Capitolo 10

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Tarzana, Los Angeles, California - 11 Aprile 2005 - 08:10 A.M.

Per tutto il tempo avevo cercato di ignorare quel piccolo demonio ossuto, avvertendo ancora addosso le sue parole scottanti, ma arrivati a quella che sarebbe stata la scuola che avrei frequentato da lì in avanti, seppi che i miei nuovi genitori, per farmi avere attorno almeno un viso conosciuto durante le ore di lezione e non farmi sentire un completo pesce fuor d'acqua, avevano gentilmente chiesto che io fossi inserito nella stessa classe di Bill, e a quel punto non mi rimase che sperare che almeno i professori fossero tanto clementi con la mia povera persona da non costringermi a sedere con lui come vicino di banco, ma anche questa mia speranza fu presto distrutta da colui che -ero certo- avrei odiato per i prossimi mesi, il professore di lettere, Cedric McMillan, che non appena varcai la soglia della sua aula, mi squadrò con la stessa aria di sufficienza che mi aveva riservato il mio amorevole fratellino adottivo al mio arrivo.

"Bene, branco di prole di esperimenti di Babbuini della Malesia accoppiati con Scimmie Urlatrici della Cambogia, quello che è appena entrato in classe, è Thomas, fratello adottivo del nostro Bill, viene dal Bronx, e anche se, sia il suo abbigliamento, che la sua provenienza, fanno pensare ad un piccolo gangster in erba, voglio vivamente sperare che sarà come un libro, ossia da non giudicare solo dalla copertina: anche se questa può essere scadente e oltremodo orripilante, alcune volte le pagine tra essa racchiuse, possono riservare piacevoli sorprese.
Ad ogni modo le copertine impediscono di vedere quelli che potrebbero essere contenuti meravigliosi, quindi mi auguro di trovare cose belle al suo interno, signor Thomas.
Ma adesso, se vuole prendere posto accanto a suo fratello, smettiamo di perdere tempo e cominciamo la lezione di oggi."
Quel discorso di presentazione era servito chiaramente ed unicamente a deridermi, e nonostante tutte quelle parole riguardo al conoscere una persona senza soffermarsi alle apparenze, eravamo tutti consapevoli che fosse certo che io non valessi alcunché e durante le sue due ore di lezione non mancò occasione per dimostrare che lui aveva ragione, facendomi domande su argomenti che io non avevo mai letto né studiato e che invece il mio caro fratello conosceva perfettamente, guadagnandosi l'appellativo di "Cocco del Prof", oltre ad innumerevoli altri appellativi dispregiativi su quello che avrebbe dovuto essere il suo orientamento sessuale.
E lo stesso scenario si ripetè per tutte le seguenti lezioni con gli altri professori, facendomi arrivare all'ora di pranzo con l'autostima inesistente e la convinzione che quella scuola per me sarebbe stata un'autentica tortura, e faticavo a credere che lo stesso Bill, destinatario di tanti insulti e con nessun amico a dargli conforto, non sembrava dar segno di cedimento psicologico.

In mensa sedetti con Georg e Gustav che avevano insistito affinché stessi con loro e nonostante cercassero di farmi sentire integrato nel loro cerchio di amici, io ero profondamente a disagio, fuori luogo, così non appena ebbi finito di mangiare, salutai e andai nell'aula di arte, in anticipo di almeno venti minuti e conscio che anche lì sarei stato umiliato.
Decisi di ingannare il tempo disegnando qualcosa, e nonostante amassi davvero tanto disegnare, sapevo di non essere bravo, anzi, ma non ci davo peso, perché mi piaceva, mi dava un senso di benessere.

Dopo dieci minuti in cui avevo abbozzato un'idea a matita sulla tela, mi avvicinai ad uno degli armadietti alla ricerca di un carboncino per poter continuare il disegno, ma quando scostai un'anta, alcuni barattoli di pittura acrilica caddero per terra, schizzandomi di colore rosso cremisi e rosso carminio, e tra le varie imprecazioni, dopo aver messo a posto i barattoli e aver recuperato la tracolla corsi al bagno, dove cercai di non badare al tipo che se ne stava poggiato contro la porta di uno dei cubicoli con aria strafottente mentre mi sfilavo la maglietta per cercare di lavare via la pittura.

Era evidente che quello fosse lì da palo e non volevo guai il primo giorno immischiandomi in affari in cui non c'entravo assolutamente nulla; questi erano i miei pensieri almeno finché i rumori provenienti da uno dei cubicoli -lo stesso a cui quel tipo sbarrava l'accesso- diventarono più chiari alle mie orecchie, e provai davvero a far finta di niente, a non pensarci, ma la mia coscienza mi fece presente che, se quel giorno Lucy non si fosse presa la briga di controllare se quella segnalazione fosse stata vera, sicuramente io sarei ancora prigioniero, invisibile, perciò presi coraggio e mi voltai, diretto nel cubicolo accanto a quello dalla quale provenivano quelli che ero certo fossero singhiozzi soffocati, venendo irrimediabilmente bloccato "dal palo" che mi fissò negli occhi con l'intenzione di intimidirmi, ma il suo sguardo mi faceva solo ridere, paragonato a quello di Jörg quando voleva...

Scossi il capo per scacciare quei pensieri ormai finalmente lontani e poco d'aiuto a tenere la mente lucida in quella situazione e inarcai un sopracciglio ricambiando lo sguardo del ragazzo "Devo andare al cesso, sai, lo scrosciare dell'acqua mi ha stimolato la vescica" mormorai sicuro di me, mentendo mentre tenevo i miei occhi nei suoi, così come avevo imparato a fare per evitare le botte, infatti mi lasciò passare e fui libero di chiudermi la porta alle spalle.
Fui lesto ad arrampicarmi alla parete in compensato con un balzo silenzioso, procurandomi una vista abbastanza chiara di ciò che stava accadendo nel bagno accanto: un idiota teneva un ragazzino singhiozzante bloccato con le braccia dietro la schiena, mentre un altro, che sembrava un ultra ripetente, teneva in mano uno strano coltellino artigianale e quando lo avvicinò maggiormente alla sua povera vittima, facendole voltare il viso dal mio lato, tra un turbinio di capelli neri, riconobbi Bill e in quel frangente il mio cervello si spense, oscurandomi la ragione.

Non so nemmeno come feci a saltare con tutto il peso addosso al ragazzo armato, facendolo sbattere di conseguenza con la testa contro la parete opposta a quella dove io mi ero arrampicato, riuscendo a fargli perdere momentaneamente i sensi; prontamente afferrai l'arma e la puntai contro lo sconosciuto che ancora teneva bloccato Bill, accigliandomi nel notare che alle mani portasse dei guantoni che solitamente impiegano i portieri delle squadre di calcio, ma accantonati la mia scetticità su quel particolare non appena parlò e una risata che di divertito non aveva nulla lasciò le mie labbra "Non avvicinarti con quel coso o userò il succhiacazzi come scudo!" gli sorrisi amaramente una volta ripresomi dalla risata e lo guardai glacialmente "Hai mai sentito cosa si dice riguardo a noi del Bronx? Spacciatori, ladri, scassinatori, trafficanti di droghe o armi... assassini." terminai con una luce sinistra negli occhi e il suo sguardo finì sugli schizzi rossi presenti sulle mie braccia, sui miei jeans e sicuramente anche sulla mia faccia, e ai palmi delle mie mani interamente ricoperti di colore rosso che per uno scherzo del destino era della stessa tonalità del sangue; la sua espressione -mentre molto probabilmente se la faceva letteralmente addosso- fu impagabile.

Spinse con violenza il moro contro di me -tanto che dovette aggrapparsi al mio busto per evitare di cadere mentre io facevo pressione sui piedi per non inciampare- e se la diede a gambe assieme al suo amico rimasto a fare da palo. Non mi rimase altro da fare se non assicurarmi che Bill stesse bene nonostante non avessi alcuna voglia di staccarmelo di dosso "Ehi.. va tutto bene? È tutto finito, sono fuggiti via.." sussurrai al suo orecchio mentre lui lentamente calmava i singhiozzi, rilassandosi e poco dopo si scostò da me, asciugandosi gli occhi "Grazie... n-nessuno mai mi aveva aiutato p-prima d'ora..." mormorò a sguardo basso, regalandomi la visione più tenera che avessi mai visto.
Cercai di rassicurarlo sul fatto che non ci fosse bisogno di ringraziarmi, ma prima che il mio cervello potesse anche solo assemblare una frase di senso compiuto, rimasi letteralmente spiazzato quando un paio di labbra piene e ricoperte da un leggero gloss premettero contro le mie e il suo profumo bastò a mandare ancora una volta il mio cervello e il mio cuore fuori controllo, non facendomi nemmeno rendere conto quando la mia lingua prese a danzare assieme alla sua, ricambiando quel bacio passionale che durò giusto pochi istanti e quando riuscì a riaprire gli occhi ero nuovamente da solo, fatta eccezione per l'energumeno privo di sensi ai miei piedi, una delicata scia di quel profumo che ormai per me era droga, il cuore andato perso in chissà quale scorcio di desideri impalpabili e un dolce sapore di fragole tra le labbra.

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