Epilogo

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"Ciao piccola"
Russell mi saluta con un bacio quando entro in macchina.
"Come è va oggi?"
"Mah, il solito. Tutto bene"
Mi guarda con occhio indagatore. Sa benissimo che non va tutto bene.
"Lo so, sei preoccupata per dopodomani. Lo so" dice accendendo la macchina e incanalandosi nel traffico.
"Odio mentire ai miei, sai anche questo. Mi fa sentire come una truffatrice... È quello che sono in effetti"

Circa un anno e mezzo fa Russell ha rischiato di morire.
Durante un servizio notturno uno strafatto di amfetamine fuori controllo l'ha accoltellato una quindicina di volte all'addome e anche al volto.
Me la ricordo bene quella notte d'estate, e anche tutte quelle seguenti, passate a piangere talmente tanto da sfinirmi, fino a perdere le forze.
La nostra storia non è venuta fuori subito, è successo solo dopo qualche mese ed è stato grazie alla ormai ex moglie di Russell. I miei voti a scuola avevano subito un calo drastico, passavo tutto il tempo a fissare il vuoto chiedendomi cosa stavo facendo lì quando avrei dovuto essere al fianco di Russ, consegnavo quasi in bianco tutti i compiti, non aprivo mai un libro. Passavo le giornate a piangere. Probabilmente anche ai miei genitori era venuta qualche idea ma io credo che si fossero prodigati per allontanarle con tutte le loro forze. Quando fu possibile fargli visita, non persi un secondo anche se lui dormiva. La prima volta che lo vidi mi sentii quasi male: una cicatrice rossa e gonfia gli partiva dal sopracciglio destro, gli attraversava l'occhio, la guancia, un angolo delle labbra, e gli finiva sul mento. Per non parlare delle ferite che non potevo vedere. Ci ho messo del tempo prima di trovare la forza per tornare. E intanto Russell aveva iniziato a svegliarsi per pochi confusi minuti al giorno; la prima cosa che disse fu il mio nome. Non faceva altro che ripetere il mio nome nei suoi sonni agitati. Almeno così disse Annalise in una grigia e umida serata d'autunno. Mia madre l'aveva invitata a cena; Benjamin non c'era, era rimasto a casa con i nonni materni che erano venuti su per stare accanto alla figlia.
Ad un certo punto, con tutta la calma del mondo, mentre mio padre stava servendo l'arrosto in tavola lei disse: "Russell non fa altro che dire il tuo nome, Maggie"
Il silenzio che calò... me lo ricordo ancora oggi. Pareva che la temperatura si fosse abbassata di dieci gradi all'improvviso.
Fu quella sera stessa che confessai tutto, davanti agli occhi di gelo di Annalise e a quelli sconvolti dei miei genitori, tra le lacrime e i sussulti. Mi sentivo stranamente bene anche se sapevo di aver causato il finimondo.

Per qualche misteriosa ragione Annalise non mi impediva di andare a trovare suo marito; ero li tutti i giorni dopo la scuola, gli parlavo, lo accarezzavo, ogni tanto mi rispondeva. Pian piano lo vidi risvegliarsi del tutto, il suo corpo una volta massiccio era ridotto pelle e ossa, il volto scavato e sfigurato. Ma io lo amavo, sentivo di amarlo con tutta l'anima, più di qualsiasi cosa al mondo. Forse era proprio per questo che Annalise mi lasciava fare. Forse capiva. Non so.
A casa i miei genitori mi parlavano a stento, soprattutto mio padre. Non osavo immaginare a cosa stesse pensando in quel periodo. Ma tutto sommato non mi importava. L'unica cosa che mi interessava davvero era stare con Russell e vederlo riprendersi lentamente ma ogni giorno sempre di più.

Appena Russell fu dimesso dall'ospedale tornò a casa sua ma solo perché non aveva altro posto dove andare e perché tutto sommato era ancora il padre di Benjamin e niente al mondo, nemmeno quella strega di sua moglie, parole sue, avrebbe cambiato quella cosa. Le carte del divorzio però non tardarono ad arrivare e Annalise ottenne l'affido esclusivo. Fu un duro colpo per Russell e io mi sentivo talmente in colpa che per un periodo meditai di sparire dalle vite di tutti e scappare lontano da quella città. Ci pensavo sul serio, ne avevo tutta l'intenzione. Ma quando lo dissi a Russell, quando gli dissi che sarebbe stato meglio per tutti, lui mi abbracciò stretto: "Non mi resta più niente, Margaret. Ci sei solo tu"

Il tempo passò; con un discreto ritardo riuscii a diplomarmi e perfino ad entrare al college. Di fatto me ne andai davvero dalla città ma solo per trasferirmi nel campus della Mercer University. Russell, all'insaputa di tutti, si trasferì a Macon con me, si trovò un appartamento e un lavoro da meccanico. Fu così che ebbero inizio le nostre nuove vite.

"Ma no non dire così" mi cinge le spalle e mi attira a sé mentre siamo fermi al semaforo. È ritornato quello di un tempo, forte e in salute. Se non fosse per la cicatrice sul volto e la parziale cecità dell'occhio destro, nessuno potrebbe indovinare quello che egli è successo. Solo io lo so, solo io accarezzo i profondi solchi che gli attraversano la carne quando facciamo l'amore.
"A che ora partirete tu e Alex dopodomani?"
"Non so, dobbiamo ancora decidere"
La sensazione di essere una bugiarda schifosa che mi attanaglia ogni volta che scendo alla mia casa natale, è proprio dovuta ad Alexander. È diventato il mio migliore amico e anche il mio 'fidanzato ufficiale'. Lui fa un favore a me, togliendo ogni traccia del ricordo di Russell dalla memoria dei miei genitori, per quanto difficile possa essere. Quel tanto che basta a mantenere l'illusione di un precario equilibrio. Ed io faccio un favore a lui, togliendo dalla testa dei suoi parenti retrogradi e bigotti il sospetto della sua omosessualità.
Russell mi bacia ancora, mentre con la mano gli sfioro la linea rosea che gli attraversa il volto.
"Quanto ti amo, Maggie"
Scatta il verde e il traffico inizia a scorrere di nuovo.
Ancora oggi fatico a credere a tutta questa storia. È incredibile come questo amore folle e assurdamente profondo sia potuto nascere da un gioco così pericoloso.

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