I baci erano diventati due, poi tre, poi quattro, poi cinque, poi dieci poi venti e poi Hermione aveva perso il conto.
Era serena, finalmente. Era serena, dopo tempo immemorabile. Era serena, perchè le cose nella sua vita stavano iniziando a riassestarsi, a prendere la piega della vita normale di ogni diciottenne: scuola, amici, progetti per il futuro e un qualcosa che le faceva battere il cuore ed accendere la fantasia.
Non che fosse semplice. Anzi. Era tutto, tranne che semplice. Non si aspettava certo un Draco principe azzurro che le regalasse i fiori a colazione o che la prendesse per mano per passeggiare nel parco, nè aveva mai pensato a quello che c'era tra loro come una relazione comune, ma lui era strano, strano in un modo confuso, indefinibile, volubile come il vorticare dei coriandoli tirati disordinatamente da un bambino capriccioso. C'erano giornate buone in cui era quasi spiritoso, le tirava la gonna, le faceva gli sgambetti solo per prenderla tra le braccia, le tendeva agguati in un modo persino infantile che la lasciavano basita e che le davano molto da riflettere: forse non aveva avuto mai nessun vero compagno di giochi, non aveva mai potuto fare lo stupido con gli amici (come lei aveva invece visto fare spesso e volentieri ad Harry e Ron, quando duellavano con le bacchette di gomma durante le lezioni di Trasfigurazione) perciò ogni tanto riemergeva in lui quel lato da bambino mai espresso e quindi mai cresciuto - e se ne rendeva conto in tanti altri suoi comportamenti: iniziava mille attività e le lasciava in sospeso, ad Hogsmeade comprava ogni cosa che gli piaceva in vetrina salvo dimenticarsene un quarto d'ora dopo, quando si impuntava di dover fare una cosa non c'era verso di distoglierlo dal suo proposito, anche se era la cosa più stupida del mondo.
C'erano giorni neutri in cui Draco era assente, dove sì e no in una mattina sputava fuori tre parole e non l'ascoltava nemmeno per sbaglio, ma quando lei si infuriava perchè le rispondeva "sì" alla domanda "che ore sono" e faceva per andarsene lui le cingeva le clavicole con un braccio e se la riportava accanto, impedendole di allontanarsi. Quelli erano i giorni in cui Hermione capiva che lui aveva bisogno delle sue chiacchiere per spegnere un rumore assordante che aveva nel cervello, pensieri impazziti che lei non aveva il coraggio di esplorare; in fin dei conti, malgrado quasi tutti avessero subodorato che si frequentavano, nessuno dei due aveva apertamente dichiarato la cosa o aveva ceduto spazi all'altro. Lei continuava ad ergere palizzate - sempre più sottili, certo, sempre più espugnabili, ma sempre palizzate - e a tornare nel suo dormitorio, anche se la notte si rigirava inquieta tra le coperte mentre le sue fantasie le facevano bollire le guance, nè gli parlava del contenuto delle lettere dei suoi amici o di qualsiasi cosa la riguardasse; lui, anche scoraggiato dalla poca fiducia che lei gli elargiva, non si lasciava andare a chissà quali confidenze.
E soprattutto non le diceva dove spariva, quasi tutti i fine settimana e a volte per una settimana intera.
Hermione sapeva solo che, quando tornava, erano giornate nero pece, terribili, rabbiose, urlate, i giorni in cui Draco si dimenticava di lei, nemmeno la guardava e maltrattava chiunque, i giorni in cui bastava sfiorarlo in corridoio per farsi schiantare. Non più tre, comunque. Poi, immancabilmente, lui di sera la aspettava fuori dalla biblioteca e l'agguantava a tradimento alle spalle, immergendo il viso nei suoi capelli, strofinando il naso sulla sua nuca - come un mendicante, come un cane cieco - e lei capiva che era il suo modo di chiederle perdono.
Non le diceva mai dove andava, nè lei glielo chiese mai più; per orgoglio, per il fastidio di essere messa da parte, per paura della risposta.
E forse, si rese conto l'Hermione adulta mentre atterrava nel nuovo ricordo, fu questo il suo errore più grande.***
Si ritrovò catapultata di botto in quello che riconobbe immediatamente come il corridoio di Malfoy Manor. Davanti a lei Draco, ancora in divisa scolastica, passeggiava avanti e indietro davanti ad una porta di legno chiaro, nervosissimo, con gli occhi a terra e le mani raccolte dietro la schiena come un vecchio.
Da dentro la stanza una voce roca, ma dolcissima, si faceva sentire.
- Padrona, il padroncino ha detto....
- Non.... - un colpo di tosse rauco - non voglio che....
- Padrona.... Oren non vuole insistere, ma il padroncino mi ha ordinato di riferirvi che se non lo lascerete entrare sfonderà la porta.
Una risata bassa e sibilante era costata al malato un altro attacco di tosse, più forte e carico.
- Deve solo provarci! Comunque.... fallo entrare, Oren. Ho idea che non avrò più molte altre occasioni di parlargli.
Draco aveva sollevato di botto la testa, inorridito, mentre il singhiozzo di Oren giungeva forte e lugubre.
- Aaah, padrona, non dite così!
- Su, su, sciocco, basta coi piagnistei. Aiutami a sollevarmi, invece di frignare.
Un lungo silenzio, qualche rumore soffocato, molti accessi di tosse. Draco era rimasto immobile e rigido come una statua di sale, gli occhi sgranati da un terrore così viscerale che Hermione non riusciva nemmeno a comprenderlo appieno.
Subito dopo la porta si aprì e un piccolo, raggrinzito e vecchissimo elfo si scostò per lasciarlo passare.
- Oren va, padroncino. Quando avete finito chiamate.
Lui non l'aveva degnato nemmeno di uno sguardo e si era diretto verso l'immenso letto a baldacchino bianco, in cui, seduta tra i cuscini rosa, Narcissa Malfoy seguiva con gli occhi ogni movimento del figlio.
Hermione, come sempre, rimase folgorata dalla bellezza stupefacente di quella donna. Con la pelle tirata sulle guance, occhiaie profonde e orbite incavate, pallida quasi quanto le lenzuola, più che una malata sembrava una puerpera, la principessa Rosaspina appena risvegliata dal bacio del suo unico grande amore; sorrise leggermente e si scostò verso l'interno del letto per consentire a Draco di sedersi sulla sponda, spandendo una colata di capelli dorati su tutto il guanciale retrostante.
La ragazza rimase sulla porta, sentendosi improvvisamente e per la prima volta intrusa nel vero senso della parola, bloccata da una specie di pudore e dal peso della risposta che non aveva mai preteso.
Draco andava a curare sua madre. A farle compagnia, più che altro, considerate le parole del dottore.
- Mamma.... - iniziò, con voce tremolante.
- Non ti azzardare mai più a minacciare azioni da villano contro una porta di casa mia - lo redarguì Narcissa, severa e ferma come Hermione non si sarebbe aspettata.
- Ma tu non mi fai mai entrare!
- Non dovresti stare qui, infatti. Perdi tempo. Faresti meglio a restare a scuola e studiare.
- Ma.... ma... - biascicò lui, combattuto tra la rabbia per quella calma innaturale e la consapevolezza di non doverla fare agitare. - Ma come puoi dire una cosa del genere!
- È quello il tuo dovere, Draco. Studiare. Solo questo ti chiedo e solo questo mi devi.
- Sei.... sei..... - balbettò, furibondo e lacerato da quello che percepiva erroneamente come un distanziarlo.
- Sono pragmatica, Draco - rispose prima di tossire brevemente ma forte nel suo fazzoletto di batista. - Sono pragmatica e devi esserlo anche tu.
Il figlio le diede le spalle, puntellò i gomiti sulle cosce e tuffò il viso nelle mani, disperato e impotente. Narcissa lo guardò con due occhi di cielo profondo, una Atlante che reggeva sulle spalle un mondo d'amore - che no, non pesava affatto, era il fardello più delizioso che avesse mai posseduto - e diresse la sua mano candida e magra ad accarezzargli circolarmente la schiena, partendo dalle spalle.
- Draco - cominciò con voce di velluto, sbattendo gli occhi in fretta per asciugare le lacrime. L'interpellato sussultò forte, ma non si voltò. La madre continuò a massaggiargli le spalle, forse sperando di scioglierlo, nervi muscoli e cuore.
- Credi che io sia felice? Credi che io sia contenta di andarmene così, divorata da una maledizione gettata a tradimento? Credi che mi faccia piacere abbandonarti? Certo che no, Draco. Lo sai quanto sono egoista, avrei voluto continuare ad asfissiarti con la mia invadente presenza per almeno un altro mezzo secolo - scherzò, sperando di farlo sorridere. - Ma le cose stanno in questo modo e non ci possiamo fare niente. Ho sistemato tutto quello che ho potuto, non avrai alcun problema. È tutto tuo, Draco, tutto, ogni singola cosa. Avrai tutto ciò che ti occorre. Pensa a questo e pensa a studiare.
Il figlio non rispose, sempre con viso affossato nelle mani. Narcissa prese un profondo respiro, un respiro pesante che per la prima volta la fece apparire davvero vecchia e malata e che recava in sè tutta la consapevolezza della morte, dell'abbandono, dell'impotenza, di un sentimento troppo grande per essere espresso attraverso qualsiasi parola o gesto; reclinò il capo all'indietro, stremata, e si girò un po' sul fianco destro reprimendo una smorfia di dolore.
Hermione sentì sulle labbra il sapore salato delle lacrime e capì di stare piangendo.
- Vieni qui, Draco, per favore. Stenditi accanto a me - mormorò, quasi senza voce; lui scalciò via le scarpe, si slacciò la cravatta e poi le si accoccolò vicino, stravolto, facendosi abbracciare come forse non accadeva da moltissimi anni. Narcissa gli premette un bacio sulla fronte e iniziò a carezzargli i capelli, respirandone il profumo.
- Non essere triste, bambino mio. Vedrai, ce la farai. Sei forte, ce l'hai sempre fatta. Non hai bisogno di me. Ho sistemato tutto, Draco - ripetè, dandogli un altro bacio - non dovrai preoccuparti di nulla. Promettimi solo che seguirai tutte le disposizioni che ti ho lasciato. Ho fatto il meglio che ho potuto.
- Promesso - era stata una risposta sussurrata, soffocata dai singhiozzi sul suo seno.
- Bravo. Ma adesso torna a scuola. Non mi piace che tu stia qui, sto peggio se ti so qui, da solo. Preferisco saperti a scuola, tra i tuoi coetanei. Torna a scuola, adesso.
- No.....
- Sì, Draco, sì. Obbedisci.
Erano rimasti per molti minuti ancora così, abbracciati stretti, e Narcissa aveva affondato il naso dentro i suoi capelli con un'arrendevolezza struggente, la madre che tenta di respirare di nuovo il profumo della nascita, di quella fontanella morbida che molti anni prima era stata attenta a non rompere. Poi Draco si era alzato di scatto, le aveva dato un bacio frettoloso sulla fronte, aveva agguantato cravatta e scarpe ed era uscito senza voltarsi indietro, pregno di una rabbia devastante e cosmica, diretta contro tutto e tutti.
Hermione riuscì a scorgere, per un breve istante, Narcissa che iniziava a singhiozzare tappandosi la bocca con la mano, prima di svanire nel turbinio dei ricordi.
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FanficAutore: kiddoB 22/07/2013 La vita di Hermione Granger procede, tutto sommato, tranquilla, tra gli amici ed un lavoro temporaneo ma monotono ed insoddisfacente. All'improvviso, però, tutto si stravolge: incontra un uomo perfetto (forse troppo pe...