Capitolo 12

348 24 17
                                    

Tarzana, Los Angeles, California - 18 Aprile 2005 - 05:00 P.M.

Una settimana era trascorsa da quell'incursione notturna di Bill nella mia camera, una settimana da quando mi aveva portato in uno stato di estasi pura con pochi gesti, mostrandomi quanto poco bastava al mio corpo per rispondere prontamente al suo, una settimana in cui lui era tornato scostante e perfido nei miei confronti, certo, forse mi dava meno contro, ma non erano cambiati i suoi giudizi poco carini sul mio modo di vestire e sulla mia intelligenza, secondo lui inferiore alla media e molto più vicina a quella dei gorilla che a quella degli esseri umani.

E così un altro lunedì era trascorso e nonostante tutti i miei sforzi per cercare di mettermi al pari con le conoscenze dei miei coetanei, faticavo molto per fare apprezzare ai professori tutte le ore di studio e le varie nozioni che cercavo di ficcare nel mio cervello, talvolta senza risultati;
cosa differente invece per i miei compagni di scuola che, stranamente, avevano cominciato a trattarmi neanche fossi stato un loro amico di vecchia data, e a detta di Georg era perché nei corridoi si era sparsa la voce che avevo avuto la meglio su uno scontro contro Igor e i suoi tirapiedi, ossia i bulli che terrorizzavano tre quarti d'istituto e che capì essere quelli che avevano aggredito Bill nei bagni.

Dal canto mio non potei fare altro che godermi quell'ondata di "successo" che portò da me Andreas, un ragazzino dal fisico esile come un chiodo ma con un appetito da far invidia a Georg e Gustav assieme nei loro giorni migliori, il che era tutto da dire.
In quella settimana apprezzai ogni giorno sempre più la sua compagnia vivace e spensierata, facendomelo considerare un buon -oltre che il primo ed unico- amico, e sempre più spesso mi ritrovai a pensare a Bill che appariva ai miei occhi sempre più solo ed emarginato in quella scuola, nonostante lui non sembrasse accusare in alcun modo quella solitudine che avrebbe fatto soffrire chiunque altro. Parlando con Andreas seppi che era sempre stato così fin da quando avevano cominciato a frequentare quell'istituto due anni prima: Bill era sempre stato solo e mai aveva dimostrato di voler provare a fare amicizia con qualcuno, e d'altro canto nessuno aveva provato a fare amicizia con lui, era come se si bastasse da solo, ma qualcosa mi diceva che invece ne soffriva tantissimo e che tutto quel suo essere scontroso era una maschera, un'armatura forgiata nel tempo per non dar modo a nessuno di scalfirlo con il potere delle parole o degli sguardi, perché tutti lì dentro sembravano serbare disprezzo per quel ragazzo dalla pelle diafana, e al tempo stesso, gli altri sembravano diventare invisibili agli occhi del moro, come se fossero insignificanti con i loro pareri e le loro occhiatacce, solo i bulli sembravano "apprezzare" la sua compagnia, almeno era così prima che io avessi quello scontro con Igor e i suoi scagnozzi, da allora anche loro si premuravano di stare alla larga da Bill per non dover avere guai con il suo fratello adottivo arrivato dal Bronx.

Sospirai pesantemente e chiusi con un gesto stizzito il libro di storia: era da almeno mezz'ora che inutilmente cercavo di farmi entrare in testa delle stupide date risalenti a giorni in cui qualcuno aveva fatto qualcosa, tutta gente morta da un'infinità di tempo e di certo imparare quelle dannate date non avrebbe fatto accrescere l'importanza di ciò che avevano fatto; mi alzai dalla sedia dopo essermi sgranchito gambe, braccia e collo e decisi di scendere in cucina per prendere qualcosa con la quale fare uno spuntino, dato che il cibo della mensa scolastica era autentica spazzatura e probabilmente anche quello risaliva al periodo di quelle cazzo di date che dovevo imparare.

Entrando in cucina pescai una mela dal cestino posto sopra l'isola e sorrisi a Simone, intenta a preparare un altro dei suoi "dolci", per la sfortuna di Gordon che avrebbe dovuto mangiarlo, per poi mentire e decantare le inesistenti doti da pasticcera di sua moglie; presi posto su uno degli sgabelli e la guardai lavorare ai fornelli in religioso silenzio, mangiando la mia mela, quando lei, dimenticandosi totalmente della crema da continuare a mescolare sul fornello, si voltò a guardarmi con un cipiglio in fronte "Tom, tesoro, perché non esci e vai a fare una passeggiata? Sei sempre rintanato nella tua stanza peggio di Bill! Anzi! -esclamò come se avesse avuto un colpo di genio e corse a prendere il portafogli dalla sua borsa, dalla quale estrasse un mucchietto di banconote, porgendomele con un sorriso- Vai a tirar fuori la strega dal suo antro e andate al centro commerciale, Bill mi aveva chiesto di portarcelo per comprare alcuni trucchi nuovi, ma io sto facendo questo dolce nuovo e complicato e.... IL DOLCE!" la vidi correre nuovamente ai fornelli per cercare in qualche modo di non gettare via il lavoro che era stato fatto e mi guardò un'ultima volta "Tom, ti prego.. porta Bill a divertirsi, avete entrambi bisogno di divertirvi un po', prendete pure la mia auto, tanto lui ha la patente, e se volete restate pure a cena fuori.. tanto credo che oggi ordineremo delle pizze" disse fissando scoraggiata quella cosa gialla e a chiazze marroni all'interno della pentola ormai bruciata e nonostante tutto mi sembrò di scorgere nella sua voce una supplica, ossia quella di portare Bill fuori dalla sua gabbia di solitudine.

LifeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora