sola con poco affetto e senza amici su cui contare, con cui uscire la sera, con cui condividere quegli anni tanto difficili.
Dovevo prima mettere a posto me e poi dare tutta me stessa alle persone che non mi avrebbero mai potuta distruggere, ma solo crescere, far maturare e amare.
Senza accorgermene, qualche lacrima era scesa sul mio viso e lo attraversava senza fermarsi, incontrollabile, lo sfogo di quel periodo di dolore ma soprattutto di verità, verità taglienti.
Il suo sguardo era ancora puntato su di me e il mio su di lui, eravamo incapaci di allontanarci, anche dopo molti anni ci eravamo ritrovati, quello era il nostro destino, separarci, ma ritrovarci sempre.
"Ti aspetterò, come ho fatto finora d'altronde." Decise, dandomi un bacio sulla fronte, come ad una bambina, e abbracciandomi forte, circondandomi tutta in quel gesto di protezione, ma come a segnare un'appartenenza.
Tutti in quel momento decidevano per me, ognuno prendeva una decisione sulla mia vita, avevo sempre odiato quando la gente lo faceva, quando decideva per me, ma in quel momento fu l'unica cosa di cui avevo veramente bisogno, una o più persone in questo caso, che si prendesse cura di me.
Non sono sicura di quanto durò l'abbraccio, ma so che quasi mi addormentai tra le sue braccia, coccolata e finalmente in pace.
Si staccò da me quando Edward ci comunicò che avrei dovuto fare in fretta se avessi dovuto prendere l'aereo, anche se tutti erano contrari alla mia scelta, la rispettavano, e li ringraziai mentalmente; così mi accarezzò un'ultima volta la guancia e mi guardò andare via, non da lui, ma dal dolore, che avrei superato da sola, aveva sempre funzionato, prima di incontrare la ragione per cui non riuscii a fare quasi più niente da sola, era lui.

Avanzando lentamente e quasi pentendomi della scelta che avevo appena preso, mi diressi verso il gate da dove poi sarei partita per Atlanta, sotto gli sguardi fissi della mia preziosa famiglia.
Fortunatamente avrei dovuto pensare solo all'imbarco, dato che il resto l'avevo già fatto accompagnata da Aro.
Quando iniziarono ad imbarcarci, quella sensazione di nostalgia e di vuoto si fece spazio nuovamente nel mio stomaco, ma non sapevo che non sarebbe stato un fatto temporaneo, probabilmente stavo facendo la scelta sbagliata.
Ero combattuta tra due titani: il mio cuore che mi urlava di tornare indietro, di tornare dalla mia famiglia, da Jacob, le uniche persone che mi avrebbero resa davvero felice e appagata; ma dall'altra parte c'era la testa, quella che controlla la parte razionale, a cui non importa dei sentimenti, le cose possono essere o giuste o sbagliate, e per la mia testa stavo facendo la scelta giusta.
Non so per quale motivo, la mia testa vinse quella battaglia, e il mio cuore si zittì, consapevole che avrebbe sofferto molto nei mesi successivi.
Io persi quella battaglia, Jacob la perse, la vinse la razionalità e il pensiero di poter costruire una vita migliore lontano dalle persone a cui tengo tutt'ora e che mi amano profondamente, quel pensiero presente in molte persone, che le fa solo perdere in mondi sconosciuti e inesplorati.

Salii sull'aereo, presi posto e subito mi affidai alle mie cuffie, coloro che non mi hanno mai tradito e mai lo faranno.
Dopo circa mezz'ora dalla partenza, mi addormentai, e anche qui i sogni non mancarono.

Una donna sedeva davanti a me e mi guardava delusa, triste, amareggiata, forse per qualcosa che le avevo fatto, ma io non la conoscevo.
I suoi capelli lunghi e neri le ricadevano con dei piccoli boccoli sulle spalle e la pelle olivastra rispecchiava la sua non troppo giovane età, forse era la madre di qualche conoscente.
Feci per parlare, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono, e lei, notandolo, cominciò a parlare, mostrandomi un leggero sorriso e scoprendo i bellissimi denti bianchi.
"Renesmee, piccola guerriera, sicuramente non mi riconoscerai, e non è importante che tu lo faccia, ma una forza superiore è venuta a cercarmi per contattarti, stai commettendo un grosso errore, l'imprinting non permetterà che tu ti separi da mio figlio."
Pronunciò queste parole, inizialmente amorevolmente, ma in seguito sembrò quasi minacciarmi.
Era la madre di Jacob?
Erano molto simili, ma non potei soffermarmi troppo sulla sua figura perché dopo poco scomparve, lasciandomi sola.

Mi svegliai di soprassalto come dopo tutti quegli strani sogni che ogni tanto mi capitava di fare.
Era davvero la madre di Jacob o era solo un sogno?
Avevo sempre più paura e odiavo la figura e il ruolo dell'imprinting, odiavo come si manifestava e il fatto che debba sempre scegliere per le persone.
L'amore non è indotto, l'amore è naturale e libero.

Senza accorgermene già metà del viaggio era passato, anche se non mi sembrava che il sogno fosse durato così a lungo.
Mancavano altre due ore delle quattro totali per arrivare a destinazione, e la paura si fece spazio dentro di me.
Cercai di riaddormentarmi, ma il tentativo fu inutile, ero troppo agitata e impaurita per riuscire a dormire.
Continuai ad ascoltare la musica per tutta la durata del viaggio, che si rivelò un vero strazio per l'ansia che mi attanagliava, ma finalmente dopo altre due ore il volo si concluse, e le mie paure si concretizzarono.
Scesi dall'aereo dopo essermi fatta mille pensieri su come sarebbe stata la mia vita in quella nuova città e tirai un sospiro di sollievo, avrei iniziato tutto da capo, era la mia seconda possibilità.
Mi diressi verso l'aeroporto e vi entrai, dovevo assolutamente mangiare qualcosa.
Entrando però, trovai una sorpresa.

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