Capitolo 10

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Passarono soltanto 34 ore da quella maledetta giornata. Avevo misurato il tempo da quando ero tornato, una delle poche cose che il mio cervello riusciva ancora a fare. Anche se avevo l'impressione che fossero passati molti più giorni. Per la maggior parte di quelle ore restai sdraiato sul mio letto. Mi alzai un paio di volte per andare in bagno e bere. Il mio stomaco non ne voleva sapere di mangiare. Ausipan rimase da me, dato che non aveva una dimora in questo tempo e voleva starmi vicino, passando gran parte del tempo a pulire casa. Prestai poca attenzione a quello che faceva o che mi diceva. Fortunatamente mio padre se n'era già andato, non avrei saputo spiegargli la presenza di Ausipan, lui odiava il fatto di  portare amici in casa. 

Durante la notte non avevo fatto altro che pensare a ciò che era accaduto. Non ero riuscito ancora a metabolizzare gli eventi. Pensai addirittura di aver sognato tutto, o almeno di non aver viaggiato veramente nel tempo. Bel modo di cominciare il nuovo anno. 
Ero sdraiato sul fianco destro, la mia schiena e le mie gambe imploravano di muoversi, invece la mia testa non ne voleva proprio sapere. Stavo ricominciando a piangere, nonostante i miei occhi fossero in fiamme, quando sentii picchiettare dolcemente sulla porta della mia camera. Una grande testa ovale sbucò dallo spiraglio, e il sorriso smagliante del suo volto mi mise a disagio.
"Posso?" Mi limitai soltanto a guardarlo per pochi secondi, poi richiusi gli occhi che bruciavano. Era una fredda giornata del primo gennaio, ma il sole era bello alto nel cielo e i suoi raggi filtravano nonostante la tenda tirata, costringendomi a stare con gli occhi chiusi. 
Mi accorsi che Ausipan entrò nella stanza solo quando avvertii il suo peso posarsi sul bordo del mio letto. In tutto questo tempo non si era mai azzardato minimamente a bussare o a entrare, quindi non ero preparato. Sapevo di cosa stava per parlarmi.

"Ti va di uscire un po'? Respirare aria invernale ti farà bene. Sai, il meteo ha detto che stasera dovrebbe nevicare. Non sto nella pelle, è da un secolo che non la vedo!" esclamò, sorridendo con gli occhi. Come faceva ad essere così allegro dopo aver visto sparire un'intera città?!
La rabbia montò dentro di me, anche se ero troppo debole per scaricarla. Continuai a fissare dritto davanti a me, impassibile.
"O possiamo andare al bowling. Nella mia città ormai non si usa più, ed è un vero peccato. Adoro quel gioco!" Era troppo. Sentivo che qualcosa si era spezzato in ime dal momento in cui quella bomba esplose, e non avvertivo più quel senso di umanità, o meglio di sensibilità, che caratterizzava la mia persona.
"Perché sei ancora qui?" Dissi di punto in bianco. La mia domanda riuscì finalmente a smontare il suo sorriso, seppur per poco tempo.
"Che ne dici se facciamo qualcosa di speciale? Domani compirai 18 anni!" Sgranai gli occhi. Probabilmente nemmeno mio padre era a conoscenza del giorno del mio compleanno. E non lo rivelai mai a Lheksia. Per me era un giorno qualunque, anche se quello di quest'anno sarebbe stato un tantino diverso. Voglio dire, sarei diventato un adulto. L'Accademia si avvicinava sempre di più. Dopo tutto quel trambusto mi ero quasi scordato della sua esistenza. 
Ma la domanda più ovvia era, come cavolo faceva Ausipan a sapere il giorno del mio compleanno? 

"Non ho soldi con me, però possiamo comunque divertirci."
Richiusi velocemente gli occhi e, stringendoli per non far uscire una singola lacrima, li riaprii. 
"Perché sei ancora qui?" Chiesi con lo stesso tono di voce che avevo usato poco prima.
Stavolta il suo sorriso non cedette minimamente, probabilmente si aspettava quella reazione da me. Tuttavia non rispose, e si alzò accostandosi alla finestra. Sentivo in lontananza dei bambini che giocavano per strada col pallone. Una volta anch'io passavo pomeriggi interi fuori con gli amici, ma crescendo le amicizie cambiano, e spesso si riducono, o aumentano. E' senza dubbio un fattore instabile insito nel destino di ogni essere umano.
"Sono felice di averti incontrato." Disse Ausipan di punto in bianco. Quella sua affermazione mi colse alla sprovvista, non me lo aspettavo proprio.
In un attimo si avvicinò a me, e cominciò a fissarmi spazientito. Vedevo i suoi occhi, grandi e belli, che mi scrutavano insistentemente, quasi riuscissero a penetrarmi. Ero un po' a disagio, e lui lo notò poiché ricominciò a parlare.

"Per quanto tempo hai intenziotone di rimanere su quel letto, Ban?"
Non sapevo dare una risposta, Forse un'ora, forse un anno. In quel momento ero stanco, ed ero ancora scosso.
"Vattene Ausipan. Ho bisogno di stare solo. Per favore." Dissi alzando il braccio in direzione della porta. Aprì la bocca per rispondere, ma fortunatamente la richiuse poco dopo. Non ero in grado di affrontare una lunga conversazione, e il fatto che cercava in tutti i modi di far finta di nulla mi dava sui nervi.
Si alzò e si diresse silenziosamente verso l'uscita, senza protestare. C'era ancora un dubbio però, un dubbio che mi attanagliava dentro e che non poteva più aspettare di essere chiarito.
"Aspetta." Mormorai. Si fermò proprio sulla soglia, e rimase immobile continuando a darmi le spalle. Forse era meglio così, perché sarebbe stato più facile parlargli.
"Come fai a sapere...che domani è il mio compleanno? Dimmelo Ausipan."
Non rispose, ovviamente. Rimpiansi che era di spalle, non potevo vedere la sua espressione.
Riprese a camminare, e chiuse delicatamente la porta senza nemmeno voltarsi. D'accordo lo ammetto, forse ero stato un po' sgarbato nei suoi confronti, ma il suo comportamento era veramente inadeguato! Cominciò a crescere il senso di colpa, fino a quando non divenne insostenibile. Passò una mezz'oretta circa, e decisi finalmente di alzarmi. Indossavo gli stessi vestiti da un bel po', e il mio corpo emanava un odore non proprio gradevole. Una bella doccia era quello che ci serviva. Feci un salto in cucina per bere un sorso di succo, e con mia sorpresa vidi Ausipan seduto sul tavolo. Le sue gambe corte non riuscivano a toccare terra, il che mi diede una sensazione di tenerezza.
"Io...vado a darmi una lavata."
Annuì distrattamente. Perché glielo avevo detto?
"Possiamo parlare, dopo?"
"Va bene."

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