Narratore: D.O.
Aprii lentamente gli occhi. Odiavo ogni giorno di più la luce del sole. Era così fastidiosa e insistente. I miei occhi non erano fatti per il bagliore solare: loro avevano bisogno del buio. L'oscurità era il loro pasto preferito. Mi guardai intorno. Il leggero sonno in cui ero sprofondato mi aveva intontito un po', quindi persi qualche secondo per rendermi conto di dove mi trovavo. Anche se addormentarmi a pochi passi da una bomba non rientrava nei miei piani. Speravo che non mi fossi perso la deflagrazione, non potevo sopportare l'idea di non aver visto migliaia di corpi schiantarsi al suolo come gusci vuoti, per non parlare di quanto sangue si sarebbe sparso in giro. Un brivido violento mi scosse tutto il corpo, l'eccitazione cresceva sempre di più. Era forte, volubile, inappagabile. Dovevo assolutamente calmarmi, altrimenti qualcuno si sarebbe accorto di me. Beh, non avrebbe fatto certo differenza. Scrutai con calma il luogo in cui mi ero risvegliato. Con mio grande sollievo, la bomba che avevo piazzato era ancora lì, a pochi metri da me. Mi sedetti a gambe incrociate. Non c'era nessuno in giro, il che era comprensibile dato che erano passati soltanto 10 minuti dall'alba. Che spettacolo orrendo.
Non ne potevo più di tutta quella luce, dovevo rifugiarmi da qualche parte, o avrei dato sfogo ai miei istinti più repressi. Ricordai una volta in cui il sole mi aveva letteralmente dato alla testa. Avevo liberato tutta la mia forza in una bolla di energia nera, che calciai verso la stella brillante. Poco dopo, calò il buio, e fu notte per le settantadue ore successive. Raramente mi sentii così felice, così soddisfatto. La gente era entrata nel panico, ovviamente. La scomparsa del sole non era certo un evento che si verificava spesso. Gli scienziati dell'epoca giustificarono questo fatto dichiarando che si era accumulato un certo ammontare di polvere nebulosa, abbastanza sufficiente da impedire ai raggi del sole di raggiungere la Terra. Era una idiozia bella e buona. Il mio orgoglio fu leggermente ferito, ma nessuno avrebbe mai scoperto la verità dietro quel fatto. Perché io non volevo che ciò accadesse. Tutto è sempre andato secondo i fili che muovevo io, la trama si svolgeva secondo quello che avevo deciso io. Io. Lo stesso essere che è stato scelto per guidare ogni forma di esistenza verso il buco nero in grado di porre fine al male che attanaglia l'universo.
Per combattere il male non servono l'amore, la gentilezza o altre cose del genere. Il male si combatteva con il male. In altre parole, con me.
Mi alzai un po' nervoso, avevo assolutamente bisogno di sfogare la tensione che avevo accumulato, e in fretta. Impostai la bomba in modo che sarebbe esplosa tra quattro ore. Avrei avuto tutto il tempo di divertirmi e dar libero sfogo ai miei porci comodi. Ma tanto, non era certo un problema. Avevo il controllo di tutto ciò che esisteva, essere vivente o meno, compreso il tempo stesso. Esso dipendeva direttamente dal sottoscritto. In altre parole, tutto ciò che esisteva continuava ad esistere solo perché io lo desideravo. Avrei potuto porre fine a questo scempio più volte, in maniera veloce e indolore, ma non ci sarebbe stato alcun divertimento. E in quel momento io avevo bisogno di quello, di divertirmi.
Uscii dal vialetto principale che era collegato direttamente con il parcheggio anteriore. Le strade erano ancora deserte. Mi avvicinai ad una station wagon gialla, nuova di zecca. Poggiai delicatamente il dito sul finestrino, e poco dopo il vetro si frantumò in tanti piccoli pezzettini. Tolsi la sicura, ma prima di salire mi abbassai per raccogliere i pezzettini da terra. Strinsi il pugno con il materiale fragile, fino a quando non lo ridussi in minuscoli granelli di vetro. Non era abbastanza, avevo bisogno di più. Molto di più.
Salii in macchina. Soffiai dolcemente sul cruscotto, e sentii il motore ruggire. Avevo guidato pochissime volte nella mia lunga vita, quindi impiegai un po' di tempo prima di farla partire. Ogni due secondi si spegneva. La mia pazienza era quasi finita, avevo i nervi a fior di pelle. Ero sicuro che di lì a poco avrei abbandonato tutti i miei freni inibitori e avrei cominciato a divertirmi con quel catorcio. Il fuoco che ardeva dentro il mio petto bruciava ogni attimo di più. Cresceva perpetuamente, e non accennava a diminuire. Era una grande fiamma che voleva distruggere, sempre di più, qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Finalmente avevo inquadrato la mia preda: una coppia di ciclisti, un uomo e una donna abbastanza giovani, che camminavano felicemente per le strade vuote. Immaginai fossero fidanzati, meglio così. Avrebbero sofferto di più nel vedere il proprio amato sparire per sempre. Premetti con tutta la forza che avevo l'acceleratore, e in un minuto dopo i due giacevano supini per terra, privi di coscienza. Il maschio perdeva sangue dalla testa, mentre la femmina non perdeva sangue. Beh, non ancora almeno.
C'era qualcosa nell'aria, qualcosa di diverso. Una strana inquietudine, nonostante il silenzio assoluto. Appoggiai la testa contro il vetro e guardai fuori. Che pace! Però...dov'erano finite le macchine? E i pedoni? La strada sembrava morta, decisamente troppo calma per quell'ora del giorno. Maledizione! Che cosa significava? Possibile che avevo progettato qualcosa sbagliando un qualche dettaglio? No, assolutamente no. Ogni mio piano era sempre andato alla grande. Poco importava. Dovevo occuparmi di altro al momento. Sfogare finalmente i miei bollenti spiriti che imploravano pietà dentro di me.
Salii in quella che sarebbe dovuta essere la camera degli ospiti. Non avevo preso ancora dimestichezza con quella casa. Quando bussai alla porta, uno sconosciuto mi fece entrare convinto che fossi l'idraulico che si era scordato di aver chiamato. Dovetti faticare tantissimo per non scoppiare a ridere. Era così facile prendersi gioco delle menti degli umani.
Purtroppo il divertimento con il proprietario dell'abitacolo durò molto poco. Dopo averlo sedato lo buttai nel camino acceso, e dopo un'ora un odore inebriante di carne bruciata stuzzicava le mie soffici narici. Col senno di poi non era stata una buona idea. Niente spargimento di sangue. Sbuffai. Avrei fatto meglio con i due piccioncini. Aprii la porta della stanza. Vedere i due che si abbracciavano e cercavano di convincersi che sarebbe andato tutto bene fece tramutare il mio sorriso in un ghigno. Li avevo legati con delle fascette abbastanza larghe. Le manette avrebbero trasmesso più terrore, e io non volevo farli spaventare. Altrimenti mi sarei divertito troppo presto.
"Chi...chi sei tu?" Domandò la ragazza piagnucolando. La ignorai. Ora che era lì distesa sul letto, potei squadrarla meglio. Aveva dei bellissimi capelli rossi che le arrivavano quasi fino ai piedi. I suoi zigomi erano tormentati da tante piccole lentiggini, che fungevano da cornice ai suoi occhi verdi. Le labbra erano molto pallide, così come il resto della sua pelle. Dovevo ammettere che in mutande e reggiseno non era un bello spettacolo, la preferivo di gran lunga vestita. L'uomo invece aveva dei corti capelli ricci molto scuri, e i suoi occhi azzurri trovarono difficoltà ad incontrare i miei. Forse perché senza occhiali non vedeva un tubo. O forse perché i miei occhi erano dappertutto.
Era il momento di iniziare con la fase uno.
Riempii un bicchiere di plastica con del liquido trasparente, e lo porsi alla ragazza. Lo bevve senza un minimo cenno di sospetto e lo risputò pochi secondi dopo con una smorfia disgustata.
"Che accidenti era?" mi chiese imprecando.
"Solfato di rame."
"Ti prego...lasciala andare. Almeno lei." Che bello. Finalmente ogni singola molecola del mio corpo si stava risvegliando. Di più, avevo bisogno di più. Fortunatamente nella cucina trovai un grosso coltello, che adesso stavo impugnando con la mano destra. La avvicinai molto lentamente sulla fronte del ragazzo. Tremava come una foglia, e il suo corpo era un bagno di sudore freddo. La ragazza implorava di fermarmi. Incisi dolcemente la fronte del suo uomo, e il sangue uscì copiosamente dalla ferita, per poi scorrere sui suoi occhi, che si chiusero immediatamente. Tornai alla ragazza. Le incisi il seno sinistro. Quanto sangue. Non bastava, avevo bisogno di più. Il ragazzo aveva un fisico molto allenato, quindi era stato semplice trovargli una grossa vena sul braccio. Gliela tagliai.
Guardai i due corpi accartocciarsi e imbrunire insieme all'ardere della fiamma. Non era stato facile trovare una casa con un grosso camino. Non appena anche le ossa si incenerirono, risalii nella camera degli ospiti. Sentii una stretta al cuore quando vidi tutto quel sangue. La stanza era più rossa che bianca, per non parlare delle lenzuola. Avevo fatto una così meschina, così misogina. Ero davvero fiero di me stesso. Ogni fibra del mio corpo si rilassò, esausta ma soddisfatta. Presto avrei avuto di nuovo bisogno di un passatempo come quello. Guardai l'orologio da parte. Erano le 14:26. Merda! Non pensavo avessi perso tanto tempo a contemplare la mia opera d'arte. Uscii da quella casa lasciando la porta aperta. Purtroppo non avrei potuto assistere alla reazione dei vicini. A malincuore, me ne andai. Sgranai gli occhi, e una luce nera mi avvolse completamente. Mi sollevai da terra, e mi diressi in quella piazza. Nessuno era in grado di vedermi.
Il mio ordigno giaceva ancora lì, dentro la grande fontana. Stimai la presenza di circa un migliaio di persone. Non era il massimo, ma mi accontentai. Senza troppi indugi, premetti il pulsante che avevo nella tasca della mia giacca. Fortunatamente ero riuscito a disattivare il timer. Un secondo dopo un tremendo frastuono invase le mie orecchie, ma riuscii comunque a tenere gli occhi aperti, malgrado la tempesta di polvere che si era sollevata. Rimasi lì circa mezz'ora, prima di poter tornare a vedere. In lontananza si udivano tante sirene. Era inutile. Tutti quei corpi che giacevano a terra inermi, avevano già perso, lasciando la vittoria al sottoscritto. Non potei fare a meno di ridere soddisfatto e felice. Anche questa volta era andato tutto bene. Prima di andarmene, posizionai un altro ordigno a pochi metri dalla precedente, e la impostai in modo che sarebbe scoppiata nel giro di venti minuti. Non avrei dato vita facile nemmeno ai soccorsi.
Stavo sorseggiando un calice di vino bianco, quando uno dei miei Lienk mi chiamò.
"Mio signore, abbiamo ricevuto una rivelazione importante da alcuni dei nostri inviati."
"Di che si tratta?" Chiesi ingenuamente, già consapevole di ciò che stava per dirmi.
"Sembra che la signorina Aza sia riuscita ad entrare in contatto con loro, ormai è solo questione di tempo."
Mi aspettavo di meglio. Perché non si era sbarazzata di quei due e basta? Purtroppo la mia più grande sfortuna era che non esisteva alcun essere in possesso dei miei stessi sentimenti. Forse era meglio così.
"Capisco."Note dell'autore
Spero che vi sia piaciuto! Come avrete capito, il narratore di questo capitolo non è Ban, bensì un altro personaggio che più in avanti scoprirete! Commentate e fatemi sapere cosa ne pensate!
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La voce del tempo
Science FictionAnno 2034, il mondo è molto cambiato. Ban, un giovane ragazzo con un passato difficile, ottiene l'accesso alla prestigiosa Accademia delle doti superiori, a cui tutti aspirano. Per lui non fa differenza, l'importante è allontanarsi da colui che gli...