Capitolo XXX - Visite

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La prima cosa che Hermione fece una volta sola a casa fu rinfrescarsi e vestirsi decentemente, conservando la tuta di Draco, poi si preparò una tazza di the e si sedette in cucina con accanto un foglio e una penna, pronta a buttar giù nero su bianco qualsiasi pensiero scomodo le passasse per la mente. Mentre sorseggiava la bevanda ancora rovente, tentò di riflettere sulle parole del ragazzo.
Era davvero una persona arrogante? Non l'avrebbe mai detto di se stessa. Petulante, forse, pignola, puntigliosa, saccente durante gli anni di scuola, ma non si sarebbe mai definita arrogante. Certo, le piaceva eccellere, ma non ricordava di aver mai dato sfoggio del suo sapere così, giusto per il gusto di essere celebrata. Aveva sempre rispettato le opinioni altrui e ascoltato con piacere coloro che riteneva più saggi e intelligenti di lei, non si era mai eretta a giudice, non aveva mai sputato sentenze contro nessuno. Cosa intendeva Draco per arroganza? La sua prudenza, la sua attenzione nel non ferire i sentimenti di nessuno? Perché era arrogante, perché si preoccupava?
No, comprese. Non per quello, ma perché era così convinta di conoscere gli altri da anticipare le loro reazioni e risposte e comportarsi di conseguenza, credendo di star dando la giusta risposta costruita in realtà su una sua privata e personale idea che non era detto corrispondesse precisamente alla realtà dei fatti. In effetti era arrogante, seppur senza volerlo, perché convinta di conoscere le altre persone (o almeno alcune, tra cui Malfoy) meglio di quanto esse stesse si conoscessero.
Ma no, vigliacca non era. Non lo era mai stata e non lo sarebbe stata mai. Quella parola le bruciava più di tutto il resto, detta proprio da lui poi! La sfumatura era ben diversa e Draco, rinchiuso nel suo egoismo emotivo, non la coglieva: lei non aveva paura di amarlo, bensì nel campo dei sentimenti aveva paura di compiere un passo per cui in realtà non era pronta. Draco era un istintivo, per di più abituato ad avere tutto ciò che desiderava subito, non era sua abitudine preoccuparsi in anticipo delle possibili conseguenze e implicazioni delle sue scelte. Hermione, invece, voleva compiere ogni passo con cognizione di causa, conscia fino in fondo di tutti gli elementi e le situazioni che ne sarebbero scaturite, voleva essere certa di avere la maturità e la capacità di fronteggiare tutto, non per primeggiare ma per far sì che tutto fosse bello. Non perfetto, magari, ma quantomeno bello e vissuto in piena consapevolezza.
Tuttavia in quel momento non era sicura di niente, meno che mai di essere felice. In realtà non riusciva a raccapezzarsi, in mezzo alla miriade di novità che aveva affrontato. Lei e Draco avevano instaurato uno strano rapporto durante l'ultimo anno di scuola, un'attrazione repressa ed ingabbiata a causa del loro passato e di una fiducia reciproca che proprio non erano riusciti a concedersi; lui si era trincerato nel silenzio, nonostante stesse affrontando completamente solo uno dei dolori più atroci che ogni persona prima o poi deve subire, e lei non era stata capace di comprenderlo e sostenerlo mancandole qualsiasi punto di partenza, ma anche perchè lei per prima non aveva voluto mettersi in gioco totalmente. Certo, Draco non le aveva lanciato la fune per consentirle di raggiungerlo, ma era anche vero che lei non l'aveva pretesa, pensando che quello era solo un altro suo stupido gioco e che, ad investirci troppo, lei sarebbe rimasta scottata in maniera troppo profonda per consentirselo. Aveva già troppi fardelli da portarsi addosso: i suoi genitori irrecuperabili, le macerie del suo mondo spiattellate davanti ai suoi occhi, una storiella naufragata, la scuola con cui fare i conti, i ricordi strazianti di un anno troppo difficile per una ragazza della sua età.... come avrebbe potuto fare a salvare qualcun altro quando anche per se stessa non sapeva come agire e procedeva a tentoni? Poi Draco era sempre stato così mutevole, lunatico, incomprensibile... la cercava e poi la respingeva, la guardava e poi la ignorava palesemente, la baciava con una passione feroce negli angoli bui e poi non si prendeva nemmeno la briga di dirle dove spariva per settimane. Hermione aveva acconsentito a salire su quella strana altalena perchè in fondo quel senso di proibito, di rischio, di relazione pericolosa l'aveva eccitata ed elettrizzata, e perchè aveva davvero bisogno di qualcuno che la facesse sentire desiderata, attesa, bella, viva; era vero, aveva spesso pensato che forse, con lei, grazie a lei, il ragazzo avrebbe potuto trovare un equilibrio, ricominciare una vita normale, risorgere dalle sue ceneri e cambiare il suo modo di vedere la vita. Ma come avrebbe potuto offrirglisi totalmente, rivelargli tutte le sue pene e i suoi tormenti, renderlo partecipe degli spazi più remoti della sua anima e pretendere che lui facesse altrettanto? Non aveva avuto nessun segnale, nessun riscontro positivo, nessun invito ad avvicinarsi, nè lei aveva agito senza. Eppure, Malfoy gliel'aveva detto chiaramente, lui se lo aspettava. Credeva che lei avesse capito. E sì, probabilmente Hermione aveva capito che nel suo cuore albergava una pena inestirpabile, un fio da pagare, ma ce n'erano già così tanti, nell'animo di Draco... lei aveva sempre pensato che fosse roso dal senso di colpa per aver appoggiato la causa di Voldemort, e questo le pareva già una colpa abbastanza enorme. In ogni caso, chi le dava il diritto di agire? L'attrazione, la confidenza, l'amore? Di nuovo: come faceva lei a sapere che il suo pensare ed il suo sentire erano corrispondenti a quelli del serpeverde, se lui per primo era sempre stato ben attento a non far trapelare niente di concreto? Magari non si dovrebbe fare del bene agli altri perchè ci si aspetta qualcosa in cambio, ma forse che l'amore non è una bilancia di dare e ricevere? È giusto che uno debba spendersi totalmente e senza riserve pur non ricevendo nulla, per quanto disperatamente possa amare? Probabilmente, in un altro periodo della sua vita, la ragazza avrebbe dato fondo al suo più profondo senso della giustizia e del dovere e l'avrebbe fatto, ma non in quello. All'epoca Hermione era affaticata e svuotata, aveva bisogno di qualcuno che anche l'aiutasse e le desse gli strumenti per ricominciare.
Quella sera... quella sera lo aveva visto così annullato, così spezzato e stravolto che non aveva potuto non amarlo. Gli aveva visto una luce negli occhi e l'aveva interpretata come comprensione: l'aveva finalmente vista,aveva compreso quanto d'aiuto e di sostegno sarebbero potuti essere l'uno per l'altra, aveva capito che lei era la ragazza giusta che da un anno aspettava la sua mano tesa solo per afferrarla. E allora anche lei finalmente gli si era concessa tutta, corpo e spirito, affinchè potessero veramente parlarsi senza proferire verbo e ricominciare l'indomani con una nuova consapevolezza, una nuova complicità, una nuova comprensione della vita e del futuro.
Le sue speranze, purtroppo, erano state disilluse. Si era svegliata completamente sola, abbandonata in un letto disordinato e freddo, senza nemmeno un biglietto, un bacio d'addio, una spiegazione. Solo a ricordare come si era sentita in quel momento le venivano le lacrime agli occhi. Una stupida, ingenua ragazzina sprovveduta, di cui il maledetto bastardo si era cavato la voglia e che dopo non serviva più. La puttanella mezzosangue, l'ultima scopata a scuola.... chissà, magari stava già riscuotendo i soldi della scommessa con gli amici. Cinquanta galeoni che mi porto a letto la Granger entro giugno. E lei, come le idiote, c'era cascata con tutte le scarpe... che piangesse pure quanto voleva, che urlasse pure quanto voleva! La sua prima volta era andata totalmente sprecata, donata col cuore ad uno che non possedeva lo stesso mezzo per riceverla. In treno non c'era e non l'aveva mai più visto, nemmeno per sbaglio incontrato a Diagon Alley. Così imparava a voler fare sempre la paladina dei deboli, il difensore degli sfortunati, la pia donna che tutto sa e tutto comprende. Se fosse stata più egoista, più menefreghista, più concentrata su se stessa.... cosa voleva di più dalla vita? Aveva la scuola e una promettente carriera in qualsiasi campo avesse voluto specializzarsi, amici affettuosi e fantastici, un ragazzo che le voleva bene davvero... ma no, lei doveva sempre strafare, assurgere a vette sempre più alte di limpidezza e candore.
Tutto il mondo è il tuo museo delle opere restaurate, giusto?
Anche lui avrebbe voluto esserlo. Ma era un Malfoy, e i Malfoy non chiedono aiuto, non supplicano, non protendono mani. L'aveva fatto a modo suo, ma non avevano gli stessi codici e non si erano capiti. Così avevano sprecato quattro lunghi anni macerandosi nel rancore, tenendosi tutto dentro, stando accanto a persone a cui non tenevano, allontanando gli altri per paura di provare lo stesso lacerante tormento. Questo tutto per colpa di un orgoglio sconfinato e di convinzioni personali non collimanti.
Stupidi. Due stupidi, ecco cos'erano.
In quel mentre il campanello suonò ed Hermione, sobbalzando tanta era la concentrazione, andò ad aprire. Un enorme sorriso le spuntò irrefrenabilmente sul volto.
- James! Amore!
Il bambino le volò tra le braccia, affascinato dai suoi ricci impossibili, e Ginny si accomodò senza tante cerimonie in cucina versandosi una tazza di thè.
- Bene, signorina, tu adesso mi racconti tutto.
- Certo, Ginny - rispose, sendendosi di fronte e dando il cucchiaino al piccolo , che con somma gioia iniziò a farlo tintinnare sul tavolo. - Praticamente, la settimana scorsa è venuto Malfoy perchè gli serviva il permesso per Tintagel, sai il castello in Corn....
- Non ci siamo capite. Ho detto che mi devi raccontare tutto.
Hermione avvampò di botto, sgranando gli occhi, e Ginny scoppiò a ridere, contagiando anche James.
- Oh, mia piccola ingenua amica, hai una faccia che parla da sola. Davvero, non pretenderai di nascondermi qualcosa. È Harry il fesso, non io.
Anche la riccia si unì alla risata e poi poggiò il viso in una mano, guardandola con affetto.
- È una storia molto lunga.
- James ha il suo cucchiaino ed io ho il mio the. Siamo pronti a tutto.

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