Capitolo XXV - Frammenti

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Frammenti di colori.
Una ciocca di capelli spessa e pesante, non definita come un boccolo ma nemmeno aggrovigliata come una matassa di spago, castana chiara, quasi color glicine nella luce candida della luna, gli si era impigliata tra le dita quando aveva poggiato il palmo destro al lato della sua testa per sostenersi, tirandola, e lei aveva gemuto forse di dolore forse d'estasi forse di entrambi.
Le stille di sudore che le avevano adornato il petto, cristalli preziosi, polvere fatata liquida depositata su una superficie morbida, leggermente abbronzata; alcune si erano incastonate tra la leggera peluria bionda dello stomaco che lì spiccava argentea, e lui si era divertito per qualche istante a disperderle, unendo le goccioline con la punta dell'indice, unico Teseo in quel segreto labirinto di piacere.
Il bianco dei suoi denti, imperfetti, piccoli, solleticanti sul suo collo e sulla sua spalla.
Il rosso delle sue labbra gonfie e divorate, ma ancora troppo poco, troppo, troppo poco.
L'ombra più scura della fossetta del giugulo, meravigliosa, quasi commovente nella sua spiccata semplicità, sineddoche perfetta di tutto quell'intero che stava possedendo ma che in realtà lo possedeva in modi così subdoli ed egoisti da rasentare la violenza.
Il rosa tenue delle aureole, contrasto cromatico con quello antico e scuro che spiccava alto e fiero lì accanto.
Un grigio perla minuscolo, quasi un puntino, smalto sbreccato sull'unghia del suo piccolo anulare destro, che aveva avuto modo di notare per un fugace brevissimo istante quando lei aveva teso la mano per afferrarlo per la nuca e pretendere un altro bacio, che non era stato imposto ma concesso con la stessa, identica disperazione.
E poi c'era il rosso che era sangue sottopelle e voglia invece esposta e il nero di luoghi nascosti che solo in certe circostanze si aprono carichi di promesse, mantenute, oh se mantenute, luoghi dove l'unica soluzione accettabile è abbandonare remore e memorie, luoghi dove la curiosità assurge a diritto e dove ogni pretesa è implorata, luoghi dove lui si era improvvisato esploratore e speleologo con ogni mezzo di cui disponeva, e l'assurdo della situazione era nel fatto che la meraviglia si palesava all'esterno - nei gemiti, nelle contorsioni, nelle parole sbocconcellate con fatica, nel suo nome sussurrato come una nenia Dracodracodracodraco - e lui era quasi morto di un dolcissimo male che l'aveva colpito al cuore, al cervello, al ventre.
E un'esplosione di colori, dovunque accecante, comunque presente, per sempre incastonata nella loro memoria.


Frammenti di sensazioni.
Il calore sconvolgente e conturbante della bocca di Draco, in alcuni punti più che in altri, a volte labile e tenero a volte insopportabile e quasi ustionante, una colata di disperazione zuccherata che l'aveva fatta urlare e piantarsi un pugno in bocca, e poi senza imbarazzo nè vergogna per il passaggio afferrarlo e quasi strattonarlo verso l'alto per poter percepire quel calore sulle sue labbra bisognose - totalmente diverso, completamente identico, ugualmente necessario per sentirsi completa.
Lui aveva compiuto sul suo corpo un viaggio a due distinte velocità, una sulle mani e l'altra nel petto, la prima quasi una passeggiata dal rovo cespuglioso dei suoi capelli alla nuca sottile passando per le scapole - scapole d'angelo che forano il cuore - , per franare sulla spina dorsale, una caduta in un burrone gustoso in cui non vedeva l'ora di atterrare e poi sì, finalmente, era atterrato sul morbido, le dita che zampettavano leste come piccoli insetti birichini ed avevano proseguito finchè lei non aveva ansimato aprendo la bocca giusto quel che era servito per un bacio più profondo.
La seconda.... la seconda era stata come il lancio di una Pluffa, accelerazione disumana e poi cuore fermo di botto, di sicuro per almeno un secondo, quando lui gliel'aveva stoppato con un piccolo bacio sul naso - perché era stato così bravo a fermarle il cuore?
E poi le mani, mani maledette mani benedette mani utili, le sue - quelle di lei no, le aveva chiesto o per meglio dire ordinato di stare ferma, toccava a lui conoscere, sapere - erano passate davanti unendo i dorsi mentre accarezzavano le cosce nel loro lato più nascosto - anche quelle si toccavano prima che lui le separasse deciso - perchè no, non era proprio il momento che stessero unite, in quel momento bisognava dedicarsi a precise misurazioni del territorio, prima aveva mandato in avanscoperta gli esploratori più esperti ed abili e poi si aveva fatto scendere l'elemento sorpresa, ma piano, con lentezza, senza fretta, non ce n'era bisogno. E la pancia di lei scendeva e saliva ad un ritmo innaturale, così come il suo piacere, un terremoto di magnitudo incalcolabile causato da intrusioni profonde, faglie nel terreno fertile, e poi una calda morbidezza che interveniva senza alcuna intenzione di sanarle, anzi, proprio per centuplicarle e farla urlare, ancora una volta di più.
E siccome un bravo esploratore non trascura nessun dettaglio dell'ambiente circostante si era perso anche nelle imperfezioni deliziose, piccole cicatrici, smagliature d'adolescenza, in nei piccoli o grandi o chiari o scuri, entrambi si erano dedicati lungamente ai segni infamanti che si portavano sugli avambracci, uniti nella gioia e nel dolore e soprattutto nel secondo ma in quel momento erano bazzecole dimenticate, dettagli ignobili. Un bacio a testa sul marchio di ognuno, scalare omeri e ulne ed incontrarsi a metà strada, proprio sulle clavicole, punto di raccolta di bocche affamate.


Frammenti di sapori.
Può un corpo solo avere tanti sapori? Sì, può eccome, e Draco lo sapeva ma non se lo ricordava più, e se una parte fino ad allora sconosciuta della sua coscienza gli aveva suggerito nei giorni passati che essersene dimenticato era una crudeltà ingiusta adesso quella stessa parte era stata messa a tacere dalla gemella, buona o cattiva era tutto da stabilire, che esultava a gran voce sottolineando impietosa con chi l'aveva riportato alla memoria. E quindi sì, la pelle è una, ma lunga e larga, e i sapori possono essere i più diversi, tutti sopraffini per il palato di un buongustaio.
C'era il sapore degli occhi quando lei si era lasciata scappare lacrime di dolore, le più salate, ma le più dolci.
C'era il sapore della bocca, che conservava sempre una sua nota particolare, di sottobosco agrodolce, anche quando ormai contaminata dal sapore della pelle dell'altro.
C'era il sapore nascosto, da ricercare con uno sprazzo di lucidità, l'unico che poteva sopravvivere in quel frangente, quello che lo aveva spinto ad andarlo a cercare nei luoghi più impensati, dietro l'orecchio, sulla nuca, sul fianco all'altezza del seno, nell'ombelico, dietro il ginocchio, sul malleolo.
C'era il sapore più celato di tutti e proprio per questo il più ambito che lui certo non si era fatto sfuggire, al contrario, se n'era saziato a suo piacimento, fino a farsi quasi scacciare perchè il piacere si stava trasformando in dolore. Morbido, pastoso, setoso, un gusto così meritava un posto tutto suo nell'olimpo delle sue meraviglie, e mai avrebbe potuto tollerare l'idea di spartirlo con alcuno.
E poi c'era stato il sapore migliore, quello del bacio finale quando entrambi avevano perso il controllo di nient'altro che non fosse il nulla, e ricadere dritti nella bocca desiderata era parsa la cosa più sensata da fare, l'unica che veramente poteva sigillare con dignità qualcosa che entrambi avrebbero voluto non finisse mai.
Ma forse, in fin dei conti, il sapore migliore era quello che non si poteva percepire coi sensi, il sapore di un connubio perfetto scoperto troppo tardi, non c'era stato giorno che non se ne fosse pentito, una punizione e un'onta.


Frammenti di suoni.
Lo scroscio di una leggera pioggerellina estiva, innanzitutto. Non avrebbe mai creduto che un suono così regolare ed armonioso potesse essere un accompagnamento tanto perfetto per un amplesso. Ma se c'era stata una cosa che aveva realizzato, era proprio che tutto in quel momento stava acquisendo un nuovo significato o persino più d'uno, perciò non si preoccupò di classificare la notizia, si limitò semplicemente ad accettarla come elemento imprescindibile della situazione, ulteriore stupenda aggiunta alla meraviglia che stava vivendo e che non la appesantiva, non la caricava di elementi pacchiani o frivoli, ma si incastonava proprio nel posto giusto per rendere tutto ancora un poco più perfetto, sempre che fosse stato possibile.
Poi c'era stata la sua voce, tutte le mille sfumature e intonazioni e volumi di una stessa unica voce.
Assente, all'inizio poiché l'incombenza principale consisteva nell'eliminare il superfluo per arrivare alla pelle.
Appena accennata subito dopo, quando i baci erano diventati roventi e le mani curiose.
Perfettamente udibile poi, grazie a dita imperiose, braccia avvolgenti, occhi di brace che imponevano solo con uno sguardo e una bocca dannata.
Strillata, urlata, disperatamente appagata e appagatamente disperata quando la tempesta era infuriata più feroce che mai, e lui si era crogiolato nella consapevolezza galvanizzante di essere lui a tirargliela fuori, o meglio ancora, che solo lui sapeva quali erano precisamente i tasti giusti da toccare per farla impazzire in quel modo selvaggio, per farle sradicare le lenzuola mentre le sue dita correvano alla disperata ricerca di appigli a cui aggrapparsi.
Leggermente soffocata quando, durante il sonno, aveva potuto godere anche della vista della sua schiena soave e studiarla in ogni dettaglio, imprimendosela così a fondo nella memoria che non aveva nessun dubbio, l'avrebbe rivista per tutta la vita, nei suoi sogni più scabrosi quando la mente infingarda e sleale l'avrebbe tradito sfuggendo ad ogni controllo, ovvero durante la notte, con sogni inenarrabili ma favolosi nella loro perversione, o negli incubi più sofferenti, quelli che al mattino seguente gli avrebbero ricordato che non avrebbe mai più potuto rivederla dal vivo.
Si era addormentata di botto, nel mezzo di una frase, come una bambina. Lui non ci aveva messo molto a raggiungerla tra le braccia di Morfeo, ma per quei brevi minuti che l'aveva osservata prima di scivolare nel meritato torpore aveva ascoltato il silenzio e si era accorto che in realtà non riusciva più ad udirlo.
Aveva le orecchie e la mente satura della voce di lei.


Frammenti di profumi.
Gli odori in realtà erano stati il suo punto debole, quelli su cui si era concentrato un po' di meno - troppo difficile gestire cinque sensi, una panacea di informazioni dense e già difficili da distinguere ed analizzare di per sé, senza contare l'aggiunta malandrina di un sesto senso, quello del sentimento, che prepotente come lui si era insediato su un trono privilegiato ed aveva amministrato tutta la scena come nemmeno il più abile dei direttori d'orchestra.
Però aveva colto il profumo degli ingredienti per le Pozioni, forse spezie orientali, cinnamomo e chiodi di garofano.
Aveva avuto una conferma ulteriore della sua tesi: non solo un corpo può avere molteplici sapori, ma anche infiniti odori, alcuni più pungenti e salini, altri così ancestrali e complementari da essere riconosciuti istintivamente come la propria metà perfetta, e soprattutto in questi ultimi lui si era fiondato occhi mani lingua e corpo, tuffandosi senza cautela e senza precauzioni di sorta, scapestrato temerario che prende addirittura la rincorsa prima di gettarsi dalla scogliera per un tuffo rigenerante.
C'era un odore che aveva accorpato e dominato tutti gli altri, senza tuttavia sminuirli: l'odore del sesso aveva saturato qualsiasi anfratto, proprio tutti quelli presenti nell'ambiente, sposandosi in maniera saporitissima con tutto il resto delle conoscenze sensoriali disponibili.
Poco prima di chiudere le palpebre si era accucciato contro di lei, abbarbicandosi alla sua schiena, passandole piano il braccio sinistro sotto il collo e il destro sulla vita e stringendola forte, così forte da farla agitare e brontolare nel sonno - nemmeno da addormentata riusciva a costringerla o domarla, nemmeno in una dimensione onirica sarebbe mai sottostata alle sue imposizioni. Aveva allentato quindi la presa ed affondato il naso nella sua nuca, aspirando a pieni polmoni - come un mendicante, come un cane cieco -, e lì ci aveva trovato un profumo unico e irriproducibile, meraviglioso, soffice quasi come se si potesse mordere, di latte e muschio e sudore e shampoo.
E allora non aveva resistito, era sprofondato proprio alla radice dell'attaccatura dei capelli, sollevandoli in alto per non farlo soffocare, aveva raccolto le gambe sotto le sue e si era addormentato, appagato, soddisfatto, rigenerato, anche se solo per poco.

***

Dopo, Hermione lo ricordava, erano stati sorrisi, baci e coccole deliziose, e quando l'alba era arrivata lei stava già dormendo.
In tutti quegli anni, aveva sempre avuto un dubbio mai risolto, una specie di fantasticheria, che in quel momento invece ebbe la sua risposta.
Prima di uscire dalla stanza Draco l'aveva guardata interamente un'ultima volta, curvo come se pugnalato, gli occhi lucidi di malinconia.
L'aveva baciata leggero per non svegliarla, e le ultime parole le aveva affidate al suo orecchio.
- Cercami. Salvami. Non ti arrendere.
Ma esse, per lei, rimasero solo un sogno nebuloso. Al suo risveglio si ritrovò sola, abbandonata in un letto sfatto, e di Draco mai più nessuna traccia, nemmeno sul treno.

***


Fu un attimo. Mentre Hermione, ancora turbata e scossa dall'aver rivissuto quella notte, credeva di star tornando indietro, fu risucchiata in un'altra visione.
Sulle prime non riuscì assolutamente a comprendere cosa stesse accadendo. Si trovava in una stanza in penombra e tutto ciò che i suoi sensi ancora non abituati all'oscurità riuscivano a percepire erano forme confuse e degli strani sospiri smorzati.
Sgranò gli occhi incredula e orribilmente imbarazzata quando da quello che doveva essere un letto si udì un gemito sonoro ed impudico e il suo viso si girò verso l'esterno, deformato nell'espressione tesa ed estatica che accompagna un piacere vorticoso. Un secondo dopo la bocca di Draco calò suo collo e la sua spinta poderosa la portò a urlare sconvolta, mentre gli stringeva le braccia intorno alle spalle.
Quello, decisamente, non era mai successo.

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