~Capitolo 30~

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Ancora un pò scossa e con il fiato sospeso vado in camerino.

Apro la porta e mi fiondo sulla sedia di fronte allo specchio.

Poso i gomiti sulla scrivania e mantengo la fronte con le mani.

Ma come ho fatto ad arrivare fin qui?

E gli altri? Cosa penseranno di me?

Dopotutto scommetto che nessuno si accorgerà della mia scomparsa.

Come può una ragazza di quindici anni lavorare in un nightclub.

Se solo quel giorno dissi di No alla proposta di cambiare io ora sarei ancora alla Torre con gli altri, oppure a casa mia, nella mia vecchia casa.

Non ci capisco più nulla.

Mi alzo dalla sedia e con un gesto veloce tolgo i tacchi dai piedi, fanno un male.

Metto un braccio dietro la schiena e con delicatezza apro il vestito con la zip.

Tolgo le braccia dalle maniche in pizzo ed esso scivola a terra percorrendo le gambe e lasciando dei forti brividi.

Prendo un accappatoio bianco, lo metto e vado in bagno.

Sciacquo il viso almeno una decina di volte per togliere il trucco dal viso.

Mi guardo un ultima volta allo specchio osservando il trucco colare dagli occhi come lacrime nere.

Esco dal bagno e mi siedo sul divano in velluto.

Perché non posso risvegliarmi da questo incubo.

Scuoto la testa un paio di volte.

Bussano alla porta.

"Avanti!" dico irritata.

Entra un uomo dai capelli pece e gli occhi color ghiaccio.

"Complimenti, per essere solo una ragazza" chiude la porta e si appoggia vicino alla scrivania.

"Per quanto tempo dovrò restare qui a lavorare per te, Psichor" dico cambiando discorso e sottolineando il suo nomignolo.

"Il tempo che ci vuole" si osserva allo specchio.

"Questa non è una risposta" dico acida.

"Oh sì che lo è!" dice prendendo dei dischetti di ovatta.

Con un gesto sul suo zigomo destro strofina il dischetto di ovatta.

Sotto quel batuffolo bianco compare un altro tatuaggio Psichor Killer.
Con una scrittura molto informale come quelle che venivano usate nell'epoca dei primi del Novecento per scrivere lettere.

"Cosa c'è? Ti interessa il mio tatuaggio?!" mi osserva dall'immagine riflessa dello specchio.

"Niente affatto" dico acida.

"Bene" va in bagno e sento il rubinetto dell'acqua aprirsi.

Io resto ancora a guardare la porta del bagno aperta.

Il rubinetto viene chiuso e lui ritorna con viso e mani bagnate, sgocciolano gocce d'acqua come pioggia in primavera.

Il suo viso è completamente cambiato: molte ciocche dei suoi capelli sono di un verde militare, della matita sbavata sotto gli occhi, le sue labbra sono di rosso scarlatto probabilmente prime le copriva con del trucco e le unghie delle sue dita sono marcate dai simboli delle carte francesi, quadri, picche, fiori e cuori.

Lo guardo col fiato sospeso.

Si toglie la giacca nera facendo notare la sua camicia bianca e la cravatta del medesimo colore della giacca.

Ravén. Prigioniera di una GemmaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora