Capitolo 3

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Avevo provato ad aprire gli occhi, ma il sole era troppo forte. Passò un po' di tempo prima che riuscissi a muovermi, forse un'eternità. Lentamente, mi girai sul fianco destro e agitai le gambe. Il movimento fu seguito da una serie incessante di scricchiolii delle mie ossa, chissà da quanto stavo dormendo. Alzai il busto, e finalmente riuscii ad aprire gli occhi, guardavo istintivamente in basso. Il polso destro aveva un livido, e mi venne in mente che fosse stato quel mostro a causarmelo. Mi alzai dolorante, e vidi il mondo sottosopra. Tutto il sangue che era nel cervello crollò verso la parte inferiore del corpo, causandomi quella forte emicrania. Ero comunque riuscito a restare in piedi e con mio sollievo, avevo notato che non avevo nulla di rotto, solo qualche dolorino qua e là. Quando avevo cominciato a camminare mi accorsi che non avevo le scarpe, né i calzini.
Era la prima volta che mi trovavo in spiaggia.  Il mare distava un centinaio di chilometri da casa mia, e mio padre non mi ci aveva mai portato. D'altronde, avevamo un lago vicino. Però sentire la sabbia attaccarsi alla pianta del piede era completamente diverso. E poi il mare, era di una bellezza indescrivibile. Se non fosse per il fatto che dovevo capire dove mi trovassi, mi sarei già buttato in acqua. Il nuoto era la mia passione.

Mi guardai un po' in torno, e piano piano tutti i ricordi tornarono a galla. Quando quell'essere senza testa mi aveva piantato uno strumento sul fianco, avevo perso conoscenza e mi aveva portato qui. Non avevo né Fanhio né scarpe, e non sapevo nemmeno dove fossi. Avevo un po' di fame, quello sì. Sapevo soltanto che era passato molto tempo, perché ero svenuto di notte, e mi ero svegliato col sole alto nel cielo. Ma stranamente mi sentivo tranquillo. Certo, la preoccupazione mi riempiva da cima a fondo, tuttavia riuscii a mantenere la calma senza problemi. Doveva essere il rumore insistente delle onde a produrre quella sensazione di tranquillità in me. Camminai un altro po', e finalmente vidi una stradina che doveva essere l'uscita della spiaggia. Però che strano, non c'era anima viva in giro nonostante il tempo fosse abbastanza mite da stare in spiaggia.

Percorso quel piccolo sentiero, mi ero ritrovato in una strada vera e propria. Non riuscivo proprio a capire dove fossi, ma la presenza di qualche macchina in strada mi rassicurò, anche se erano automobili abbastanza strane. Avevano tutte una specie di antenna che pendeva poco sopra il parabrezza. Pensai servissero per il collegamento radio. Nel mio stato si usava un piccolo cavetto posto sopra il faro destro del veicolo, ma era di più un accessorio estetico, pochissimi la sfruttavano davvero. Fu questo a incuriosirmi. Cominciai a rendermi conto di essere parecchio lontano da casa, chissà come avrei fatto a tornare. Dovevo trovare un modo, almeno un Fanhio. Sicuramente Lheksia era preoccupata, e forse mio padre aveva notato la mia assenza a casa, ma non feci molto affidamento a quell'ultima supposizione. L'unica cosa che potevo fare era l'autostop. Tirai un grande sospiro, e mi posizionai nella prima corsia procedendo a passi rapidi e lunghi. Fui fortunato, la prima macchina che passò si era fermata.
Abbassò lentamente il finestrino, e alla guida vi era un ragazzo più basso di me con un cappello da rapper in testa. Un sacco di ricci castani uscivano dal copricapo, e squadrandolo in viso capii che poteva avere massimo due anni in più di me.
Aveva un'espressione cupa, e dava l'impressione di essere uno perso nei suoi pensieri.

"Hai bisogno di qualcosa?"
Mi chiesi se per quel ragazzo fermavo auto per hobby. Non doveva essere molto perspicace.
Farfugliai qualche cosa, perché non sapevo che dire. Mi avrebbe preso per pazzo se gli avessi detto che un uomo senza testa mi aveva fatto svenire e in seguito scaricato al mare.

"S-sì cioè...ha un Fahnio? Devo chiamare una persona per farmi venire a prendere."
Mi rivolse un'occhiataccia da farmi raggelare. Lo avevo fissato per un po', forse per troppo tempo. Erano i suoi occhi ad attirarmi, come una calamita. Erano giganteschi ed inespressivi, e la cosa che mi aveva affascinato di più era che non avevano lo stesso colore. Esatto, quel ragazzo era eterocromo. La pupilla destra era celeste, quasi turchese, mentre quella sinistra era di un castano tendente al nero. Dovette accorgersi che lo stavo fissando, perché distolse lo sguardo abbastanza seccato.

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