Capitolo 20: Diario di S • Giorno II

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Diario di un evaso di nome S. Giorno II.

Ho dovuto interrompere la scrittura ieri perché un animale è passato davanti a questo rifugio. L'ho inseguito mentre oltrepassava la grotta. Non ho armi, solo forza fisica.

La mia fame ha sopraffatto la paura e l'incapacità che l'assenza di armi mi portava.

Ho agito in silenzio.

Era un quadrupude, orecchie lunghe e pelo rossiccio. Era alto da terra sino alla caviglia ed era rapido. Qualcosa, però, la vita con i tipi in verde mi ha insegnato.
Sono scattato con un ramo rotto e scheggiato, trovato a terra, addosso alla preda e l'ho uccisa.
Mangerò carne per giorni, grazie al cielo.
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È notte. Ho riflettuto a lungo. Ho paura che mi stiano ancora osservando. Aspetto un altro po' per verificare o per accantonare questa paranoia. Per oggi chiudo.

Anch'io sono al mio secondo giorno. Mi sto nutrendo di bacche e frutti, per ora preferisco continuare così.”  furono i miei pensieri su ciò che lessi; non mi preoccupai dell'ultimo pensiero di quell'evaso, in teoria poteva essere soltanto impaurito dopo la sua fuga.

-Ed invece con questa lama mi difenderò, per ora almeno.-

Mi alzai dalla branda con ancora gli occhi increspati dalle lacrime versate la sera prima.
Ormai erano le mie uniche compagne.

Fino a qualche mese fa ero una ragazza allegra, pensavo solo agli scherzi e a divertirmi. Passavo ore ed ore nella vasca da bagno o a rilassarmi o a giocare come i bambini piccoli fra la schiuma. Ero spensierata, non avrei mai immaginato di rivivere la mia vita all'indietro per sapere chi sono veramente... Non avrei mai immaginato di innamorarmi, di perdere la testa per qualcuno e di prendere il mio futuro con le mani e farne qualcosa.”

Sul mio volto un breve accenno di risoluzione spuntò.

                         *** ** ***

Quel giorno decisi di esplorare la zona del fiume perecorrendolo al contrario, da dove presi l'acqua fino a, chissà, la sorgente.

Avevo trovato delle bacche con un fortissimo colore rosso. Le schiacciai e ne feci una sorta di inchiostro.

Camminando lasciai segni sia sugli alberi a cui camminavo accanto, sia sul terreno per evitare di perdermi, un po' come le molliche di pane che due fratelli, protagonisti in un vecchio libro che avevo a casa, lasciarono dietro di loro.

Dopo un'ora o poco più di cammino notai che il ruscello si allargava e diveniva un grande fiume, si riusciva scarsamente a scorgere l'altra riva.

In quella zona dei pesci erano presenti, mi brontolò lo stomaco e tentai di pescare con la punta di un un ramo, staccatosi dal suo albero, nascosto fra foglie e altri rami più piccoli.

Mandai diversi tentavi a vuoto prima di prenderne uno piuttosto piccolo.

-Ma come ho fatto?- esclamai stupita di me stessa e con lo sguardo fisso sul mio trofeo. Ripensai alla mia azione e fu come se fossi stata manovrata da qualcosa dentro me. Fu come subire uno di quei flash sui ricordi ma allo stesso tempo ero lì nel presente, al contrario di quello che mi succedeva mentre la mia memoria viaggiava.

Posai il pesciolino a riva e ritentai.

Stavolta ogni movimento, nella zona d'acqua che mi circondava, era vivido e facilmente percepibile. Scovai un pesce di media lunghezza e lo seguii con lo sguardo, appena fu vicino le braccia si mossero ed il ramo lo colpì.

Continuai per un po' a pescare ma ne presi solo un altro.

                         *** ** ***

Il cielo era di un arancione vivo, le nuvole colorate coprivano a sprazzi la vista dello spazio.

Feci un gran sospiro e uscii dall'acqua.

Avevo le dita dei piedi raggrinzite e graffiate dai sassi. Stavo iniziando a percepire l'umidità dell'acqua nelle caviglie, non avrei potuto fare nulla se mi fossi ammalata. Avrei rischiato di tutto.

Mi infilai le scarpe, allargandole cercando di far prender aria ai miei piedi. L'indomani sarei andata a lavarmi se avessi trovato una zona in cui l'acqua fosse stata debole e profonda più di quanto lo fosse nelle zone già visitate.

Riuscii ad orientarmi facilmente grazie alle mie molliche rosse.

Raccattai legname e foglie nella parte di riva più vicina alla grotta e mi avviai verso di essa.

Con le pietre focaie lasciate nei pressi della branda accesi il fuoco e mi tolsi le scarpe per asciugarle mettendole vicino.

Incrociai le gambe ed iniziai a pulire il pesce. Lo avevo fatto altre volte con mio padre. La lacrima in quel caso, era d'obbligo. Mi dispiaceva averlo abbandonato, ma almeno così ero certa lo lascessero in pace. Mi mancava, ma ero più decisa a vivermela così.

Prima o poi avrei ripreso la mia corsa nel vuoto del mio passato, verso quel luogo che tanto mi attirava.

Oltre la grotta, oltre la montagna, oltre il deserto.

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