Capitolo 4

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Accompagnai Elvenar con lo sguardo, fino a quando scomparve dal mio campo visivo. Quelle sue ultime parole mi avevano turbato, e abbastanza direi. Ma in quel momento non potevo permettermi di capire ciò che uno sconosciuto mi avesse detto. Dovevo trovare un modo per tornare a casa, e più il tempo passava più mi sembrava che le probabilità diminuissero. Ero fermo proprio davanti la stazione di polizia, incerto se entrare o no. Stavo provando a formulare un discorso credibile, ma era impossibile. Come biasimarmi del resto, persino io faticavo a credermi. Chissà se qualcuno del mio tempo si era accorto della mia presenza. Era inutile pensarci, dovevo cavarmela da solo. Mi feci coraggio e avanzai di un passo, quando la mia attenzione fu attirata da qualcosa in movimento. Lo vidi riflesso nella porta scorrevole, quindi mi girai di scatto perché se avevo visto bene, forse avevo qualche speranza di tornare a casa. E infatti lo vidi. Era proprio lui, identico a come lo avevo sognato e a com'era disegnato nella lettera. Era quell'omino con la testa strana e il fiocco rosa. Solo che dal vivo sembrava leggermente più alto. Stava correndo a perdifiato, come se stesse inseguendo qualcuno, o scappando. Era sul lato opposto della strada, troppo lontano per raggiungerlo. Stavo quasi urlando qualcosa per attirare l'attenzione, ma non sapendo nemmeno il suo nome tacqui, sconfitto. Aveva girato l'angolo e lo persi di vista. Tuttavia, la sua presenza mi diede un barlume di speranza. Non poteva essere stata una coincidenza il fatto di averlo sognato, e nemmeno il suo disegno nella lettera. A meno che quella fu soltanto un'allucinazione. Una parte irrazionale del mio cervello pensò che quell'omino avesse inviato una lettera per me nel 2022, e che mi sia arrivata in ritardo, di 11 anni. Ovviamente, scartai subito quell' ipotesi  assurda. Dovevo trovarlo, forse era lui la causa di tutto questo. Magari stava cercando proprio me.

Ma non sapevo cosa fare. Ero in un posto sconosciuto, e non lo avevo nemmeno visto bene. Non ero in grado di fornire un identikit su di lui. L'unica scelta possibile era la polizia. Purtroppo. Presi coraggio e finalmente entrai nell'edificio. Con mia grande sorpresa vidi che c'era solo una donna in divisa, molto scura di carnagione. Stava bevendo un caffè espresso dal bruttissimo aspetto, e la sua faccia disgustata provava che anche il sapore era orrendo. Portava i capelli ricci legati in una folta coda di cavallo, e sembravano essere di un biondo quasi innaturale. Indossava anche degli occhiali da sole molto grandi, il che era strano dato che eravamo dentro un edificio e il sole si trovava alle nostre spalle. Forse era cieca.

"Finalmente sei entrato! Mi chiedevo se avessi passato altro tempo davanti la porta come un bambino incerto se entrare in classe il primo giorno di scuola."                                                                Ok, non era cieca. Il suo tono autoritario e arrogante mi indispose parecchio. Sembrava un cane che ringhiava. Lentamente, mi avvicinai verso di lei e quando fui abbastanza vicino notai una leggera macchia rossastra che le grandi lenti scure non riuscivano a nascondere. Probabilmente aveva una cicatrice.

"Hai bisogno di qualcosa?" chiese scocciata. Possibile che non c'era nessun altro?

"Beh in effetti sì...sa, mi sono risvegliato in questo posto...cioè non mi sono proprio svegliato. Come dire, ero in spiaggia e...e..." Ed ero ufficialmente nel pallore. Non sapevo proprio cosa dire, e quando la poliziotta cominciò a battere nervosamente due dita sul muro, mi innervosii ancora di più.

"Non ho tutta la giornata. Devi fare una denuncia?"

Trassi un respiro profondo. Dovevo farcela.

"No, ho bisogno di tornare a casa. Solo che abito lontano, molto lontano da qui. E non ho niente e nessuno. Non so proprio come fare."

"Come sei arrivato fin qui?" chiese in un tono quasi dolce. Forse aveva capito che ero veramente disperato. 

"Non lo so...mi sono svegliato mezz'oretta fa circa sulla spiaggia, e uno sconosciuto mi ha dato un passaggio fin qui."

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