21 - I soldati innamorati

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Nel frattempo, in mezzo agli ussari, si sentì esclamare:

- L'imperatore! L'imperatore!

Tutti si misero a correre e ad agitarsi.

Rostòv vide avanzare sulla strada alcuni cavalieri con pennacchi bianchi sul cappello.

In un attimo tutti furono ai loro posti, in attesa.

Anche Rostòv, si ritrovò al suo posto ed in sella al suo cavallo (senza ricordarsi come ci era arrivato).

Tutto il suo rammarico per non aver preso parte all'attacco era svanito.

In un attimo, tutti i pensieri rivolti verso se stesso si dileguarono.

Niente più noia.

Niente più tristezza.

Niente disprezzo per quelle persone che mangiavano e scherzavano intorno a lui.

Nikolaij venne di nuovo permeato da quel senso di gioia che lo avvolgeva quando aveva vicino l'imperatore.

La semplice vicinanza di quell'uomo compensava ogni possibile carenza vissuta finora, in quella giornata che, fino ad un attimo, prima gli pareva inutile.

Era euforico come un innamorato in attesa di un appuntamento.

Non aveva nemmeno il coraggio di guardarsi intorno, di guardare i suoi compagni.

Sentiva solo la consapevolezza del fatto che il sovrano si stava avvicinando.

Questa sensazione non era dovuta soltanto al crescente rumore di zoccoli di cavallo che si avvicinavano: lo sapeva perché, più quel rumore aumentava, più tutto, attorno a lui diventava luminoso, gioioso e festoso.

Anche quel sole che diffondeva attorno a sé i raggi di una luce più dolce e più maestosa, sembrava avvicinarsi a Rostòv.

E lui aveva l'impressione che il calore di questi raggi lo avvolgesse.

Gli sembrava già di sentirla, quella voce calma, vellutata, solenne e contemporaneamente così intimamente semplice.

Come da un presentimento di Nicolaij, tutto intorno si udì un silenzio di tomba, rotto soltanto dal risuonare della la voce dell'imperatore.

- "Les hussards de Pàvlograd?"

[Gli ussari di Pàvlograd?]

Disse in tono interrogativo.

- "La réserve, sire"

[La riserva, sire]

- Rispose una voce qualsiasi, terrena, così diversa da quella divina che aveva detto "Les hussards de Pàvlograd?".

Il sovrano arrivò all'altezza di Rostòv e si fermò.

Il viso dell'imperatore era ancora più bello di quanto non lo fosse alla rivista, tre giorni prima.

Era rischiarato dalla luminosità felice che hanno i volti dei giovani.

Una giovinezza innocente, ingenua, come quella che traspare dai fanciulli quattordicenni.

E contemporaneamente era il viso raggiante di un grande zar.

Mentre il sovrano osservava lo squadrone, i suoi occhi si soffermarono, per caso, su quelli di Rostòv.

Era stato un attimo: meno di due secondi che a Rostov bastarono per sentirsi pienamente compreso (ma chi lo sa, se lo zar aveva veramente compreso ciò che avveniva nell'animo di Rostòv?).

Due secondi nei quali quei regali e splendidi occhi azzurri si erano soffermati sulla faccia di Rostòv; poco più di un istante, nel quale l'ussaro ebbe l'impressione che da quegli occhi azzurri si diffondesse una luce lieve e dolcissima.

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