Capitolo 16

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Tarzana, Los Angeles, California - 25 Aprile 2005 - 08:35 A.M.

Grazie a Carlos che mi indicava mano a mano i vari autobus da prendere, dopo poco più di un paio d'ore arrivammo nel quartiere di Tarzana, con il piccolo Angel che aveva preferito usarmi come poltrona umana personale per tutta la durata del viaggio, trovando particolarmente comode le mie braccia ed il mio petto rispetto alla sua carrozzina; arrivati a casa Kaulitz feci segno a Carlos di seguirmi dentro, credendo che ormai a quell'ora più nessuno fosse in casa, perciò non mi aspettavo minimamente quella scena: Simone in lacrime e con l'aspetto di chi non aveva fatto nulla di diverso nelle ultime ventiquattr'ore, Gordon al telefono, da due apparecchi differenti, mentre cercava di denunciare la mia scomparsa da un cellulare e parlava con Lucy dal telefono fisso, e Georg e Gustav che si guardavano attorno spaesati, di Bill nemmeno l'ombra come se a lui non importasse nulla del fatto che ero andato via, e ciò fu solo l'ennesima cruda conferma che avrei dovuto mandare a fanculo il moro ed i miei sentimenti per lui.

Fu Gustav il primo ad accorgersi di me, che rimasto impietrito sulla porta, non avevo nemmeno spaccicato parola, vidi il biondo tirare la manica della maglia indossata da Georg ed indicare nella mia direzione che se stesse vedendo un fantasma e non suo fratello adottivo, guardai il castano mentre anche il suo sguardo si posava su di me e la sua espressione fu di totale incredulità, di confusione e mentre cercavo di capire il perché di quelle reazione sentì la voce debole di Simone chiamarmi, quasi come ad accertarsi che fossi io e non un brutto scherzo della sua immaginazione, la guardai negli occhi con sguardo duro perché nonostante tutto ero arrabbiato per ciò che mi aveva urlato contro, la vidi avvicinarsi lentamente a me e solo quando fece per abbracciarmi si accorse del piccolo che stringevo al petto e che dormiva beatamente, inconsapevole di tutto. Alzai lo sguardo da Angel a lei e anche lei aveva preso a guardarmi in quel misto di incredulità e confusione che avevano in viso Georg e Gustav e quando Gordon -che aveva riattaccato entrambi gli apparecchi- parlò mi feci ancora più confuso "Tom.. che ci fai con questo bambino? Dove lo hai trovato?" mi guardai alle spalle dove sapevo che avrei trovato Carlos, ma tutto ciò che trovai fu la carrozzina di Angel e la borsa che conteneva i suoi pochi vestitini, di suo padre nemmeno l'ombra, perciò mi voltai a fronteggiare la mia famiglia adottiva e accennai un sorriso "Lui è Angel e... beh.. suo padre lo ha appena abbandonato a quanto pare".

Qualche ora più tardi, quando ebbi spiegato a Gordon e Simone tutta la faccenda, con Angel che dormiva nella carrozzina, feci per infilarmi le mano nelle tasche dei jeans ma nel sentire un pezzo di carta che non avrebbe dovuto esserci mi accigliai e lo estrasse, leggendo:

"Tom, ti starai chiedendo come mai io non sono lì con te e con il mio Angel.. ma l'unica risposta possibile è l'amore per mio figlio, per quanto assurdo questo possa sembrare. So per certo di non poter dare a mio figlio un futuro, e di certo non voglio che muoia di fame o che cresca e che segua le mie orme in questo mondo di lupi.. perciò ho deciso che sarebbe stato molto meglio lì con te, in quella casa, perché nonostante tutto c'è amore e una sostenibilità economica che io non potrò mai avere.
Dì a mio figlio che lo amerò per tutta la vita.
Carlos."

Era una lettera, anzi, più che altro un biglietto, scritto di tutta fretta e infilato nella mia tasca chissà quando da un ragazzo padre disperato che aveva rinunciato a suo figlio per suo amore e seppi che non avrei permesso a nessuno di portare via Angel da me, perché suo padre lo aveva affidato a me, ed io avrei dovuto esserne all'altezza.
Salì in camera mia con il piccolo che ancora dormiva e mi sdraiai piano sul letto, mettendolo accanto a me e solo dopo, vagando con lo sguardo per la stanza la notai, quel qualcosa che il giorno prima, quando ero andato via, di sicuro non c'era, ma che ora mi lasciava a bocca aperta, rapito: poggiata sulla poltroncina sotto la finestra c'era la bellissima Gibson Les Paul "Black Beauty" che vidi il giorno che io e Bill andammo al centro commerciale; mi avvicinai cautamente dopo aver sistemato i cuscini in modo che Angel non potesse cadere dal letto e la sfiorai quasi con la paura che si rompere sotto al tocco, o che svanisse, e poco dopo la sua custodia e un piccolo amplificatore attirarono la mia attenzione, ma non c'erano né bigliettini né nulla che potesse farmi intuire chi potesse averla messa lì, così feci finta di niente e tornai sul letto accanto al bambino, guardando di tanto in tanto verso la poltroncina, quasi a sincerarmi di non averla immaginata.

Più tardi, a pranzo, alla quale prese parte anche Bill, nessuno seppe dirmi chi avesse messo quella chitarra lì, ma Gordon fu felicissimo nel propormi di insegnarmi a suonarla e non potei che accettare quelle lezioni.
Avrei imparato a suonare e nell'istante esatto in cui i miei occhi incrociarono quelli blu di Angel, seppi che la prima canzone che avrei voluto imparare, fosse una ninna nanna.

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