Capitolo XI - Come bambini

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- Dai, James, per favore.... fai il bravo.... dai, chi è il campione di papà? Guarda... guarda.... arriva il drago! Il draaaagoooo.....


Niente, non c'era niente da fare. James Sirius Potter non aveva voglia di fare colazione, continuava a sbrodolarsi di mela frullata con malcelata soddisfazione.
Harry lo ripulì con il cucchiaino e poi ci riprovò, paziente come non era mai stato, determinato a nutrire suo figlio secondo il manuale del migliore dei padri.
Ginny lo osservava mezza intenerita e mezza divertita, mentre finiva di confezionare gli ultimi tramezzini e di sistemare la borsa frigo per il picnic.
- Tesoro, che dici, chiamiamo Hermione? - propose il marito, sull'orlo della disperazione.
- No, Harry. So che era molto stanca ed in ogni caso non sappiamo se è in dolce compagnia. Quindi lasciamola stare.
- Ma Ginny! - si girò a guardarla Harry, scioccato, dando la possibilità a James di tuffare le mani nel composto di mela e poi di leccarsele. - Ma... dici.... dici che...
- Perchè no? Che c'è di male?
- Niente, niente.... ma insomma....
Stufa di doversi prodigare ad eliminare macchie impossibili dai bavaglini, Ginny prese il cucchiaino, strinse con dolcezza ma fermamente le guance del bambino in una mano e gli ficcò il cucchiaino in bocca. James ingoiò placido e tranquillo, suscitando l'irritazione gelosa del padre.
- Devi smetterla di proteggere il mondo. È grande e vaccinata, se ha voglia di andare a letto con uno che frequenta ha tutto il diritto di farlo e tu puoi solo sperare che le sia piaciuto.
- Ma sei terribile! - protestò Harry, offeso e scandalizzato, tentando stupidamente di tappare le orecchie ad un marmocchio di sette mesi impegnatissimo a succhiarsi le dita.
- E tu sei appiccicoso e iperprotettivo - concluse, baciandogli la guancia. - Forza, vatti a sistemare che tra poco passa a prenderci George. Ron non viene, vero?
- No, è in pianta stabile ad Edimburgo, ormai.
- Menomale, che sollievo. Non avrei tollerato anche le sue proteste sulla vita sessuale di Hermione.
- Ginny!
- Sbrigati!
Harry si alzò, ancora un po' offeso con suo figlio perchè faceva preferenze su chi dovesse dargli da mangiare, e andò a lavarsi le mani. Ginny prese James in braccio e in due minuti gli fece finire tutta la pappa senza il minimo intoppo.
- Papà è troppo buono, tesoro - sorrise, sbaciucchiandolo. - Temo che lo fregherai spessissimo, quando sarai adolescente.
James ridacchiò con quella sua boccuccia sdentata e le tirò un po' i capelli.

***

Tossendo polvere, calce e chissà quali altre schifose diavolerie, Hermione si alzò in piedi, scrollandosi per quanto poteva quella fastidiosa patina grigia di dosso. Era completamente ricoperta, da capo a piedi, per giunta chissà quanta ne aveva respirata, dandole una sgradevole sensazione di soffocamento. Tossire, invece di migliorare la situazione, non faceva che aumentare l'arsura.
Lentamente, gli occhi si abituarono alla lievissima penombra del posto, tanto sottile da essere quasi inesistente. Si tastò tutto il corpo con cautela, ma non avvertì dolori lancinanti nè perdite di sangue. Il lato esterno del gluteo destro, però, le pulsava fastidiosamente, lasciando presagire la presenza di un grosso livido violaceo.
- Ma... Malfoy... - balbettò, ancora spaventata e confusa.
- Granger – ribattè lui calmo e serafico.
- Dove sei?
- Qui.
- Non vedo niente....
- Aspetta. Ti vengo un po' incontro, tu parla. Niente di rotto?
- No, non mi pare. Tu?
- Neanche... aspetta.... sto allungando una mano..... ah, eccoti - sussurrò, sfiorandole un braccio.
- Ti... ti sanguina una tempia! – strillò preoccupata appena la fiochissima luce le consentì di inquadrarlo.
- Una trave mi è quasi caduta in testa – spiegò. – Ma niente di grave.
- Ma... ma cosa....
- È crollato il pavimento, mi sembra evidente. E abbiamo fatto anche un bel volo.
- Puoi dirlo forte – rispose Hermione, guardandosi intorno. Alzò lo sguardo e non vide nemmeno una luce lontana. - Quanto siamo in basso?
- Non ne ho idea. Parecchio, però. Mi stupisce che non siamo morti.... non mi è sembrato di atterrare su qualcosa di duro... cos'è questo a terra? Muschio?
- Mi pare di sì. Ma.... Ma siamo nelle profondità.... del castello?
- Stamattina hai una particolare propensione per l'ovvio, Granger – sputacchiò Draco.
- E smettila di fare l'idiota! Come facciamo a uscirne? – balbettò la ragazza, con la bocca amarissima e impastata.
- Propensione che aumenta di minuto in minuto, a quanto vedo. Basterà un incantesimo di levi.... – ma a questo punto il giovane si bloccò, sgranando gli occhi con evidente preoccupazione.
- Oh, ma certo – sibilò Hermione, ironica e livida di rabbia. – E con quale bacchetta, di grazia? Per caso quella che hai lasciato cadere?
- Semmai tu l'hai fatta cadere! E poi avresti preferito che ti avessi lasciata precipitare, razza di...
- Dobbiamo essere pari, Granger! Stai tranquilla, cosa vuoi che accada? Un maledetto uccello del malaugurio, ecco quello che sei! – urlò, quasi rossa sotto la patina grigia che la ricopriva. - Oh, la mia bacchetta.... - mugolò disperata, chinandosi e tastando il terreno.
- Le regole sono regole, molla l'osso, Malfoy! Se non fossi così insopportabilmente precisina a quest'ora io avrei la mia!
- Se non avessi giocato a fare il Mangiamorte....
Hermione si rese conto di aver esagerato quando ancora la parola non le era uscita del tutto di bocca, e seppe che ci sarebbe stata una conseguenza.
Difatti Draco l'afferrò malamente per le spalle e lei dovette farsi forza per non gridare e dimostrargli quanta paura stesse provando. Di certo la stava fulminando con uno sguardo assassino che lei fu sollevata di non riuscire a cogliere. Subito però la mollò come scottato.
- Attenta a come parli, Grifondoro del cazzo. Attenta a come parli. Ti consiglio di non farmi arrabbiare troppo perchè le mani mi funzionano ancora e sarò costretto a usarle! – sbraitò soltanto, avvicinandosi di più con fare furibondo.
- Oh, ma davvero? – rincarò Hermione, portando il tono più in alto, infuriata per la minaccia. – Vediamo, vediamo quello che fai! Ma stai attento, Malfoy, perché subito dopo ti ritroverai morto stecchito a terra, ed anche sepolto, ti risparmio la fatica!
- E tu come ne usciresti, sentiamo!
- Un modo lo trovo, io!
Continuarono a urlarsi addosso per parecchi minuti – ad un certo punto ad una distanza, in verità, così ravvicinata che sarebbe bastato sporgersi mezzo millimetro più avanti per sfiorarsi - , sfidandosi a coniare gli insulti più fantasiosi per se stessi e i propri parenti; dopodichè, quando la salivazione si azzerò totalmente ed entrambi furono abbastanza stanchi, si sedettero ognuno all'angolo opposto dello stanzone che avevano cercato a tentoni, a braccia conserte ed immusoniti. Una piccola parte del cervello di Hermione registrò quanto orrendamente infantile fosse quella situazione, ma certo non sarebbe stata lei la prima a cedere; per compensare il silenzio se ne andò in giro a gattoni alla disperata ricerca della sua arma, senza trovare nulla.
Dopo un tempo indefinito – in quel grigiore, in quella scura umidità, non si riusciva proprio a capire che ore fossero – la voce di Malfoy si fece sentire, anche se bassa e graffiata dall'arsura.
- Granger... credo che faremmo meglio a trovare una soluzione.
- Ci... ci puoi giurare, Malfoy. Vai un po' in giro ad esplorare, magari...
- Non ci penso nemmeno! Non ho idea di chi o cosa possa esserci qui sotto, né di quanto sia sicuro! Vacci tu, se proprio ci tieni!
- Che cavaliere senza macchia e senza paura!
- Mai detto di esserlo, spocchiosa eroina delle mie...
- Ok, smettiamola! Basta! – sbottò la giovane, esasperata da tutta la situazione. – Così non otterremo nulla! Dobbiamo collaborare se vogliamo uscirne!
Un grugnito contrariato non la dissuase dal continuare.
- Allora, analizziamo la situazione. Siamo precipitati, non sappiamo quanti metri sotto terra. Ma qui sembra costruito, perciò ci sarà di certo una via d'uscita. Siamo senza armi, né cibo né acqua, perciò abbiamo un'autonomia di pochissimo, senza contare che non abbiamo idea di quali creature possano qui annidarsi. Perciò, propongo di camminare ed esplorare un po' la zona, mal che vada torniamo qui.
- A parte il fatto che non si vede niente, e poi come facciamo a tornare indietro?
- Mai sentito parlare di Pollicino? – celiò Hermione, raccogliendo alla cieca alcuni sassolini e piccoli pezzi di cemento.
- Sembra una diavoleria babbana, quindi non m'interessa.
- Il solito imbecille.
- Granger!
- Taci, ok? Non ho molta voglia di parlare, mi brucia la gola, sono dolorante, stanca e affamata. Voglio solo tornare a casa mia e infilarmi sotto la doccia. Quindi, facciamo silenzio, per un po'.
- Se è questo il modo di farti tacere, ti butto in cantina ogni volta che posso!
Hermione si voltò di scatto, innervosita oltre ogni dire, ma Draco ridacchiava in un modo complice e furbesco, come quello di un bambino che sta cercando la compagna di marachelle, che fece abbozzare anche a lei un mezzo sorriso stremato. Prese quella smorfia cordiale come un invito alla tregua e decise che ne aveva abbastanza di punzecchiarlo.
- Questa luce debolissima proverrà da qualche parte. Cerchiamo di.... non so, di individuarla....
- Dammi la mano - borbottò lui.
Hermione gli prese la sua e se la allacciò al polso. Appena mossero due passi Draco inciampò leggermente e la sua mano scivolò in basso fino ad unirsi con quella della ragazza, senza intrecciare le dita, come bambini. Entrambi sussultarono, imbarazzati, e si mollarono con uno scatto, guardandosi nell'oscurità.
Lo stesso pensiero li fulminò, mentre diventavano scarlatti.
Fortuna che siamo al buio.

***

Daphne sedeva accanto al caminetto, intenta a ricamare camiciole, federe e bavette di pregiato merletto azzurro. Il nome l'aveva già scritto a punto croce.
Thorburne Nott.
A lei non piaceva tanto. Anzi, non le piaceva per niente. Troppo antiquato e altisonante, pomposo, pesante. Ma Theodore aveva insistito tanto, sia perchè iniziava per T come quello di tutti i Nott sia perchè era il nome di suo nonno paterno a cui era sempre stato molto devoto - non aveva mai usato la parola "affezionato".
La donna aveva sempre trovato detestabile questa mania di dare ai figli i nomi degli avi, anzi, dei morti. Finchè era bello come il suo non c'erano problemi, Daphne era un nome molto delicato risalente alla mitologia greca, ma la povera Astoria.... l'aveva sempre trovato inadatto a una bambina, era forte, germanico, con quella t e quella r nel mezzo. Era più bello il suo secondo nome, Candance, ma ovviamente non veniva mai usato.
In ogni caso, quella riflessione apparentemente stupida celava dietro di sè un dubbio più profondo, una ribellione più sostanziale.
Perchè diavolo si piegava sempre a quello che gli altri le dicevano di fare?
Sua sorella era stata crudele a rivangare quella questione che lei invece si dava così tanto da fare per dimenticare, ma aveva perfettamente ragione. Le avevano sempre detto come vestirsi, come comportarsi, cosa dire e come dirlo, cosa fare e come farlo, e lei non aveva mai obiettato, mai protestato, nemmeno una volta, perchè l'avevano sempre convinta che "gli adulti sanno quello che è meglio per te" e lei non ci si era mai soffermata più del dovuto. Perchè mai sua madre avrebbe dovuto volere qualcosa di male per lei? Se le diceva di indossare l'abito azzurro, invece che quello rosso, era perchè di certo le donava di più. Se le suggeriva di stare dritta e composta era solo perchè era la posizione più conveniente ad una signora. Se la obbligava ad imparare tutte le stramaledette tecniche di cucito e ricamo era perchè prima o poi le sarebbe tornato utile.
Sì, ma di quello che lei sognava, di quello che lei desiderava, cosa ne era stato?
Le sarebbe piaciuto dipingere, ma l'aveva fatto poco, perchè le era stato detto che era solo un passatempo da signorine, non un'attività sulla quale concentrarsi pienamente.
Oh, invece passare le estati e le vacanze di Natale a consumarsi gli occhi su centrotavola in pizzo era una occupazione degna.
E poi.... e poi, come sconfitta finale, era capitolata su quella spinosa questione. La storia che Theodore aveva avuto con quella.... Merlino, con una babbana. Non con una strega mezzosangue o sanguesporco, quello sarebbe stato quasi tollerabile... proprio con una babbana. Una studentessa, le avevano detto, conosciuta per caso in un ristorante, mentre lei invece frequentava l'ultimo anno a Hogwarts e si perdeva in sciocche fantasticherie sul loro matrimonio e l'arredamento della loro casa.
Quanto era stata stupida e debole. Avrebbe quantomeno dovuto farlo strisciare ai suoi piedi per mesi a implorare il suo perdono, l'avrebbe dovuto umiliare in ogni modo, e semmai, alla fine, riaccoglierlo, ma come se fosse stata una sua opera di immensa magnanimità. E invece no, non l'aveva nemmeno fatto scusare, aveva fatto finta di non sapere nulla e lui, ovviamente, aveva sorvolato sulla questione.
Come aveva fatto a sminuirsi in quel modo, a considerarsi meno di zero? Eppure era stata sempre altezzosa, se n'era andata in giro per la scuola col naso all'insù, fiera della sua bellezza accecante e del suo portamento elegante.... Non era stata autostima, realizzò con sgomento. Era stata semplicemente vanità.
Ma vanità e felicità non sono mai compatibili.
Perciò disse basta. Basta con il silenzio, basta con l'accettazione passiva, basta con l'ingoiare bocconi amari di rabbia e ribellione.
Aveva ragione Astoria. Prima di essere madre, moglie, figlia, erede, era una donna. Una donna con una voce per urlare e un cervello per pensare.
E avrebbe cominciato da subito.
- Theo? - iniziò, brusca, facendo sobbalzare il marito che accanto a lei leggeva in tranquillità.
- Dimmi, cara - rispose, sorpreso da quella quiete interrotta.
Cara, mi dice. Chissà se lo pensa davvero.
Era inutile, ormai, arrovellarsi su quel discorso. Quel che era fatto era fatto. Bisognava concentrarsi sul futuro.
- Thorburne non mi piace affatto.
- Ne abbiamo già parlato, mi sembra. Avevamo deciso che...
- No no no. Tu hai deciso e io ho taciuto. Ma non darò a mio figlio un nome così schiacciante e risalente a quasi un secolo fa. Non voglio che si chiami così.
Theodore tossicchiò, a disagio. Mai Daphne si era rivolta a lui con una determinazione così perentoria, senza nemmeno prendersi la briga di guardarlo in faccia.
- Daphne, si può sapere cosa....
- Non sono una incubatrice. Sono sua madre, e ho i tuoi stessi identici diritti. E se non voglio chiamarlo così, non si chiamerà così.
- Ma.... ma.... perchè ti scaldi tanto? Se ne può discutere tranquillamente....
- Non c'è nulla di cui discutere. Non mi piace Thorburne, punto.
- Va bene, va bene. Scartiamolo, allora. Tu cosa avresti.....
Ma Daphne già non lo ascoltava più. Con un colpo di bacchetta i fili azzurri presero a contorcersi come serpentelli, fino a formare un altro nome.
Il nome che lei, e solo lei, aveva sempre desiderato per un figlio.
Nathan.

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