2. Leave me alone

891 62 22
                                    

«Che diavolo vuoi? Lasciami in pace»
«Calma ragazzina. Dove vai di bello?»
«Cazzi che non ti riguardano» sputai fredda. Nonostante dentro stessi morendo dalla paura, cercavo di assumere un'aria impavida per non darlo a vedere.
Il sorrisetto che fino a poco prima faceva capolino sul volto dalla scura peluria incolta dell'uomo, lasciò campo libero ad un'espressione seria, quasi arrabbiata.
Incominciai ad indietreggiare, cautamente. Evitavo di fare mosse brusche, o sarebbe finita male.

Nonostante indietreggiassi, quell'uomo avanzava, e per ogni passo indietro che facevo, lui ne compieva uno in avanti.

Cominciai a spintonarlo, per allontanarlo, ma, come prevedevo e speravo che facesse, mi afferrò la mano.
Gli tirai una ginocchiata nei gioielli di famiglia e lui si chinò, gemendo dal dolore.
Mentre era a testa china ne approfittai per sferrargli un pugno sotto il volto, sicura del fatto che qualunque parte del volto gli avessi colpito, gli avrebbe causato molto dolore.
Quando ormai fu KO, corsi velocemente e alimentata dalla paura verso casa mia.
Ma quel maledetto mi inseguì.
Corsi più veloce che potei, ma, probabilmente, la rabbia gli aveva messo le ali ai piedi.

Corsi disperatamente. Ero sola, come sempre. Non un'anima viva. Tutto buio e calmo. Tremendamente calmo. Si udivano soltanto i nostri passi e i miei respiri affannati.

Sfortunatamente il mio pensiero si limitò al correre, e non mi preoccupai di dove stessi andando. Mi ritrovai perciò completamente in un'altra strada, ben più distante da casa mia, e rimasi intrappolata in un vicolo cieco senza via d'uscita, proprio come me.

«Merda» esclamai, e battei un pugno sul muro. Sussultai quando lo sentii prima avvicinare, poi afferrarmi e sbattermi al muro.
Potei sentire le scapole scontrarsi con il duro cemento.
«Questo non lo dovevi fare» dichiarò guardandomi con occhi iniettati di sangue, asciugandosi il liquido rosso che gli grondava dalle narici con un gesto della mano.

«Lasciami!» urlavo dimenandomi continuamente, ma senza risultati.
«Mi hai fatto incazzare, e adesso la paghi»
L'uomo cominciò a lasciare graffi e morsi sulla mia pelle, come se fossi un giocattolo.
Perche tutto questo? Non credevo di meritare quello schifo di vita. Come se non bastasse tutto il resto.

Quando sentii le sue mani insinuarsi prepotentemente e rozzamente sotto la mia maglia, acquisii forza nelle braccia e potei allontanarlo da me, spintonandolo a terra.
Ma quello tirò la mia caviglia, nel bel mezzo di un inutile tentativo di fuga, e mi fece perdere l'equilibrio. Lanciai un urlo di dolore appena toccai terra violentemente, il giorno dopo avrei avuto come minimo tutto il corpo cosparso di lividi, graffi e sbucciature.
Mi si posizionò sopra, e mentre continuava a fare di me quello che voleva, causandomi lividi, mi accorsi della presenza di un palo di ferro alla mia destra.
A stento, cosí, allungai un braccio, ma era ancora troppo lontano e quell'uomo stava andando con la testa sempre più giù sul mio corpo.
Allungai ancora di piú il mio corpo, digrignando i denti dallo sforzo e arrivai appena a sfiorarlo con le dita.
"Forza, forza! Posso farcela" continuavo a ripetermi, e lanciando un gemito disperato arrivai ad afferrare l'oggetto di ferro nella mia mano.
Strinsi la presa, e, un attimo prima che lui potesse sbottonarmi i jeans, con tutta la rabbia e la forza di cui ero dotata, picchiai quel palo sulla sua testa liberando un grido di ira.

Lanciò un potente urlo di dolore, e iniziai a picchiarlo ripetutamente alla testa, notando che ad ogni colpo, le sue membra si facevano sempre piú molli. Quando fu privo di sensi, me lo tolsi di dosso, e mi accorsi di una macchia per terra che andava sempre dilagandosi, una macchia rossa, di sangue, esattamente sotto la sua testa.

Ero talmente spaventata che non sapevo cosa fare, così, feci la più facile di tutte, ma la più vigliacca. Me ne andai da lí, ancora scossa per l'accaduto. E non potevo ancora sapere che quello fu il più grande errore della mia vita. O forse la miglior cosa che abbia fatto. Dipende da quale punto di vista vedrete ciò che mi accadde da quel giorno in poi.

Corsi spedita a casa, nel timore di incappare in un altro come lui.
Perche avrei dovuto aiutarlo se era già morto? Che avrei dovuto fare? E poi non se lo meritava, stava per strapparmi un pezzo di me, non ancora tolto da nessuno.

Mi intrufolai dentro casa, e chiusi la porta alle mie spalle. Strisciai le spalle su di essa, e mi sedetti a terra, esausta, a causa della corsa e della vita.

Non piansi. No. Non ero quella persona dal pianto facile. Ormai non piangevo da tempo, e se raramente lo facevo, era per i miei genitori. Ero una ragazza forte, per alcune cose, ma allo stesso tempo debole e fragile, anche se non volevo ammetterlo a me stessa. Forse non sapevo neanch'io com'ero fatta veramente. Nessuno di noi sa come siamo fatti dentro.

Dopo qualche minuto mi calmai, anche il mio fiatone scomparve e ritornai a respirare regolarmente.
Mi alzai e mi diressi in bagno.
L'acqua non solo toglieva il sudore di una giornata, ma anche i pensieri negativi non mi tormentavano durante quei minuti che passavo lí sotto, sentendo la mia pelle bagnata da innumerevoli goccioline.

Appena ebbi finito di lavarmi, misi il mio corpo stanco dentro una tovaglia, e lasciai che i miei capelli si asciugassero da soli.
Mi misi a letto, e mi feci cullare tra le braccia di Morfeo, sperando che gli incubi non tornassero a tormentarmi.

* * *

Aprii gli occhi, non capendo per quale motivo fossi sveglia.
Dopo aver messo a fuoco l'ambiente circostante, mi accorsi che numerosi pugni stavano battendo sul legno della porta.

Mi alzai, scostando le lenzuola, appoggiai i piedi nudi al freddo pavimento e mi affacciai alla finestra, intravedendo alcuni poliziotti sotto la porta di casa mia.

Strizzai gli occhi, pensando che forse stavo ancora dormendo. Ma mi accorsi che ciò che vedevo era vero.
«Signorina Cooper, sappiamo che é li dentro.»
«Ma che...» dissi tra me e me.
Confusa, misi qualche vestito addosso, e scesi di sotto.
Aprii la porta cautamente, e trovai numerosi poliziotti, e dietro una volante.

Uno di loro si fece avanti. Guardai i gradi, era ispettore.
«Lei é la signorina Cooper?»
Timidamente risposi: «Si, sono io»

You're not Alone • James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora