Capitolo 17

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Passammo la successiva mezz'ora a cercare il Cubo-tempo di Ausipan, che sembrava essere sparito nel nulla. Mi dispiaceva vederlo così teso, era un comportamento insolito per lui, per un robot. Prima o poi avrei dovuto chiedergli da chi avesse imparato certe emozioni. Chissà quanto aveva viaggiato prima di imbattersi in me. Perlustrammo tutta la stanza fino a quando le torce non si scaricarono, tuttavia Ausipan non mi aveva detto che ne teneva altre due per riserva. A quanto pare prima mi aveva preso in giro, anche se preferii sorvolare sulla questione al momento: c'erano problemi ben più seri da affrontare. Senza il Cubo-tempo non potevamo tornare a casa, e l'idea di rimanere in un magazzino abbandonato senza luce non mi confortava. Durante tutto questo tempo la misteriosa e fastidiosa voce robotica non aveva cessato di parlare. Ad un certo punto pensai che fosse tutta un'illusione, che quel suono fosse soltanto il frutto della mia mente malata, ma il fatto che anche Ausipan, un androide, riusciva a sentirlo smentiva completamente la mia ipotesi. Mi sedetti di nuovo all'angolo della stanza, vicino agli scatoloni. Mentre Ausipan perlustrava le altre stanze - che a detta sua erano solo tre ed erano identiche a quella in cui ci trovavamo - io ne approfittai per dare una sbirciatina al contenuto di quelle scatole. Com'era immaginabile, non c'era nulla al loro interno. Sbuffai, seccato.

Quando finalmente Ausipan tornò, lo incalzai con le mie solite domande inappropriate.
"Hai idea di cosa sia questo posto? Voglio dire, sembra enorme ma in realtà è formato da 3 stanze uguali."
"Ti è sfuggita una cosa, Ban: dopo un sacco di tempo ancora non siamo riusciti a trovare le scale per scendere ai piani successivi e questo posto non ha proprio l'aria di essere una fabbrica o un magazzino. Sembra essere di più una prigione abbandonata. Ora, la domanda più logica da porsi è, come cavolo ci siamo finiti qui dentro?" Giusta osservazione. Per tutto quel tempo ci eravamo lambiccati il cervello per tutt'altre cose, seppur non di poca importanza.
"Vuoi dire che..."
"Sto semplicemente dicendo che non per forza si scende dalle scale...magari usano il paracadute." Ironizzò, e anche se sapevo che lo faceva per sdrammatizzare un po' e per non farmi preoccupare troppo, non era proprio il caso di scherzare in quel momento. Ci trovavamo in una situazione a dir poco assurda. Chi lo avrebbe mai detto? 
"Cosa proponi di fare Ausipan?"
Chiuse gli occhi per un momento, ma non parlò subito dopo averli riaperti. Parve riflettere a lungo.
"L'unica cosa che possiamo fare è aspettare."
"Aspettare?"
"Esatto. Non ci resta che aspettare il sole."


Aprii gli occhi, ma quello che vidi era completamente diverso. L'ambiente era diverso. Facendo mente locale, mi rammentai che la sera prima mi ero addormentato in una stanza al quarto piano di un edificio misterioso, buio e senza uscita. Effettivamente mi trovavo ancora in quella camera, seppur sopra un albero. Me ne accorsi quando udii il dolce cinguettio degli uccelli, che probabilmente fu quello la causa del mio risveglio. Mi affacciai alla finestra, che non dava più su un vialetto pieno di strane rose artificiali, bensì su un terreno di campagna che si estendeva per diversi ettari. Capii che ci trovavamo su un albero dai rami e dalle foglie che si intravedevano, anche se era impossibile trovare il tronco. Era dannatamente lungo. Mi guardai intorno attentamente. La stanza era intatta, gli scatoloni erano al proprio posto. Mancava solo Ausipan, che probabilmente stava già perlustrando la zona. Come eravamo finiti lì?

Mi affacciai nuovamente alla finestra, e osservai il campo. A destra si intravedevano colline verdi con erba tagliata. Era un prato decisamente curato, e in alcune parti spuntava anche qualche buca di sabbia. Forse era un campo da golf, poiché in quel terreno vi era soltanto erba bassa e sabbia. Niente grano o alberi, a parte quello in cui giacevamo. Mi chiesi, ovviamente, come avevamo fatto a teletrasportarci lì, ma la luce del sole e il panorama riuscirono ad attenuare il mio stato di ansia perenne. Mi sentivo quasi rilassato, anche se un po' di timore ovviamente restava. Fortunatamente il cuore si stava comportando bene, perché in caso contrario non so come avrei fatto a rimediare le pillole che mi servivano.
Cominciai a camminare avanti e indietro per la stanza col capo chino, con il capo chino. Stranamente non vedevo alcun animale fuori, né insetti né uccelli, il che era strano dato che continuavo a sentire il cinguettio. Mi precipitai ad aprire la porta. Era tutto troppo strano. Appena uscii mi ritrovai nello stesso corridoio lungo e stretto, esattamente com'era prima. Tuttavia, grazie alla luce del sole era molto più facile farsi un'idea dell'ambiente. Il pavimento aveva le piastrelle in mogano, attraversato da un tappeto rosso che all'apparenza sembrava molto costoso. Le pareti erano di un nero lucente, con qualche sfumatura grigia agli angoli. Le porte erano verde acqua. Che strani abbinamenti. Non sembrava affatto essere una fabbrica. 

L'ambiente era troppo raffinato e ricco per esserlo. Perlustrai la zona, in cerca di qualche indizio o via di uscita, accompagnato dal cinguettio degli uccelli apparentemente invisibili. Ripensandoci, non udivo più il suono di quella fastidiosa voce metallica che ripeteva:"Questo è un messaggio rivolto a tutti gli esseri umani della terra." Quel posto mi metteva i brividi. Volevo soltanto trovare Ausipan e andarmene. Sentivo il mio stomaco brontolare in continuazione e avevo la gola secca, ma preferii comunque continuare a camminare. A un certo punto però le pareti cominciarono ad agitarsi violentemente, così come il pavimento, facendomi perdere l'equilibrio. Caddi a terra sbattendo lievemente la testa. Poggiai un dito sulla tempia e percepivo il sangue scorrere lentamente sul mio viso. Probabilmente mi sarò graffiato. Cercai di rialzarmi, ma tutto si muoveva troppo velocemente. Riuscii a mettermi in ginocchio. L'edificio non accennava a fermarsi. Era un terremoto, e bello forte. 
Un'altra scossa, più violenta della precedente, prese a tormentarmi. Il frastuono era assordante, in lontananza riuscii a sentire il rumore del vetro che si frantumava in tanti piccoli pezzettini. Stavolta percepivo un dolore fisico al corpo, come se qualcosa mi stesse schiacciando. Chiusi gli occhi per un attimo, cercando di riprendere in qualche modo il controllo. Li riaprii, e capii immediatamente che non era il corridoio ad agitarsi, ma io.

"Ti sei calmato finalmente!" Esclamò Ausipan sospirando rumorosamente. Mi guardai intorno. La mia testa era appoggiata sugli scatoloni, e non c'era sangue sul mio viso. Mi alzai piano piano, mi sentivo ancora scombussolato. 
"Cosa...cosa mi è successo?" Chiesi strofinandomi la nuca con i polpastrelli delle dita della mano destra, mentre agitavo l'altra poiché era un po' intorpidita. Probabilmente mi ero addormentato su un fianco, cosa insolita per me. Solitamente dormivo a pancia sotto, o a pancia sopra, ma mai di fianco. Probabilmente fu Ausipan a sistemarmi in quella posizione.
"Non lo so, ero sdraiato laggiù quando vidi che ti agitavi scalciando all'impazzata. Sembravi avere le convulsioni a seguito di un attacco epilettico. Per caso stavi facendo un brutto sogno?"

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