Capitolo 3

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La Guardia Airport, Manhattan - 10 Aprile 2005, 12:00 PM

Dopo lo shopping sfrenato che la donna aveva fatto per me, mi ritrovai a trascinarmi dietro per l'aeroporto una sacca militare che di sicuro pesava il doppio di me. Inutile e ripetitivo dire che non avessi mai visto, né tanto meno avessi mai messo piede in un aeroporto: in sedici anni non ero mai andato oltre la porta di casa di Jörg.

Non disponevo di alcun documento di identità, a dire il vero, non avevo nemmeno un'identità. Nel suo ufficio, Lucy mi spiegò che nessuno dei miei genitori aveva mai dichiarato la mia nascita, che non si conosceva nemmeno l'identità della donna che mi aveva messo al mondo e che in ospedale era stata accertata la paternità di Jörg.
Per lo Stato io non ero mai nato, ero nessuno prima che gli agenti sfondassero la porta di quell'abitazione fatiscente che per me non era mai stata casa, ma solo una prigione piena di incubi.

Fu sua premura darmi un documento provvisorio con la quale potermi imbarcare sull'aereo, poiché mi venne spiegato che i miei nuovi genitori, a Los Angeles, avevano già avviato tutte le pratiche per donarmi un'identità, oltre che una casa e una famiglia, perciò non appena sarebbero state risolte tutte le faccende burocratiche, io avrei smesso di essere "solo" Thomas e sarei stato a tutti gli effetti, per il resto della mia vita, Thomas Kaulitz.

Dopo aver salutato quella donna di colore che per me sarebbe sempre stata la mia salvatrice, il mio angelo custode, la prima persona in vita mia che avesse teso una mano verso di me solo per aiutarmi e non per farmi del male, mi imbarcai e mi sedetti al primo posto libero che trovai, il più distante possibile dal finestrino.

Presto lasciammo New York, ne fui certo anche se ero lontano dal finestrino, e chi poteva biasimarmi? Prima di quella mattina non ero mai stato nemmeno su un'auto e in quel momento ero addirittura su un aereo, un aggeggio che, inspiegabilmente per me, non poggiava sulla terra ferma, bensì volava: me la stavo letteralmente facendo addosso dalla paura.
Mi ricordai solo dopo un po' dell'ennesimo regalo di Lucy, e con il cuore che minacciava di uscire dalla gabbia toracica e le mani tremanti e sudate, afferrai il piccolo affare elettronico che avevo nella tasca della felpa e ci collegai le cuffie che avevo appese attorno al collo, avviai la musica così come mi aveva detto di fare e indossai gli headphones sulle orecchie, lasciandomi tranquillizzare dalle note di "Like Toy Soldiers" di Eminem, l'artista preferito di suo figlio Johnny.

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Chiedo enormemente scusa per questo ritardo assurdo, ma tra il lavoro e vari problemi di connessione non ho potuto aggiornare prima.
Spero il capitolo vi piaccia, anche se breve.

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