Capitolo XXVIII - Fiamme d'inganno

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Daphne si era armata di coraggio e faccia tosta, quella mattina. Aveva indossato il suo abito da strega più bello, di un pallido azzurro bordato di blu che esaltava in maniera stupefacente il suo incarnato ed i suoi occhi, aveva acconciato i capelli puliti al meglio, si era truccata con cura. Aveva scoperto, molto tempo prima, che se si sentiva più bella era portata ad essere anche più sicura e determinata nel perorare le proprie cause o avere la meglio sugli altri.
E, quel giorno, Daphne aveva un obiettivo: avere la meglio su Astoria.
Si era fatta trattare come uno straccio da quella piccola vipera, ed era giunto il momento di rimetterla a posto. Le voleva bene, certo, le voleva bene più che a chiunque altro, ma nemmeno poteva permetterle di arrogarsi il diritto di parlarle in quel modo irrispettoso ed irritante. Quando mai lei, Daphne, aveva mancato di rispetto alla sorella? Il loro rapporto era sempre stato all'insegna della più schietta sincerità, ma non per questo bisognava scivolare nella maleducazione. Astoria spesso si sopravvalutava, aveva di sè una immagine troppo sfavillante e folgorante che la portava a salire su un piedistallo e a giudicare senza pietà tutto e tutti, e questo non poteva più accettarlo. Le aveva dato una scossa forte, spronandola a svegliarsi e a farsi rispettare; Daphne l'aveva apprezzata, assimilata ed aveva deciso che quello era un ottimo modo per iniziare.
Oltre a questo, aveva anche voglia di vederla e di fare pace. Era l'unica persona di cui si poteva fidare ciecamente, non le piaceva serbarle rancore; voleva parlarle, magari anche litigare, ma sempre con la certezza che alla fine sarebbe bastato un thè e qualche biscotto al miele da rubarsi a vicenda per dissipare ogni nube e tornare ad essere quelle di sempre. Inoltre mancava poco alla nascita del suo bambino e non sarebbe stato lo stesso senza Astoria accanto.
Ragion per cui quella mattina si era sistemata per bene e si era diretta a Shining Alley che, constatò con sollievo, era in un'ottima zona della Londra magica, tranquilla e ben servita, piena di villette colorate e palazzi moderni. Se non altro, nella furia di andarsene, la piccola Greengrass non si era andata a rintanare in un buco fetido o in un quartiere popolare, anche se Daphne non aveva mai avuto questo dubbio: tutto ci si poteva aspettare, da Astoria, tranne che una caduta di stile.
Trovando il portone aperto salì senza suonare fino al quarto piano grazie all'ascensore, iniziando già a prepararsi il discorso con cui avrebbe iniziato la sua discussione, tentando di prevedere quali sarebbero state le risposte della sorella per studiare le contromosse e non farsi colpire laddove sapeva di essere esposta.
Pensieri che si persero come spore di soffione nel vento, nel momento in cui la porta dell'ascensore si aprì e lei si trovò davanti la porta socchiusa dell'appartamento.
In un istante tirò fuori la bacchetta, ripassando mentalmente gli incantesimi di attacco e difesa che conosceva - pochi, ma efficaci -: chiunque avesse osato fare del male alla sua sorellina sarebbe come minimo morto, e lei i ladri li detestava, ragion per cui in qualsiasi caso avevano firmato il loro assenso a passare a miglior vita.
Introdusse con cautela la punta della bacchetta nella fessura della porta e mormorò appena: - Homenum Revelio.
No, in casa non c'era nessuno. Nemmeno Astoria. Oh Merlino, non potevano averla....
Daphne entrò fulminea e si richiuse la porta alle spalle, sigillandola. Appena inquadrò l'ambiente, però, si rese conto che non aveva ragione di temere un eventuale sequestro: non c'erano segni di scasso o collutazione, era tutto in perfetto ordine, tralasciando un maglione da casa abbandonato sul divano, le pantofole in mezzo alla stanza e....
Merlino!
Daphne si precipitò a spegnere la fiamma che stava per bruciare la teiera. Ma cosa aveva in mente, quella stupida? Uscire e lasciare l'acqua sul fuoco! Dove poteva essere andata, così di fretta da piantare tutto in asso, così confusa e trafelata da non chiudersi nemmeno la porta alle spalle? Menomale che era passata lei, altrimenti sarebbe stato uno scherzetto svaligiarle la casa!
Era tutto allestito per la colazione: la tazza con lo zucchero, il pane sbocconcellato.... cosa poteva essere accaduto?
Daphne si guardò intorno con attenzione, cercando di carpire un foglietto, un calendario su cui fosse scritto un appuntamento magari dimenticato, un qualsiasi indizio che le lasciasse formulare delle ipotesi valide; tornò nel salotto e prese a piegare gli indumenti abbandonati e a sistemare i cuscini.
(Se, in cucina, avesse buttato un occhio sotto al tavolo, avrebbe senza dubbio notato l'elfa tramortita e svenuta per essersi punita).
Spostò l'ultimo e da sotto sbucò un libro, evidentemente letto milioni di volte visto quant'era liso e spiegazzato, gonfiato in mezzo da una piuma.
Daphne si sedette pesantemente sul divano e ne accarezzò la copertina, pensierosa: il libro preferito di Astoria.... era proprio ora che lo leggesse, dopo tutti gli anni in cui gliel'aveva suggerito. Forse, magari, avrebbe imparato a conoscerla meglio.
In avrebbe pensato che mai nessuna considerazione sarebbe potuta essere più azzeccata, quando lo sfogliò rapidamente e ne lesse, via via più turbata e confusa, le frasi chiave sottolineate.
"Dico "i miei principi" e lo dico a ragion veduta: perché non sono, come quelli delle altre donne, dati a caso, accettati senza esame e seguiti per abitudine; son frutto delle mie profonde riflessioni, io li ho creati e posso dire che io sono opera mia. Entrata nel mondo quando, ancora ragazza, mi trovavo costretta al silenzio e all'inazione, ho saputo cavarne profitto osservando e meditando. Mi si credeva stordita o distratta, e frattanto, invece di prestare orecchio ai discorsi che premurosamente mi andavan facendo, raccoglievo con cura quelli che cercavan di nascondermi..."
Daphne continuò a leggerlo confusamente, sempre più febbrile e spaventata, non riconoscendo nelle parole così accuratamente selezionate da Astoria la persona che fino ad allora aveva sempre creduto di conoscere.
"Le illusioni dell'amore posson essere le più dolci, ma chi ignora che sono anche le meno durature? E quali pericoli non porta con sé il momento che le distrugge!"
Cosa aveva rimuginato, quella sciocca? Cosa stava architettando?
Oltre a quelle frasi così strane c'erano anche annotazioni, glosse laterali, non sempre commenti benevoli o riflessioni letterarie.
"La più numerosa, quella delle donne che non hanno avuto dalla loro parte che la bellezza e la gioventù, cade in una apatica imbecillità, donde non esce che per il gioco e qualunque pratica devota: son donne noiose sempre, spesso brontolone, a volte un po' pignole, di rado cattive. Prive di idee e di esistenza, ripetono con indifferenza e senza capire tutte le chiacchiere; di per sé sono delle perfette nullità".
A lato di questo periodo, con una freccetta, c'era scritto "Daphne!!!" .
Sottolineato, con tre punti esclamativi.
Alla donna sbucarono le lacrime dagli occhi senza che nemmeno se ne rendesse conto e si portò una mano davanti alla bocca, stravolta: era questo quello che realmente Astoria pensava di lei? La riteneva "una perfetta nullità" come donna.
Forse lo era davvero. Non era mai stata capace di seguire, comprendere, supportare adeguatamente la sorella, se era cresciuta covando dentro quel miscuglio di invidia, repressione e livore che l'avevano fatta diventare così spietata, calcolatrice, infingarda e crudele. D'accordo, erano caratteristiche tipiche dei Serpeverde, ma Astoria, evidentemente, era precipitata in un vortice di vendetta e crudeltà che avrebbe distrutto lei per prima.
Ipotesi confermata dalla frase più calcata, quasi con gioia furiosa.
"Quando una donna ne colpisce un'altra al cuore, sbaglia raramente il punto sensibile, e la ferita è inguaribile. Intanto che colpivo questa, o meglio intanto che dirigevo i colpi, non ho dimenticato che codesta donna è mia rivale, che per un momento l'avete preferita a me, e che infine m'avete messa sotto di lei".

Astoria stava macchinando qualcosa, probabilmente contro Draco.
"Bisognava insegnargli il valore del tempo: ora credo proprio che rimpiangerà quello perduto.
"
E Daphne doveva fermarla, prima che fosse troppo tardi.
Aveva sottovalutato lei Astoria, per tutti quegli anni. L'aveva creduta orgogliosa, puntigliosa, poco incline al perdono, ma sempre in una dimensione infantile, da sorellina dispettosa che la maggiore deve rimproverare bonariamente: ora invece la scopriva sottilmente crudele, machiavellica e determinata a combinar guai.
Tentando di ricomporsi e di ritrovare lucidità nonostante il dolore e la preoccupazione che quelle parole le avevano procurato, raccolse la borsetta e uscì, avendo cura, stavolta, di serrare la porta con un incantesimo, mentre il libro scivolava giù dal divano e si schiantava a terra con un tonfo sordo.
"Ma ditemi un po', visconte: chi di noi due si incaricherà di ingannare l'altro?
" *

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