Capitolo 17

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Tarzana, Los Angeles, California - 9 Maggio 2005 - 05:05 P.M.

Due settimane erano passate dal giorno in cui Angel era entrato nella mia vita, due settimane fatte di pappine, biberon, pannolini, ninna nanne e sorrisoni, due settimane in cui Carlos non si era fatto assolutamente vivo, due settimane di lezioni con Gordon per imparare a suonare e due settimane in cui il mio rendimento scolastico aveva subito un'impennata non indifferente perché, se da un lato, convincere gli assistenti sociali a lasciare il piccolo con me fu quasi impossibile, dato che ero minorenne, convincere Simone e Gordon che "diventare padre" a soli sedici anni non era un problema è che potevo farcela, fu difficile il doppio, così per dimostrare loro che ero in grado di gestire la situazione, avevo dato uno scossone al mio cervello e mi ero messo sotto con gli studi, non concedendomi alcuna distrazione, fatta eccezione per le passeggiate con Angel e le lezioni di chitarra con Gordon che procedevano alla grande, e stando alle sue parole, avevo un talento ed una predisposizione naturle formidabile per l'apprendimento degli strumenti musicali, ed ero felice, stanco, certo, ma felice, anche perché non avevo modo né tempo per lasciare che la mia mente vagasse su altri argomenti, come ad esempio il moro ossuto che viveva dal lato opposto del corridoio.

La mia popolarità a scuola era addirittura raddoppiata, perché dall'essere "il pericoloso ragazzo arrivato dal Bronx", ero diventato "il pericoloso ragazzo padre arrivato dal Bronx"; le ragazze non facevano altro che sbavarmi dietro, guardandomi con occhi sognanti, sospirando perse in chissà quali pensieri di adulazione, alcune più coraggiose e audaci mi avevano anche chiesto degli appuntamenti che io avevo gentilmente declinato usando Angel come scusa, altre più timide si limitavano a lasciarmi lettere d'amore e bigliettini nell'armadietto, il tutto rigorosamente in forma anonima; i ragazzi invece mi ammiravano neanche fossi una qualche celebrità, alcuni avevano paura anche solo a camminare nello stesso corridoio con me o di incrociare il mio sguardo, altri invece mi detestavano per questa mia insensata popolarità, naturalmente nessuno di loro mi aveva mai affrontato apertamente, anzi.

E poi c'era il rovescio della medaglia: Bill, sempre più emarginato dagli studenti di quell'istituto, sempre meno considerato, nemmeno più dai bulli, nemmeno da coloro che fino a due settimane prima lo deridevano, lo additavano nei corridoi e gli riservavano sguardi schifati ed occhiatacce d'insensato odio, era semplicemente diventato invisibile, al contrario di me.

Lo vedevo, se possibile, ancora più magro e smunto, con delle bruttissime occhiaie ad adombrargli costantemente gli occhi stanchi e vuoti, e nonostante i suoi tentativi di coprirle col trucco, erano sempre ben evidenti, ma era come se nessuno ci facesse caso, a lui, alla sua magrezza ai limiti dell'anoressia, alle sue occhiaie, al fatto che avesse preso ad indossare capi che non erano da lui quali felpe e maglie a maniche lunghe, anche se ormai eravamo a maggio e il caldo era discreto, anche se sia a scuola che a casa i riscaldamenti erano perennemente al massimo, in barba all'inquinamento atmosferico, nessuno tranne me sembrava vederlo, nemmeno Gordon e Simone, si ostinava a coprirsi, e a scuola aveva preso ad assentarsi sempre più spesso alle lezioni di educazione fisica, e se era presente si giustificava ogni volta con scuse banali ed improponibili, senza mai indossare la divisa della palestra.
Tutte le volte che cercavo di guardarlo fuggiva al mio sguardo, cercando di restare nella stanza con me lo stretto necessario, trattandomi come se non esistessi affatto, come se nessuno in quelle stanze esistesse, e a volte, sembrava che addirittura nemmeno lui fosse presente a sé stesso, ero preoccupato, ma mi ero ripromesso di ignorarlo, di non preoccuparmene, esattamente come lui non si era preoccupato di ferire me due settimane prima.

Ci stavo riuscendo discretamente bene a fingere che di lui non mi importasse nulla, me ne convincevo da solo, ma quel pomeriggio quando mi accorsi che avevo finito i pannolini e che il piccolo necessitava di essere cambiato, dovetti violentarmi nell'orgoglio perché in casa c'eravamo solo io, Angel e Bill e fuori pioveva a dirotto, quindi non potevo portare il bambino con me al supermercato e rischiare di farlo ammalare, non avrei permesso nemmeno che Bill uscisse con quel tempaccio, bastasse che accettasse di badare ad Angel per quindici, venti minuti al massimo, perciò armato di un coraggio recuperato chissà dove e con l'orgoglio chiuso a doppia mandata in un qualche cassetto lontano, andai a bussare alla porta della camera del moro, non ricevendo alcuna risposta, provai a bussare nuovamente dopo pochi attimi, pensando che forse non volesse parlarmi "Bill, per favore, puoi tenere d'occhio Angel? Devo andare a prendere i pannolini al supermercato, li ha finiti e ha bisogno di essere cambiato" lo pregai sperando che sentendo che era il piccolo ad aver bisogno di lui mi aprisse, ma ancora silenzio come risposta, sentì soltanto della musica tenuta a basso volume arrivare dall'interno, ed ipotizzai che forse si era addormentato con la musica accesa; mi guardai attorno, indeciso sul da farsi, ma non avevo altre possibilità, non potevo aspettare che tornasse qualcuno per cambiare il piccolo, perciò entrai cautamente in camera, trovandola vuota, e mi resi conto che la musica arrivava dal bagno privato, quindi feci giusto un posso in quella direzione, bloccandomi quando mi resi conto che il pavimento era completamente allagato e che ormai avevo i piedi bagnati, così pensai che si fosse addormentato in vasca, dato che la musica proveniva da lì, mi accostai alla porta e bussai con forza "Bill, devo chiederti un favore" dissi sperando di farmi sentire ma dopo qualche altro colpo senza risposta provai ad entrare, ma la porta rimase chiusa poiché era chiusa a chiave dall'interno e distinsi chiaramente un qualcosa rompersi all'interno del petto, mentre una terribile angoscia si annidava alla bocca dello stomaco; colpì ancora la porta sperando di svegliarlo e di sbagliarmi, mentre l'adrenalina prendeva il sopravvento e la mia mente rifiutava di immaginare determinati scenari, poi le sentì, le parole di quella canzone che continuava a scorrere in loop all'interno del bagno, assieme allo scrosciare continuo dell'acqua

I'm not a stranger
No, I am yours
With crippled anger
And tears that still drip sore

A fragile flame aged
With misery
And when our hearts meet
I know you see

I do not want to be afraid
I do not want to die inside
Just to breathe in
I'm tired of feeling so numb
Relief exist, I find it when
I am cut...

I may seem crazy
Or painfully shy
And these scars wouldn't be
So hidden
If you would just look me
In the eyes

I feel alone here and cold here
Though I don't want to die

But the only anesthetic
That makes me feel anything
Kills me inside

...

I'm not a stranger
No, I am yours
With crippled anger
And tears that still drip sore"

"No... non può essere... Bill" pregai con tutto me stesso di starmi sbagliando, di aver preso la cantonata più grossa della mia esistenza, mentre cominciavo a prendere a spallate quella dannata porta nel tentativo di aprirla: una, due, tre spallate, ma non voleva saperne di cedere, così presi un profondo respiro e assestai un calcio di pianta contro il legno, all'altezza della maniglia, riuscendo a sfondarla, mi avvicinai cautamente, con il fiatone, non essendo pronto a scoprire la verità, così ingoiai la mia paura e un groppo che non sapevo nemmeno di avere in gola, aprendo lentamente la porta e...

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Sono pronto ad essere preso a sberle 😂

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