Capitolo 13

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GIORNO 9
Parte 2

P.O.V. Clary
Da dietro le palpebre chiuse percepii un debole raggio di sole che mi destò dal mio sonno.
Aprii lentamente gli occhi beandomi della calda luce solare e della fresca aria mattutina.
Intorno a me sembrava tutto così stranamente tranquillo e silenzioso, se non per il flebile cinguettio che proveniva dalla finestra socchiusa accanto al letto.
Per la prima volta da giorni ero riuscita a dormire tranquilla. Quella notte non avevo avuto gli incubi ormai diventati familiari.
In quei cinque giorni di reclusione, ogni volta in cui chiudevo gli occhi le immagini di me che uccidevo Jace affioravano nei miei sogni. Iniziavano sempre con me e lui felici e finivano sempre con io che gli toglievo la vita. Non importava come: lo strangolavo ,lo riempivo di pugni, lo affogavo, lo pugnalavo...il risultato era sempre lo stesso. E alla fine mi svegliavo in lacrime, senza nessuno che potesse sentire il mio dolore o il mio senso di colpa.
Ma quella notte era stato diverso.
Quella notte qualcuno mi aveva sentito e mi aveva consolato. Qualcuno che non mi sarei mai aspettata di avere così vicino...
Mi riscossi dal mio stato di trance e spostai lo sguardo sul mio corpo. Durante la notte avevamo cambiato posizione e adesso eravamo entrambi sdraiati su un fianco, con lui che mi spingeva contro il suo petto nudo cingendomi la vita con fare possessivo, come se potessi scappare da un momento all'altro. Dopo essermi sfogata con mio fratello, mi ero accorta di quale fosse l'unico vero problema: ero sola. Senza nessuno che potesse aiutarmi ora che ero in difficolta. Per questo avevo voluto dormire con lui: era l'unica persona che potessi avere vicino a me in quel momento.
Mi rigirai lentamente nel suo abbraccio, per evitare di svegliarlo, e osservai il volto di Jonathan. Sembrava...rilassato. Chiunque vedendolo così, ad occhi chiusi, immerso nel sonno, lo avrebbe potuto scambiare per uno degli angeli più affascinanti del paradiso, ma io sapevo che sotto quelle palpebre si nascondevano due sfere talmente nere ed intriganti, da far invidia al più temibile Principe degl'Inferi con la loro oscurità.
Avrei dovuto essere infuriata con lui per ciò che aveva fatto, ma, per quanto ci provassi, riuscivo a prendermela solo con me stessa e per quella sensazione di sollievo che avevo provato alla notizia.
Ero comunque arrabbiata con Jonathan, sia chiaro, solo non lo ero quanto avrei dovuto.
Mi sfuggì un sorriso quando notai l'ironia del destino, che aveva fatto diventare proprio lui il mio "salvatore".

-E questo per cos'era?- sussurrò una voce impastata del sonno, facendomi sussultare.

Ero talmente immersa nei miei pensieri, da non accorgermi del risveglio di Jonathan, che ora mi stava guardando negli occhi, in attesa di una risposta.

-Perché ti interessa saperlo?- chiesi con il suo stesso tono curioso, dopo un'attimo di esitazione.

-Così posso rifarlo- disse quasi con ovvietà.

Una risatina lasciò le mie labbra per quel pensiero così fuori posto fatto dal demone di fronte a me. Di Jonathan si poteva dire tutto, ma non che volesse far sorridere le ragazze. Far sorridere me.

-Non era per te... è solo che mi sembra buffo che proprio la causa dei miei problemi sia diventata la mia soluzione, temporaneamente- spiegai senza curarmi della vicinanza dei nostri corpi.

-La causa dei tuoi problemi?- chiese stranito e forse...anche un po' deluso.

Vedere il suo atteggiamento da vittima mi fece innervosire, tanto che mi misi seduta di scatto sul letto e mi girai solo di poco per osservarlo mentre il suo sguardo si faceva più confuso.

-Si, è così che definisco colui che vuole uccidere i miei amici, la mia famiglia e chiunque voglia impedirgli di conquistare il mondo, come ha già fatto con due persone: Max e Jace.- un lampo attraversò i suoi occhi, come se si fosse appena ricordato di qualcosa -O c'è un'altro modo per definirti?- chiesi sarcastica.

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